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Statuto Albertino, cosa prevedeva la legge del 1848

Rappresenta il primo testo atto a regolare i rapporti fra Stato e cittadini e a definire l’ordinamento dello Stato ed è considerato il padre della moderna Costituzione

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Mentre in Europa, già dalla fine del XV secolo, iniziano ad affermarsi gli Stati nazionali, fino a metà Ottocento in Italia resiste la frammentazione in piccoli Stati, spesso in lotta tra loro. E’ solo nel Risorgimento che grazie alla partecipazione attiva di personaggi politici del calibro di Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour, si diffondono gli ideali liberali e i primi progetti di unificazione. Le nuove istanze innescano la miccia del malcontento popolare e sulla scorta delle insurrezioni, ormai incontenibili, i sovrani italiani si vedono costretti a compiere un decisivo passo verso i propri sudditi. E’ il 1848 quando il re Carlo Alberto concede lo Statuto Albertino ai sudditi del Regno di Sardegna, piantando il seme che nel 1861 porterà al processo di unificazione dell’Italia, dopo l’annessione della Lombardia, delle Marche, dell’Umbria, del Regno delle Due Sicilie e degli altri Stati dell’Italia centrale, fatta eccezione per lo Stato Pontificio. Il Regno di Sardegna, con a capo Vittorio Emanuele II di Savoia, diventerà ufficialmente Regno d’Italia, cui verrà esteso lo Statuto Albertino.

Contenuto

Lo Statuto Albertino è una Costituzione scritta, concessa dal re senza nessuna consultazione democratica. Modificabile con una legge ordinaria, è composto da soli 84 articoli, che si limitano a regolare i rapporti fra Stato e cittadini e a definire l’ordinamento dello Stato. Vengono riconosciute le libertà fondamentali del cittadino, ossia la libertà di stampa e di opinione, la proprietà privata e il diritto di uguaglianza, che però resta sulla carta perché, ad esempio, il suffragio è ristretto riconoscendo il diritto di voto al 2% della popolazione. Per quanto riguarda la libertà religiosa, lo Statuto riconosce la religione cattolica come religione di Stato, dichiarando di “tollerare” le altre religioni.

Dal punto di vista dell’ordinamento dello Stato, lo Statuto albertino pone le basi per uno Stato liberale e monarchico prevedendo la separazione dei poteri, anche se vengono tutti attribuiti al re, che li esercita congiuntamente agli altri organi costituzionali. Il potere legislativo viene esercitato dal re e dal Parlamento formato dalla Camera dei deputati e dal Senato, ma con il diritto di veto da parte del sovrano sulle leggi approvate dalle Camere. Il potere esecutivo spetta invece esclusivamente al re che nomina e revoca i ministri secondo il proprio volere. Il potere giurisdizionale compete alla Magistratura, i cui funzionari, nominati dal re, amministrano la giustizia in suo nome.

Struttura

Lo Statuto Albertino è una “carte octroyée”, ovvero una legge fondamentale “concessa” dal sovrano e non redatta da un’assemblea costituente eletta dai cittadini. Non si può dunque parlare dunque di una vera e propria Costituzione, anche perché, sotto il profilo della gerarchia delle fonti normative, ha lo stesso rango delle leggi ordinarie e non si pone al di sopra di esse, potendo essere modificato o addirittura abrogato con un semplice atto del sovrano.

Come molte carte ottocentesche, contiene un numero ristretto di principi fondamentali, che riguardano quasi esclusivamente la libertà del cittadino dallo Stato e dalla sua azione, e le regole basilari della struttura statale, ma senza disciplinare aspetti della vita civile e collettiva.

Lo Stato non è laico, la religione cattolica è l’unica ufficialmente riconosciuta, mentre gli altri culti sono “tollerati” conformemente alle leggi.

Pur nella nuova forma monarchico-rappresentativa, la divisione dei poteri resta imperfetta. Il Re infatti, condivide con il parlamento bicamerale il potere d’iniziativa legislativa mentre è titolare assoluto del potere esecutivo e di quello giudiziario. Il sovrano è allora colui che promulga le leggi, comanda le forze armate, gestisce in completa autonomia la politica estera del Regno, con il solo dovere di informare le camere dei trattati firmati, ed è l’unico a poter concedere la grazia ai condannati o di commutarne le pene.

Dal punto di vista della vita parlamentare, il Re nomina personalmente i membri del Senato, ha il potere di sciogliere a proprio piacimento la Camera dei Deputati, salvo l’obbligo di convocare nuove elezioni entro quattro mesi, può modificare gli equilibri parlamentari nominando nuovi senatori, il cui numero complessivo non è stabilito, favorevoli alla corona, e infine può proporre leggi senza necessariamente passare dalla Camera dei Deputati, con le sole eccezioni di quelle riguardanti nuovi tributi o i conti dello Stato.

In merito ai diritti e doveri dei cittadini, lo Statuto Albertino non si discosta da una tipica monarchia liberale ottocentesca: libertà e diritti individuali sono garantiti, ma la partecipazione alla cosa pubblica è riservata a un’élite culturale, militare ed economica. Il diritto di proprietà è inviolabile e l’esproprio è consentito solo dietro una “giusta indennità”.

Lo Statuto, infine, prescrive esplicitamente che i deputati e i senatori non debbano ricevere alcun compenso né indennizzo per la loro attività, precludendo dunque implicitamente la rappresentanza politica a tutti coloro che non abbiano rendite tali da poter rinunciare a lavorare durante il mandato e favorendo così il monopolio delle cariche pubbliche da parte della nobiltà e dei ceti alti.

Unica Costituzione “superstite”

Tutta l’ondata rivoluzionaria che nel 1848 attraversa l’Europa dichiarando guerra alle monarchie assolute e portando all’instaurazione di regimi rappresentativi, si è in breve esaurita sotto i colpi degli eserciti, lasciando spazio alla restaurazione dell’ordine precostituito e al ritorno dei pieni poteri nelle mani dei vari sovrani. Il Piemonte, però, nonostante la pesante sconfitta patita nella guerra con l’Austria, riesce ad ottenere che tra le clausole della pace non ci sia la rinuncia al regime costituzionale. Vittorio Emanuele succede a Carlo Alberto, che ha abdicato al trono dopo la sconfitta di Novara, e continua ad esercitare il potere congiuntamente al Parlamento. Se la rinuncia al potere assoluto da parte dei Savoia potrebbe apparire come un sintomo di debolezza politica, nel medio periodo il mantenimento della costituzione si rivelerà una scelta molto lungimirante, senz’altro decisiva per l’unità d’Italia.