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Bonifacio VIII, chi era e cosa ha fatto il controverso Papa

Membro della famiglia Caetani ed eletto al soglio pontificio dopo la rinuncia di Celestino V, fu il primo nella storia a celebrare il Giubileo

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Temuto e odiato, ma anche corrotto e senza scrupoli, Bonifacio VIII è stato uno dei papi più discussi della storia della Chiesa. Tra i tanti commenti negativi sul suo operato (ad esempio fu definito ‘l’anticristo’ da Jacopone da Todi), senza dubbio il più severo fu quello di Dante Alighieri che, nella Divina Commedia, lo inserì all’Inferno prima ancora che morisse. Al pontefice Caetani, tuttavia, si deve la fondazione dell’Università La Sapienza di Roma, una delle più importanti in tutto il mondo, ma anche la costruzione del duomo di Orvieto e la ristrutturazione di quello di Perugia.

Chi era Bonifacio VIII

Benedetto Caetani, discendente di un ramo dell’importante, omonima famiglia, nacque ad Anagni intorno al 1230 da Roffredo (o Lofredo) ed Emilia Patrasso di Guarcino, imparentata con i conti di Segni e, quindi, con papa Alessandro IV. Fu proprio quest’ultimo, nel 1260, a permettere al futuro Bonifacio VIII di assumere un canonicato a Todi, dove era vescovo suo zio Pietro. Qui iniziò i primi studi di diritto, proseguiti a Velletri e conclusi poi all’Università di Bologna. La sua carriera proseguì nella Curia romana, per conto della quale partecipò a numerose missioni diplomatiche, su tutte quella in Francia, con lo scopo di favorire l’ascesa di Carlo I d’Angiò, e quella in Inghilterra, dove ebbe modo – dopo essere stato imprigionato nella Torre di Londra – di instaurare un reciproco rapporto di simpatia con Edoardo I. Col titolo di San Nicola in Carcere (poi cambiato in Santi Silvestro e Martino ai Monti), nel 1281 venne nominato cardinale diacono e, dieci anni dopo, fu consacrato sacerdote a Orvieto. Mantenendo canonicati, prebende e altri benefici, sommati alle ricchezze di famiglia, accumulò un patrimonio tale che rese i Caetani tra i più potenti della scena italiana del tempo.

Bonifacio VIII, l’elezione a Papa

Benedetto Caetani fu tra le persone più vicine a Celestino V nel periodo in cui maturava la decisione di rinunciare al soglio pontificio, anche da un punto di vista di assistenza legale, in quanto profondo conoscitore del diritto canonico. Così, a dieci giorni dall’abdicazione di “colui che fece per viltade il gran rifiuto“, i componenti del Sacro Collegio si riunirono in conclave in Castel Nuovo, e il 23 dicembre 1294 consegnarono alla Chiesa cattolica il suo nuovo Pastore: Bonifacio VIII. Incoronato nella basilica di San Pietro il 23 gennaio seguente, secondo Dante la sua elezione fu viziata da simonia, vale a dire la compravendita di cariche ecclesiastiche, assai frequente nel Medioevo. Ad ogni modo, durante il suo pontificato riportò la sede papale da Napoli a Roma, fece di Anagni la base territoriale della propria famiglia ed annullò o sospese tutte le decisioni assunte dal suo predecessore Celestino V. Temendo che quest’ultimo potesse essere cooptato dai cardinali francesi come antipapa, lo fece arrestare da Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo, per poi rinchiuderlo – fino alla morte – nella rocca di Fumone, di proprietà dei Caetani. Eliminata una così grande minaccia, si preoccupò di risolvere la controversia tra angioini e aragonesi per il possesso della Sicilia: fece pressione su Giacomo II affinché rinunciasse a tutti i diritti sull’isola – trasferiti a Carlo II – in cambio della revoca della scomunica e della ‘licentia invadendi’ in Sardegna e Corsica. In Trinacria, però, la popolazione si ribellò al trono angioino e – il 25 marzo 1296 – fu costretto ad incoronare nella cattedrale di Palermo Federico III d’Aragona. Fu una grande sconfitta politica, ma non fu l’unica: il 24 febbraio 1296, mediante la bolla ‘Clericis laicos’, proibì ai laici di tassare gli ecclesiastici, pena la scomunica, ma la risposta del re di Francia Filippo IV, che emise una serie di editti che vietavano a chiunque l’esportazione di denaro e preziosi, bloccò di fatto le rendite percepite dalla Santa Sede in Francia, la nazione più ricca del tempo. Bonifacio VIII – per tornare allo status quo – dovette allora sostituire la bolla precedente con la ‘Etsi de Statu’ del 31 luglio 1297, che concedeva la tassazione del clero da parte dello Stato senza autorizzazione papale in caso di emergenza, e procedere con la canonizzazione del nonno di Filippo, Luigi IX. Tale atteggiamento è spiegabile anche a causa di una perdita di potere all’interno della Curia romana, con due cardinali membri della famiglia rivale dei Caetani, Giacomo e Pietro Colonna, che ritenevano illegittime tanto l’abdicazione di Celestino V, quanto la sua elezione, minacciando neanche troppo velatamente uno scisma. Il culmine venne raggiunto ad inizio maggio 1297, quando i due porporati, alcuni loro familiari e amici e tre Francescani spirituali lo dichiararono decaduto per mezzo del ‘manifesto di Lunghezza’. Bonifacio VIII reagì prima destituendo i due Colonna con la bolla ‘In excelso throno’ del 10 maggio poi, 13 giorni più tardi, scomunicandoli e confiscando i loro beni con la bolla ‘Lapis abscissus’, compresa Palestrina, vera e propria roccaforte della famiglia e che, poco più tardi, ordinerà di radere al suolo, cospargere di sale, cancellarne il nome e trasferire la popolazione più a valle, in un luogo denominato Città Papale. Il re di Francia, forte del favorevole accordo raggiunto con il papa, osservò la situazione senza intervenire: i due cardinali, fin lì speranzosi di un suo sostegno, furono piuttosto costretti – nel settembre del 1298 – a recarsi al cospetto del pontefice, a Rieti, da umili penitenti, in abiti da lutto, a piedi nudi, con la corda al collo, la testa scoperta, implorando perdono, sottomettendosi alla sua autorità e riconoscendolo come unico legittimo pontefice della Chiesa cattolica. La ‘pace’ tra le due famiglie durò poco, tanto che il tribunale dell’Inquisizione di Bologna, seguendo la volontà del papa, il 12 aprile 1299, ordinò la confisca del palazzo del cardinale Giacomo. I Colonna, spaventati dal clima conflittuale, fuggirono in Francia.

Gli ultimi anni di Bonifacio VIII

A fine 1299, dopo aver accettato dal libero comune di Velletri l’elezione a podestà per una legislatura semestrale, Bonifacio VIII istituì il Giubileo, formalmente indetto il 22 febbraio 1300 con la bolla ‘Antiquorum habet fida relatio’, da ripetere ogni cento anni. L’idea arrivò da uno spontaneo moto di pellegrini, che accorse a Roma: così, ricalcando la leggenda dell”Indulgenza dei Cent’anni’ di Innocenzo III e la Perdonanza di Celestino V, mediante l’Anno Santo permise ai fedeli di ottenere l’indulgenza plenaria semplicemente facendo visita alle basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. Tutto ciò contribuì ad aumentare sensibilmente le entrate nelle casse dello Stato Vaticano, oltre ad elevare il prestigio di Roma quale ‘Città Eterna’. Nell’agosto del 1300, poi, diede a Carlo II d’Angiò il proprio placet alla distruzione di Lucera, nell’attuale Puglia, ultima roccaforte musulmana sul territorio italiano: migliaia di saraceni vennero trucidati, altrettanti venduti come schiavi, le moschee abbattute e sostituite da chiese, i beni e le ricchezze razziate, mentre la città – ribattezzata ‘Civitas Sanctae Mariae’ – venne ripopolata cristiani. In questi anni caldeggiò inoltre la supremazia dei Guelfi Neri a scapito dei Bianchi a Firenze: l’esito finale portò Dante, di fatto esiliato e costretto a non metter mai più piede nella sua città natale, a maturare un profondo sentimento di odio nei confronti di Bonifacio VIII. Nel frattempo, tornarono piuttosto tesi i rapporti con Filippo IV: dapprima per l’alleanza col nuovo Re dei Romani Alberto I d’Asburgo, poi per l’arresto dell’abate francese Bernard Saisset, stimatissimo dal papa, fresco di nomina a vescovo di Pamiers. Il pontefice reagì – il 4 dicembre 1301 – con la bolla ‘Salvator Mundi’, con cui abolì tutti i privilegi precedentemente concessi al monarca, poi – il giorno seguente – con la celebre ‘Ausculta fili’, mediante la quale convocò l’episcopato francese a un sinodo, in programma a Roma l’anno seguente, al fine di ribadire l’autorità suprema del papa, cui dovevano sottomettersi anche i sovrani. Il re, però, fece bruciare gran parte del contenuto delle bolle, divulgandone una versione ridotta e manipolata, riuscendo nello scopo di suscitare indignazione e ostilità nei confronti del Caetani. Il 18 novembre 1302 andò in scena il sinodo, durante il quale Bonifacio VIII emanò una nuova bolla, la ‘Unam Sanctam’, volta a far rispettare la ‘superiorità’ del potere spirituale su quello temporale, pena la scomunica. Il 14 giugno 1303 il papa venne accusato di aver fatto assassinare il suo predecessore, di negare l’immortalità dell’anima, di aver autorizzato alcuni sacerdoti alla violazione del segreto confessionale, di simonia, sodomia, eresia e idolatria: così, il re propose di convocare un concilio per la sua destituzione, accolto dalla maggioranza del clero francese. Il 7 settembre Sciarra Colonna e il Consigliere di Stato Guglielmo di Nogaret lo catturarono dopo un assalto al palazzo pontificio e lo tennero prigioniero per tre giorni (lo ‘schiaffo di Anagni’). I dissapori tra i due, però, col primo che lo voleva morto e il secondo incarcerato a Parigi, favorì il cambio di rotta della borghesia della città, che si ribellò ai congiurati e lo liberò. Tornato a Roma – sotto la protezione degli Orsini – il giorno 25 del medesimo mese, affetto da gotta e calcolosi renale, Benedetto Caetani si spense l’11 ottobre 1303 e venne sepolto nella basilica di San Pietro.