Giulio Cesare, biografia e storia dell'imperatore
Fu il primo dei 'dodici Cesari', il cui nome dopo di lui divenne nell'antica Roma sinonimo di imperatore: con la conquista della Gallia estese il dominio della res publica fino all'oceano Atlantico e al Reno, per invadere poi per la prima volta la Germania e la Britannia
Militare, politico, console, dittatore, pontefice massimo, oratore e scrittore, Gaio Giulio Cesare è stato uno dei personaggi più importanti e influenti della storia, non solo dell’antica Roma. Trasformò radicalmente la società e la ‘cosa pubblica’ dell’impero, che contribuì a rendere sempre più vasto, raccontando – in terza persona – ogni campagna, ogni successo ed ogni azione politica nei Commentarii de bello Gallico e nei Commentarii de bello civili.
- Chi era Giulio Cesare
- L'ingresso in politica di Giulio Cesare
- Giulio Cesare, il triumvirato e il consolato
- Giulio Cesare: le guerre in Gallia, Germania e Britannia
- Giulio Cesare: la guerra civile a Roma e la morte
Chi era Giulio Cesare
Giulio Cesare nacque a Roma il 13 luglio del 101 a.C. (o il giorno 12 e nell’anno 100 a.C.) da un’antica famiglia patrizia, la gens Iulia, secondo la tradizione discendente del primo re della città, Romolo, oltre che di Ascanio, figlio del principe troiano Enea. A dispetto delle origini aristocratiche, tuttavia, i genitori – il padre, suo omonimo, un ex pretore e la madre, Aurelia Cotta, una matrona – non versavano in condizioni economiche particolarmente floride e vivevano in una casa modesta nel malfamato quartiere Suburra. Fu educato da Marco Antonio Gnifone, un illustre grammatico proveniente dalla Gallia, e crebbe in un periodo sociopolitico turbolento, con Roma divisa in due fazioni contrapposte: gli optimates, favorevoli al potere aristocratico, e i populares, democratici guidati dallo zio Gaio Mario che sostenevano la possibilità di rivolgersi direttamente all’elettorato, per i quali parteggiò sin da subito. Tra l’86 e l’85 a.C. Giulio Cesare perse prima lo zio, poi il padre e ripudiò nel frattempo la promessa sposa Cossuzia, per unirsi in matrimonio a Cornelia minore, figlia di Lucio Cornelio Cinna, anch’egli esponente dei populares. Visse un periodo difficile durante la dittatura di Silla, che lo intimò di divorziare dalla consorte e cercò di ucciderlo a seguito del rifiuto, ma di fatto lo costrinse a lasciare l’Urbe. Si trasferì dapprima in Sabinia, cambiando casa pressoché ogni giorno, e partì poi per l’Asia come legato del pretore Marco Minucio Termo: durante il suo viaggio in Bitinia si diffuse la voce che ebbe una relazione amorosa con il sovrano del piccolo Stato, una voce mai del tutto né confermata né smentita. Durante l’assedio di Mitilene, nell’isola di Lesbo, si distinse tuttavia per il grande coraggio mostrato e gli venne conferita la corona civica, concessa a chi – durante un combattimento – salvasse la vita ad un cittadino.
L’ingresso in politica di Giulio Cesare
Rientrato a Roma dopo la morte di Silla, nel 78 a.C., iniziò a dedicarsi alla carriera forense, come pubblico accusatore, e a quella politica, come esponente dei popolari. Un paio di successi nelle aule di tribunale ai danni di alcuni nobili lo costrinsero a lasciare nuovamente la città, per recarsi a Rodi, considerata una meta di pellegrinaggio dei giovani romani desiderosi di apprendere la cultura e la filosofia greca. Durante il viaggio, tuttavia, venne rapito dai pirati, che lo portarono a Farmacussa, un’isola delle Sporadi meridionali, dove vi rimase per 38 giorni, durante i quali scrisse numerose poesie. All’arrivo dei ‘rinforzi’, che portarono con loro i soldi necessari per il riscatto, si ritirò nella provincia d’Asia. Quindi, ripartì alla volta dell’isola e uccise i suoi rapitori. Dopo aver preso parte alla terza guerra mitridatica, venne eletto – sempre in Asia – nel collegio dei pontefici e poi – tornato a Roma – tribuno militare, conducendo una serie di battaglie politiche sostenute dai populares. Nel 69 a.C. assunse il ruolo di questore e, nel medesimo anno, raggiunse la Spagna ulteriore, conquistando il sostegno del popolo, soprattutto per averlo liberato dalle pesantissime tasse imposte da Metello. Fece quindi ritorno a Roma a seguito di due episodi che, con tutta probabilità, appartengono soltanto alla leggenda: il sogno in cui aveva un rapporto incestuoso con la madre, sinonimo di ‘dominio del mondo’, e le lacrime di fronte alla statua di Alessandro Magno (“Non vi sembra che ci sia motivo di addolorarsi se alla mia età Alessandro regnava già su tante persone, mentre io non ho fatto ancora nulla di notevole?”). Dopo la morte della moglie nel 68 a.C. e le nozze con Pompea, nipote di Silla, venne quindi eletto edile curule e divenne leader del movimento popolare, conquistando la simpatia dei cittadini, ma il più grande successo – nel 63 a.C. – fu la nomina a pontefice massimo, dopo essersi battuto affinché tornasse una carica elettiva. Nel frattempo, abbandonò la storica abitazione di Suburra per trasferirsi sulla via Sacra.
Giulio Cesare, il triumvirato e il consolato
Seppur scagionato dalle accuse, Giulio Cesare ebbe un ruolo attivo nella doppia congiura di Catilina, un nobile decaduto che tentò di portare Crasso al potere: in cambio avrebbe ricevuto la carica di magister equitem del ‘neoeletto’ imperatore. La congiura, ad ogni modo, fallì per l’improvviso ripensamento dello stesso Crasso. Nel 62 a.C., poco dopo aver scoperto l’amante della moglie (poi ripudiata) Publio Clodio Pulcro vestito da ancella nella sua casa, assunse il ruolo di pretore. Dovette in un primo momento rinunciarvi a causa del caos sorto a seguito di una legge che prevedeva il rientro nell’Urbe di Pompeo ma, dopo aver placato le ire del popolo che chiedeva a gran voce una marcia verso il Senato, venne reintegrato. Nel 61 a.C. fu poi governatore con l’imperium di propretore della provincia della Spagna ulteriore e le sue operazioni contro i Lusitani gli valsero il trionfo al suo ritorno a Roma, al quale dovette rinunciare, e due anni più tardi – poco dopo aver stretto un’alleanza strategica con due tra i maggiori capi politici dell’epoca, Crasso e Pompeo, dando così vita al primo triumvirato – ricevette la carica di console. Programmò la fondazione di nuove colonie in Italia, riformò le leggi sui reati di concussione e ne promulgò una che imponeva al Senato di stilare le relazioni di ogni seduta: in questo modo si conquistò il sostegno incondizionato di tutta la popolazione.
Giulio Cesare: le guerre in Gallia, Germania e Britannia
Durante il proprio consolato Giulio Cesare ottenne anche il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico per cinque anni e, poco dopo, anche quello della vicina Narbonense. La scelta fu probabilmente dettata dalla volontà del Senato di allontanarlo dalla vita politica a Roma, ma grazie ai grandi successi ottenuti sui campi di battaglia riuscì ad ottenere immensi bottini e a rafforzare il proprio prestigio e la propria influenza. Partì nel 58 a.C., non prima di aver eliminato chiunque potesse ostacolare i suoi piani ed affidò la gestione dei suoi affari a Lucio Cornelio Balbo, al quale scrisse puntualmente utilizzando un codice cifrato, che prese il nome di cifrario di Cesare. Sconfisse gli Elvezi, per timore che razziassero l’attuale Italia del Nord, e quindi i Germani, che minacciavano di invadere la Gallia, spostando poi la guerra nelle regioni settentrionali, contro i Belgi. Mentre s’impegnava, da nord a sud, nell’unificazione dell’intera Gallia, mandò Publio Licinio Crasso a esplorare le coste della Britannia. Nel 55 a.C. fece trucidare oltre 200mila persone tra uomini, donne e bambini appartenenti ai popoli germanici degli Usipeti e dei Tencteri: l’operazione suscitò sdegno da alcune fazioni romane, ma il Senato reagì, invece, proclamando in suo onore una supplicatio di ringraziamento di ben 15 giorni. Nel 55 a.C. salpò verso l’inesplorata Britannia, riportando numerose vittorie una dopo l’altra e piegando la resistenza dei locali e si spinse quindi oltre il Tamigi. Domata una rivolta nella Gallia Belgica, marciò contro Treviri, Menapi ed Eburoni, per sconfiggere poi gli Arverni di Vercingetorige, ai quali si erano uniti, oltre a pressoché tutti i Celti, anche gli Edui, storici alleati dei Romani. Tra il 52 e il 50 a.C., di fatto, risolse definitamente la ‘questione gallica’, e Roma entrava ‘ufficialmente’ in possesso di una nuova, vastissima regione.
Giulio Cesare: la guerra civile a Roma e la morte
Tornato a Roma nel 49 a.C. Giulio Cesare dovette affrontare una guerra civile scatenata dal Senato: con la morte di Crasso, infatti, era saltato il vecchio triumvirato e la res pubblica romana decise di appoggiare Pompeo. Una volta sconfitto, anche piuttosto rapidamente, egli si ritirò in Egitto, dove fu ucciso (48 a.C.). Ivi si recò anche Giulio Cesare, fresco di nomina a dictator (titolo che mantenne fino alla morte nel 44 a.C.), dove rimase coinvolto nella contesa dinastica scoppiata tra Cleopatra VII e il fratello Tolomeo XIII. Risolta anche questa diatriba, entrò in guerra contro il re del Ponto Farnace II (47 a.C.), sconfiggendo poi i pompeiani, nel frattempo riorganizzatisi, a Tapso (46 a.C.) e Munda (45 a.C.). I successi gli valsero nuove elezioni a console e i titoli di imperator e dictator a vita, mentre numerose statue a lui dedicate vennero innalzate nelle piazze dell’impero. Giulio Cesare si fece promotore di un profondo rinnovamento, concedendo la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Transpadana, portò a 900 il numero dei senatori (quasi tutti suoi sostenitori), rafforzò le assemblee popolari a detrimento del Senato, aumentò il numero dei magistrati, rinnovò l’organizzazione dei municipi, senza sottovalutare la continua espansione territoriale (pianificando l’annessione dell’intera Europa continentale, alla quale non potè assistere), la realizzazione di maestose opere architettoniche, volte a ‘stupire’ la plebe, la riorganizzazione dell’Urbe, ormai sovrappopolata, e dell’esercito. A causa di una serie di nefasti presagi, il giorno delle Idi di marzo, il 15 del mese, del 44 a.C. Calpurnia – l’ultima delle sue mogli – lo pregò di restare in casa. Cesare, che soltanto la sera prima aveva detto di preferire una morte improvvisa al lento logorio della vecchiaia, seppur con poche forze, venne convinto dal congiurato Decimo Bruto Albino a recarsi comunque in Senato. Una volta in strada venne avvicinato dall’indovino Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo avvertiva dell’imminente pericolo, ma non vi riuscì a causa della folla che lo circondava. Entrò quindi in Senato, si sedette al suo seggio e venne immediatamente accerchiato – con banali scuse – dai congiurati. Al segnale convenuto, Publio Servilio Casca Longo colpì Cesare al collo con un pugnale, causandogli tuttavia soltanto una ferita superficiale. Egli reagì, ma venne assalito da tutti i congiurati, ognuno armato di pugnale e si dice che, prima dell’ultimo dei 23 colpi subiti, si lasciò scivolare l’orlo della toga fino alle ginocchia, per morire più decorosamente e, alla vista di quello che aveva sempre ritenuto suo figlio, Marco Giunio Bruto – in quanto partorito dall’affascinante e politicamente potente Servilla, con la quale aveva avuto una relazione nota a tutti – affermò: “Tu quoque, Brute, fili mi!” (cioè, “Anche tu, Bruto, figlio mio!”).