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La seconda guerra d'indipendenza

Combattuta dalla Francia e dal Regno di Sardegna contro l'Austria dal 27 aprile al 12 luglio 1859, ebbe come effetto il declino del sistema di ingerenze politiche asburgico in Italia stabilito dal congresso di Vienna

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Lo scoppio della guerra

Il nuovo monarca del Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II, nel 1852 aveva dato incarico a Camillo Benso conte di Cavour di formare un nuovo esecutivo: egli sfruttò la guerra di Crimea per avvicinarsi politicamente alla Francia e il 21 luglio 1858 incontrò segretamente Napoleone III a Plombières dove gettarono le basi per la successiva alleanza sardo-francese, ufficializzata nel gennaio seguente. Nel mese di marzo la Russia organizzò una conferenza con Austria, Francia, Gran Bretagna e Prussia per discutere sulla questione italiana, senza tuttavia invitare il Regno di Sardegna. Ma l’ultimatum asburgico del 19 aprile sull’immediato disarmo fu l’occasione per Cavour di convocare la Camera per l’approvazione di un disegno di legge che concedesse, in caso di guerra, i pieni poteri al re. Camillo Benso attese lo scadere del termine per dare la propria risposta all’Austria, permettendo nel frattempo alle truppe francesi – l’Armée d’Italie – di entrare in Savoia. L’impero attese l’arrivo di altri corpi d’armata prima di iniziare a marciare verso Torino: ciò, infatti, avvenne soltanto la mattina del 7 maggio, salvo interrompere l’avanzata due giorni più tardi per concentrarsi presso Mortara, occupare Casteggio e proseguire per Voghera, così da scoprire le intenzioni alleate. Il 20, poi, occuparono Montebello e si spinsero fino a Genestrello, da cui furono costretti alla ritirata dopo l’attacco di alcuni squadroni di cavalleria piemontesi. Quindi, subirono anche la sortita francese a Montebello, mentre alle forze sabaudo-transalpine si aggiunse anche l’esercito dal governo provvisorio della Toscana. Contestualmente, i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, che il 18 da San Germano avevano iniziato una marcia verso i monti della Lombardia, il 23 varcarono il Ticino. Tra il 29 e il 30 maggio le quattro divisioni del Regno passarono la Sesia a Vercelli e occuparono Palestro, Vinzaglio, Confienza e Casalino e il 31 fallì miseramente l’azione austriaca.

La prima guerra d’indipendenza

La battaglia di Magenta e l’occupazione di Lussino e Cherso

La mattina del 4 giugno gli austriaci schierarono 117mila uomini sulla sponda sinistra del Ticino, i francesi, invece, crearono una piccola testa di ponte a Turbigo, attraversarono il fiume e costrinsero il nemico a ritirarsi verso Magenta. Qui, non si resero conto della delicata situazione in cui si trovavano le truppe transalpine e si limitarono a respingerle. Nel pomeriggio i valori si ribaltarono, perché giunsero sul posto i rinforzi – Mac Mahon, la 3ª Divisione del 4º Corpo e due divisioni piemontesi – e l’esercito austriaco fu costretto alla ritirata generale verso il Lambro. La vittoria di Napoleone III nella battaglia di Magenta permise, il 7 giugno, alle avanguardie di raggiungere Milano e, l’8, all’imperatore francese e a Vittorio Emanuele II di fare il loro ingresso trionfale in città attraverso l’arco della Pace e la piazza d’armi (oggi Parco Sempione), acclamati dalla popolazione locale. Dall’altra parte, invece, la pesante sconfitta acuì il malcontento dei generali, la cui idea di controffensiva venne spazzata via dalle successive perdite a Melegnano e nello scontro di Treponti con i garibaldini, e comportò un profondamento rinnovamento ai vertici: vennero esonerati dal comando i generali Gyulay e Kuhn, sostituiti dal sovrano Francesco Giuseppe I in persona, dal suo primo aiutante di campo Karl Ludwig von Grünne-Pinchard, da Wilhelm Ramming von Riedkirchen ed Heinrich Hess. Le cose, tuttavia, non migliorarono e si decise per la ritirata dietro il Mincio. Nel frattempo, i garibaldini avevano da poco occupato Como e la flotta franco-sarda aveva preso possesso delle isole di Lussino e Cherso, nell’arcipelago del Quarnaro.

Le battaglie di Solferino-San Martino-Medole e l’armistizio di Villafranca

Gli austriaci – il 24 giugno 1859 – iniziarono a riattraversare il Mincio verso ovest e, con Napoleone III in marcia in direzione opposta, andò in scena una battaglia d’incontro, con gli eserciti dispiegati su tre fronti: a San Martino le forze asburgiche combatterono contro quelle piemontesi, a Solferino e Medole contro quelle francesi. La 1ª Armata nemica, al fine di tenersi collegata alle altre truppe impegnate, si trovò a dover attraversare un tratto di pianura scoperto e a diventare facile bersaglio dell’artiglieria transalpina. Intorno alle 10 l’imperatore Francesco Giuseppe si portò da Volta a Cavriana ma, non essendo abbastanza vicino allo scontro, tardò a rendersi conto della situazione. Napoleone III, invece, in posizione avanzatissima, a Monte Fenile ordinò di rispondere alla manovra avvolgente avversaria con uno sfondamento al centro e alle 13.30 conquistò Solferino. La battaglia proseguì fino alle 18 in pianura e a Cavriana e oltre le 20 a San Martino, ma già dalle 14 il risultato era fuori discussione. Il 1º luglio 1859, dopo una settimana di inattività durante la quale gli austriaci si ritirarono dietro l’Adige, l’Armée d’Italie oltrepassò il Mincio, entrando nel Quadrilatero. A causa della crescente minaccia della Prussia sul Reno, avevano ricevuto una sola divisione di rinforzo, ma numerosi volontari erano andati ad ingrossare le truppe di Garibaldi. Nonostante il vantaggio acquisito, Napoleone III, il 6 luglio, inviò il suo aiutante di campo generale Émile Félix Fleury a Verona con una proposta di sospensione delle ostilità e, due giorni dopo, a Villafranca, i capi di stato maggiore delle tre nazioni belligeranti firmarono il testo dell’armistizio. Contrariamente a quanto stabilito nel trattato di alleanza sardo-francese (cioè, la cessione del Lombardo-Veneto al Regno di Sardegna), l’accordo prevedeva la cessione da parte dell’Austria della sola Lombardia, ad eccezione della fortezza di Mantova, alla Francia, che trasferì poi al Regno di Sardegna. La mancata acquisizione del Veneto portò alle dimissioni di Cavour dalla carica di presidente del Consiglio l’11 luglio e, il medesimo giorno, dopo alcune rettifiche dettate da Francesco Giuseppe, quest’ultimo e Napoleone III firmarono l’accordo, che fu controfirmato da Vittorio Emanuele II il dì seguente e ratificato dalla pace di Zurigo del novembre 1859.