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Don Abbondio, chi è il personaggio dei Promessi Sposi

Pavido, egoista e servile dall’inizio alla fine del celebre romanzo, rappresenta la Chiesa corrotta del Seicento e rispecchia i difetti degli uomini

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Don Abbondio è un personaggio immaginario dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, che di fatto, dopo il preambolo geografico-storico, apre la narrazione del celebre romanzo e che si rivelerà determinante sin dal primo capitolo, cedendo alle pressioni di Don Rodrigo per boicottare il matrimonio tra Renzo e Lucia. Ma la sua figura si impone soprattutto per il suo carattere, pavido e servile. Un personaggio umano e complesso, drammatico e comico allo stesso tempo. Don Abbondio rappresenta infatti lo specchio in cui si riflettono i difetti degli uomini e, soprattutto, le paure e gli egoismi dei mediocri.

“Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da’ suoi primi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi, era quella d’un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d’esser divorato. […] Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’esser in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi assai di buon grado ubbidito ai parenti che lo vollero prete. […]Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui”. (Alessando Manzoni, I Promessi Sposi)

Il personaggio

Curato di un piccolo paese vicino a Lecco, Don Abbondio basa la sua vita su poche, ma precise regole: scansare tutti i pericoli, anche quelli solo ipotetici, schierarsi a scanso di equivoci sempre dalla parte del più forte, badare solamente a sé stesso, non prendere mai posizione nei contrasti per evitare qualunque problema.

La sua età non viene precisata, ma sempre nel primo capitolo si legge che “il pover’uomo era riuscito a passare i sessant’anni, senza gran burrasche”. Don Abbondio viene invece descritto dal punto di vista fisico, è basso di statura, di costituzione corpulenta, con occhi grigi, capelli e pizzetto canuti ad incastonare una “faccia bruna e rugosa”.

La sua natura, affatto coraggiosa, emerge sin dall’incontro con i bravi, quando prima cerca una via di fuga e poi, resosi conto che l’unica via d’uscita è affrontarli, corre loro incontro e affretta i tempi affinché la paura duri il meno possibile, cedendo alle prepotenze non appena sente il nome di Don Rodrigo e dichiarandosi subito disposto ad ubbidire, pur sapendo di andare incontro ad un guaio. Salvo poi lagnarsi stizzito con la Perpetua per essere stato tirato in mezzo a cose che non gli interessano in alcun modo. Soggetto privo di personalità, eppure pusillanime, cercherà poi di confondere Renzo con un uso mistificatorio e prevaricatore di frasi latine oscure per giustificare i fantasiosi impedimenti al suo matrimonio.

Renzo e Lucia escogitano dunque il matrimonio a sorpresa, ma quando si trovano di fronte al curato, non fanno in tempo a pronunciare la formula che li renderebbe a tutti gli effetti sposi che Don Abbondio, compreso l’inganno, fugge. Richiamato al suo dovere dal cardinale Federigo Borromeo, che gli affida il compito di ricondurre Lucia, rapita dall’Innominato, presso la casa della madre, Don Abbondio ubbidisce, ma è spaventato a morte, vittima dei suoi soliti lambiccamenti, che lo portano a dubitare della sincera conversione dell’Innominato, anche quando, dopo la discesa dei Lanzichenecchi, sia pur controvoglia, si rifugia, costretto da Perpetua, nel suo castello. Nemmeno l’esperienza della peste vissuta sulla propria pelle e che lo ha provato fisicamente, facendolo apparire molto più scarno di prima e costringendolo a camminare aiutandosi con un bastone, cambierà l’atteggiamento di don Abbondio, che prima di convincersi a celebrare finalmente il matrimonio di Renzo e Lucia, si accerta che vi sia l’assicurazione ufficiale della morte di Don Rodrigo e che non vi sia più alcun pericolo.

Prete non per vocazione, ma per le opportunità offerte dalla carica, Don Abbondio rappresenta insomma la Chiesa corrotta del Seicento, pronta ad approfittarsi della cultura per assoggettare la povera gente, e viene contrapposto a Fra Cristoforo, rappresentante della Chiesa giusta e mentore dei meno colti e dei più svantaggiati.