Gengis Khan, biografia e conquiste del condottiero mongolo
Condottiero e sovrano mongolo, unificatore delle tribù locali e creatore di un impero immenso, che con i suoi successori diverrà il più vasto della storia umana, è ancora oggi considerato uno dei più grandi conquistatori di sempre, al pari di Alessandro Magno, Giulio Cesare, Attila, Carlo Magno e Napoleone Bonaparte
Dalla Cina settentrionale alle regioni nord-orientali della Persia: tale fu lo sterminato impero mongolo sotto la guida di Gengis Khan. Elogiato fino al Rinascimento in qualità di sovrano capace di diffondere cultura, conoscenze e tecnologie in un’area tanto vasta di mondo, di lì in avanti venne dato maggior peso alla brutalità del suo esercito e ai milioni di vite spezzate nel corso delle sue campagne militari: 4, secondo le stime più prudenti, addirittura un numero compreso tra i 40 e i 60 secondo altre, forse ben più attendibili.
- Chi era Gengis Khan
- L'ascesa al trono di Gengis Khan
- Come nasce il dominio di Gengis Khan
- Le grandi battaglie di Gengis Khan: la Cina e la Corasmia
Chi era Gengis Khan
Nacque – col nome di Temüjin Borjigin – nell’alto corso dell’Onon, fiume che scorre nelle attuali Mongolia settentrionale e Siberia sudorientale, tra le montagne della provincia del Hėntij, in un anno compreso tra il 1155 (secondo alcune fonti) e il 1167 (secondo altre). Nel 1162, invece, secondo le cronache cinese. Della sua venuta al mondo, così come della sua infanzia, si sa poco o nulla, ad eccezione del fatto che la madre, Hoelun, da poco sposata con Yeke-Ciledu, fratello del capo tribù dei Merkit, venne rapita da Yesugei, suo padre biologico e alla guida del clan Borjigin della tribù dei Kereiti, praticanti il cristianesimo nestoriano. Il suo nome – Temüjin – potrebbe derivare dalla parola ‘tomor’, cioè ‘ferro’, e – secondo la tradizione mongola – venne alla luce stringendo nel pugno un grumo di sangue, segno inequivocabile di ciò che sarebbe diventato: uno dei più grandi guerrieri della storia. All’età di nove anni venne promesso sposo dal padre ad una ragazza del clan Ungrat, tale Börte, di poco più grande, ma sulla via del ritorno Yesugei venne avvelenato da un gruppo di tatari, con i quali aveva banchettato. Hoelun, così, si ritrovò da sola con cinque figli, più altri due avuti dal defunto marito con un’altra donna, senza aiuto alcuno: dovette quindi insegnar loro la ‘nobile arte’ della pesca. Quattro anni più tardi il futuro Gengis Khan si ‘macchiò’ del suo primo omicidio, quello del suo ‘grande rivale’, il fratellastro Bekter, reo di avergli rubato un’allodola. Insieme al fratello 11enne Khasar, suo complice nel delitto, si diede alla macchia nel bosco per nove giorni, prima di arrendersi per la fame. Catturato da Targutai della tribù dei Tayichiud, venne sottoposto alla kanga, una gogna di legno dalla quale era pressoché impossibile liberarsi. Tuttavia, riuscì a colpire l’uomo, a fuggire dall’accampamento e a conquistare la fiducia di Sorqan-shira, uno degli uomini che lo stavano inseguendo, il quale lo nutrì, protesse e, soprattutto, gli rimosse il marchingegno. Ad appena 16 anni, forse intorno al 1181-82, Temüjin si unì in matrimonio con Börte. L’episodio è particolarmente importante perché la pelliccia di zibellino nero ricevuta in dono dal padre della sposa si rivelerà salvifica: offerto in regalo in cambio della pace, infatti, frenò la furia Toghril, vecchio e ‘ingrato’ amico di suo padre, in procinto di sterminare il suo clan con un copioso esercito. Nel 1184, invece, fu costretto alla fuga a cavallo – insieme alla madre – all’arrivo dei Merkit, ancora ‘scottati’ per il ratto della stessa Hoelun. Venne così rapita sua moglie Börte, per la quale riuscì a radunare – con l’aiuto del grande amico Jamuka e di Toghril – 12mila uomini, con i quali annientò la stirpe degli Uduid, attaccati nel sonno, per procedere poi verso le terre dei Merkit, che fuggirono tuttavia prima del suo arrivo. Lasciarono, però, sul posto numerose donne, tra cui la stessa Börte, vittima di uno stupro che alimentò i dubbi circa la paternità biologica del primogenito di Gengis Khan: Djuci. La coppia avrà poi altri tre figli: Jagatai, Ögödei e Tolui.
L’ascesa al trono di Gengis Khan
Un episodio in particolare permise a Temüjin di conquistarsi la stima, il rispetto, l’ammirazione e la fedeltà incondizionata di numerosi clan. Avvenne intorno al 1190 quando, contrariamente a quanto proposto dall’amico Jamuka, le cui famiglie si erano praticamente fuse in una sola, decise di ignorare le fatiche per la lunga cavalcata ‘di gruppo’ e proseguire anziché accamparsi. Chi restò, venne trucidato da un blitz dei Tayichiud, conosciuti in italiano anche col nome di Taciuti, ad eccezione del piccolo Kokochu, che venne adottato da Hoelun. La lungimiranza di Temujin non lasciò impassibile Toghril, divenuto col tempo uno dei capi clan più potenti e vassallo dell’imperatore Chin, e i due si dichiararono ufficialmente padre e figlio. Adottato dai Kereiti, Temüjin acquisì ancor più credito agli occhi delle popolazioni locali e, sfruttando una serie di insuccessi militari della dinastia Chin, che resero vacante la carica di Khagan (cioè, di ‘Gran Khan’), riuscì a farsi eleggere al termine di un ‘kuriltai’, cioè il concilio dei capi tribù. Parte da qui – probabilmente nell’anno 1200 – la storia di Cinggis Khagan, meglio conosciuto come Gengis Khan. Il suo ‘disegno’ fu chiaro sin dall’inizio: un’organizzazione politica estremamente gerarchica, con tutte le tribù apparentemente ‘indipendenti’, ma di fatto assoggettate al potere imperiale e costantemente sorvegliate da intendenti e corrieri, una ‘mitizzazione’ della propria famiglia e delle proprie origini, che lo ‘innalzasse’ rispetto ai comuni mortali (nacque così il “casato della stirpe aurea”, sacro poiché discendente dal Dio del cielo Tengri), un’amministrazione basata sulla scrittura, abilità che venne trasmessa ai vari principi, un esercito caratterizzato da tattiche di guerra geniali, come la capacità di attaccare nel totale silenzio o quella di muoversi in assoluta simmetria, incutendo terrore e disagio al nemico, come alla vista di qualcosa di soprannaturale, il passaggio dai criteri di nascita e stirpe a quello di meritocrazia in ambito militare, l’introduzione di una moneta e l’abolizione del baratto, come confermato da Marco Polo, e il frequente ricorso alla propaganda al fine di limitare le ambizioni dei nemici, consci che le mancate fedeltà e sottomissione sarebbero state sinonimo di morte e sterminio.
Come nasce il dominio di Gengis Khan
Gengis aiutò Toghril a recuperare il trono sottrattogli dal fratello e combattè al suo fianco contro i Tatari e i Giurkini, affidando alla madre i piccoli orfani Sigikan-Quduqu e Boroqul, suoi ‘nuovi’ fratelli adottivi. La grande amicizia con Jamuka, divenuto nel frattempo capo dei Jadirat, si era nel corso degli anni logorata e il Gran Khan sfruttò un banale pretesto per muovere tra i 20 e i 30mila uomini contro il suo ex ‘fratello non di sangue’, ma venne sconfitto – seppur di pochissimo – nella battaglia di Dalan Balzhat. Jamuka venne nominato ‘Gur-Khan’, cioè sovrano universale, e strinse numerose alleanze, al pari di Temüjin, ritiratosi nei meandri dell’Onon. Nel secondo atto, intorno al 1202, Gengis scampò ben due volte ad una fine prematura che avrebbe irrimediabilmente cambiato il suo posto nella storia: una prima freccia, sfiorandolo, uccise il suo cavallo, mentre una seconda, avvelenata, lo ferì al collo e la sostanza tossica gli venne succhiata via da Djelme, uno dei suoi fedelissimi ‘quattro cani’. Il giorno seguente riprese il proprio posto sul campo di battaglia, uscendone vincitore. Durante questi anni Khan si contraddistinse per un’apparente ‘umanità’, risparmiando la vita a numerosi nemici, cospiratori e traditori, ottenendo in cambio la totale sottomissione di abili, capaci, potenti e scaltri uomini – e le loro genti – arruolati nel proprio esercito. Nel 1203, poi, dopo aver combattuto fianco a fianco contro i Naiman, Temüjin e Toghril decisero di rafforzare la propria alleanza con una serie di matrimoni combinati. Nilqa Senggum, figlio di Toghrul, contrario a questa idea, convinse quindi il padre a dare sua figlia in sposa a Joci, a sua volta figlia di Gengis. Si trattava però di un’imboscata, alla quale il Gran Khan sfuggì grazie alla soffiata di due servitori dei Keraiti. Venne comunque attaccato nel deserto di Kalakalzhit, riportando un numero ingente di perdite e restando con esiguo manipolo di fedeli, coi quali visse in condizioni di miseria a Baljuna fino al 1204, quando riuscì a radunare 6mila uomini e sconfiggere l’esercito dei vecchi amici Toghril e Jamuka. Entrambi si diedero alla fuga chiedendo aiuto ai Naiman: il primo venne ucciso da una guardia che non lo aveva riconosciuto, il secondo venne invece accolto senza problemi. Bottino di guerra per Temüjin, invece, fu la giovane Ibaka, mentre la sorella – Sorgaqtani Beki – fu ‘assegnata’ al figlio Tului, dando così vita ad una delle coppie più influenti della storia mongola, nonché genitori dei futuri Khan Möngke e Kublaï, del rivale di quest’ultimo Arig Bek, e del fondatore della dinastia dei khan Hulagidi dell’Iran, Hulagu. Nello stesso anno Gengis attaccò con successo i Naiman, mentre a Jamuka, fatto prigioniero dopo aver chiesto invano aiuto ai Merkit, concesse una ‘morte onorevole’, così come il diritto di essere seppellito e, con tutta probabilità, gli venne spezzata la spina dorsale. Le lotte di potere durarono altri due anni, fino al 1206, quando il Gran Khan sconfisse nuovamente i Naiman e i Keraiti (dai quali ‘ottenne’ Qulan, futura imperatrice), espandendo il proprio dominio sull’intera area del Deserto del Gobi: nel medesimo anno, infatti, venne eletto Capo della Nazione mongola. Risolto l’inganno del fratellastro Kokochi, divenuto sciamano e in grado di raggirarlo al punto da fargli imprigionare suo fratello Qasar, Temüjin sottomise – stavolta pacificamente – anche i popoli dei Kirghisi, dei Karluk e degli Uiguri. Le invasioni proseguirono con i vicini Xi Xia, abitanti di un territorio – il Tangut – ricco di risorse e geograficamente strategico, ‘trampolino di lancio’ per il Gansu, la fortezza di Li-ki-li e il Lozo-khoto. La campagna nelle province tangute, però, si rivelò fallimentare. Un esito ben diverso ci fu nel 1209, quando l’esercito imperiale si impossessò di Wulahai, Liemen, conquistata fingendo la ritirata e contrattaccando in campo aperto, e la capitale Yinchuan, che si arrese dopo un lungo assedio. Gengis ottenne, insieme a falchi, cammelli e tessili, anche una nuova moglie: Tsaka.
Le grandi battaglie di Gengis Khan: la Cina e la Corasmia
Nel 1211 Gengis dichiarò guerra alla Cina, anche a causa della sua avversione nei confronti del nuovo imperatore Wei. In suo aiuto accorse un ‘traditore’, Ming-an, esperto di lingue e messaggero del comandante Zhi-zhong, che rivelò all’imperatore mongolo importantissimi segreti circa la tattica militare degli avversari. Gli arcieri decimarono la cavalleria nemica, garantendo di fatto al Gran Khan quella che fu probabilmente la sua più grande vittoria. Seguì tuttavia un periodo di stallo, ma l’anno seguente – ancora una volta con la tattica della finta ritirata – cadde l’antica capitale Mukden, la futura Shenyang. Temüjin dovette ‘posare le armi’ per alcuni mesi, ferito da una freccia, poi assoldò alcuni ingegneri cinesi, che garantirono al suo esercito un notevole ‘upgrade’ nella gestione degli assedi, situazione in cui si erano sempre rivelati estremamente carenti. Addirittura, in poco tempo ne divennero degli assoluti specialisti, riuscendo così a spingersi a sud della Grande muraglia cinese, penetrando all’interno del Paese fino al fiume Giallo, conquistando una roccaforte dopo l’altra. Nel 1213 Gengis tripartì il suo esercito, per riunirsi poco tempo dopo nei pressi di Pechino, in quel momento falcidiata da una tremenda epidemia di peste. Il nuovo imperatore Xuan Zong negoziò la ritirata mongola offrendo a Gengis sua figlia Shikuo e un lauto compenso, il quale acconsentì, ponendo tuttavia una base nell’oasi di Dolon. Quindi, una volta saputo lo spostamento della capitale a Kaifeng, lanciò due nuove offensive, che conquistarono facilmente la Manciuria ed altre province e regioni. La capitale resse invece fino al 1215, prima di capitolare. Seguirono numerose altre offensive, venne arruolato Yelu Chucai, ex consigliere dell’imperatore cinese e grande esperto di medicina, che si rivelò più volte provvidenziale nella cura dei soldati, e vennero occupate Taiyuan e Ping Yao nel 1218 e Jinan nel 1220. Contestualmente, venne annesso all’impero mongolo anche il regno dei Kara-Khitai. Conquistata la Cina, le mire di Temüjin si spostarono quindi sulla Corasmia, uno Stato islamico che giungeva fino al Mar Caspio, al Golfo di Persia e al Mar Arabico. L’approccio, dapprima, fu amichevole e volto ad instaurare floridi commerci, fin quando lo scià Muhammad non arrestò, e poi uccise, i primi e i secondi tre emissari inviati dal Gran Khan, il quale ‘mise su’ un temibile esercito di 100-200mila uomini e, secondo altre fonti, di addirittura 600-700mila. Ma non solo. Si dotò di arieti, scale estraibili, torri mobili, bombe incendiarie e balestre giganti in grado di perforare le mura, addestrò i prigionieri nella costruzione di strade e ponti necessari lungo il cammino, prima di usarli come ‘carne da macello’ da schierare in prima linea. Gengis lasciò il comando in patria a Temuge-odcigin e, dopo un ‘ritiro spirituale e punitivo’ in cima ad una montagna, senza né cibo né acqua per alcuni giorni, partì verso l’attuale Iran, con al seguito Khulan, una delle sue mogli. Divise in quattro le proprie truppe nei pressi di Otrar, città che capitolò dopo un assedio di cinque mesi soltanto grazie all’avventata mossa di un comandante disertore che, individuato, catturato ed ucciso, ‘regalò’ di fatto ai mongoli una via d’accesso. Fu una guerra atroce, uno dei più grandi spargimenti di sangue della storia antica, con stime che parlano di un milione e mezzo di morti tra ambo le fazioni nella sola Merv. Alla fine, però, a vincere fu Temüjin, che espanse il proprio dominio all’intera Corasmia, comprese le città di Samarcanda e Bukhara, per poi proseguire l’opera di conquista nel regno della Grande Bulgaria, la cui popolazione fu quasi interamente deportata. L’ultima campagna di Gengis fu ancora contro il popolo Xi Xia, il cui imperatore, nonostante fosse un vassallo dei mongoli, non solo si rifiutò di appoggiarli nella guerra in Persia, ma strinse addirittura un’alleanza con i Jin al fine di ribellarsi al Gran Khan che, dal canto suo, dopo aver fatto riposare e quindi riorganizzato i suoi uomini, partì alla volta delle terre tangute, delle quali si impossessò ad una ad una. Nel frattempo, conscio del passare degli anni, stabilì delle regole chiare per quanto riguardava la sua successione, al fine di evitare lotte di potere interne e l’indebolimento dell’impero: la scelta ricadde sul figlio terzogenito Ögödei, in quanto il ‘prediletto’, Djuci, era passato a miglior vita nel 1227, anno in cui cadde anche la capitale dei Tanguti, Lintia-fu, in cui venne compiuto uno dei primi genocidi della storia. Sono le ultime gesta di un personaggio controverso e straordinario al tempo stesso, al netto di una doverosa ‘tara’ relativa all’epoca in cui visse. Morì a Yinchuan, probabilmente, il 18 agosto 1227, ma delle cause della lunga agonia che precedettero la sua dipartita si sa poco o nulla, sconosciute – a detta di Marco Polo – agli stessi mongoli: forse per una caduta da cavallo al termine di una battuta di caccia, forse per le fatiche e le ferite riportate in una guerra cruenta, forse ucciso in una rappresaglia dopo aver ricevuto una principessa tanguta come bottino di guerra. Il suo corpo, ad ogni modo, venne riportato in Mongolia e seppellito in un luogo segreto e tutta l’area, per centinaia e centinaia di chilometri in tutte le direzioni, venne dichiarata interdetta all’accesso e perennemente sorvegliata dalle guardie Urianhai, dopo essere stata fatta calpestare da numerosi cavalli al fine di cancellarne ogni traccia.