Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, in provincia di Agrigento, l’8 gennaio 1921. È fra i più celebri, scrittori, giornalisti, saggisti, drammaturghi e poeti di tutti i tempi. È anche un esigente critico d’arte.
A renderlo così eclettico è il suo spirito libero e anticonformista. Inoltre è anche un precursore dei tempi, raccontando per la prima volta il fenomeno della mafia nei suoi libri. Due fra tutti sono Il giorno della civetta e A ciascuno il suo.
Per lui la scrittura non è un lavoro e ama moltissimo leggere. A chi lo accusa di pessimismo risponde che scrivere è un atto di fondamentale ottimismo, e questa attività diventa il suo impegno più importante. Attraverso i libri, si schiera anche politicamente.
Figlio di papà Pasquale, impiegato, e mamma Genoveffa, casalinga, da piccolo è circondato dalle zie. Nel 1935 si trasferisce a Caltanissetta e studia all’istituto magistrale. A influenzarlo sono gli autori francesi come Voltaire e Montesquieu, Pietro Verri e Cesare Beccaria. Viene assegnato ai servizi di leva sedentari. Dopo il diploma, lavora al Consorzio Agrario fino al 1948 e costruisce un legame con i contadini del luogo.
Nel 1944 sposa Maria Ardonico e insieme hanno due figlie, Laura e Anna Maria. Nel 1948 affronta la perdita del fratello Giuseppe che muore suicida. Nel 1957 si trasferisce a Roma e lavora al Ministero della Pubblica Istruzione per un anno.
Torna a Caltanissetta e viene impiegato al Patronato scolastico. Nel 1967, invece, si sposta a Palermo per assecondare gli studi delle figlie e per scrivere. Nel 1969 comincia a collaborare per il Corriere della Sera, e un anno dopo va in pensione.
Continua con la sua scrittura, che associa all’impegno politico. A metà degli anni ‘80 gli diagnosticano un mieloma multiplo e muore a Palermo il 20 novembre del 1989.
Le sue opere vengono sin da subito apprezzate. Il suo esordio – Favole della dittatura – viene recensito anche da Pier Paolo Pasolini. Attraverso dei personaggi atipici, gli animali, analizza la storia contemporanea. Intanto collabora con diversi giornali e riceve premi del calibro del Pirandello.
Pubblica diversi racconti a sfondo politico, ma uno dei suoi capolavori è il già citato I giorni della Civetta, che verrà adattato al cinema da Damiano Damiani. La prima edizione viene anticipata sulla Rivista Mondo Nuovo: “La verità sottintesa alla finzione del romanzo scritta in una libertà non piena ma significativa, nei confronti di una letteratura che fino a quel momento aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica, e di una società che, negli organi politici e d’informazione, ne negava addirittura l’esistenza”, dichiara lo scrittore.
Il consiglio d’Egitto e A ciascuno il suo lo consacrano. Nel 1971 torna a poliziesco con Il contesto, nel 1973 pubblica Il mare colore del vino e nel 1974 Todo Modo che parla “di cattolici che fanno politica” e che suscita molto scalpore. Muore a Palermo il 20 novembre 1989.
Fra le sue frasi più celebri, “A un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”. Oppure: “Io divido l’umanità in cinque categorie: ci sono gli uomini veri, i mezzi uomini, gli ominicchi, poi — mi scusi — i ruffiani e in ultimo, come se non ci fossero, i quaquaraquà. Sono pochissimi gli uomini, i mezzi uomini pochi, già molti di più gli ominicchi: sono come bambini che si credono grandi. Quanto ai ruffiani, stanno diventando un vero esercito! E infine i quaquaraquà, il branco di oche”, questa viene spesso citata tutt’ora.