Allarme cutting tra i giovani, l'appello della professoressa
Atti di autolesionismo in crescita tra i giovani. Una professoressa dell'Università di Macerata ha spiegato il fenomeno: cosa può fare la scuola
Tra i giovani è allarme cutting. Si tratta di un fenomeno complesso, ampio, che spesso viene sottovalutato, non compreso, ignorato, ma che può portare a conseguenze molto gravi per gli adolescenti. Alessandra Fermani, professoressa di Psicologia sociale all’Università di Macerata (Unimc), a Il Resto del Carlino ha voluto spiegare di che cosa si parla, come si manifesta e cosa si può fare per aiutare i giovanissimi ad affrontare una problematica preoccupante.
Cutting, fenomeno in crescita tra i giovani
Il cutting è un fenomeno allarmante tra gli adolescenti e, purtroppo, in crescita. Gli atti di autolesionismo sono, infatti, in aumento nelle fasce d’età più giovani. Sono tanti i modi con cui questo problema molto importante si presenta. Come sostenuto dalla docente universitaria nella sua intervista, le condotte sono molto ampie e spesso vengono tenute nascoste dai ragazzi, che trovano il modo di non farsi scoprire da genitori, insegnanti, amici.
Dati precisi su questo fenomeno non esistono, perché spesso tali comportamenti vengono tenuti nascosti: ci si rivolge in ospedale solo quando la situazione è troppo grave e non si può gestire in famiglia, altrimenti queste condotte tendono a restare ben celate tra le mura domestiche.
Cos’è il cutting e perché i giovani lo fanno
Con il termine cutting si indicano tutte quelle forme di autolesionismo compiute per farsi del male fisicamente, così da coprire il dolore emotivo provato. I ragazzi sbattono la testa contro il muro, si infliggono delle ferite, si bruciano, si fanno dei tagli, per poter provare subito un male così forte da dimenticare per un attimo quello che sentono nel loro cuore e che li fa soffrire. “I giovani si strappano i capelli, si tagliano, non mangiano. Arrivano fino al suicidio, la condotta autolesionista estrema. Il disagio psicologico viene colmato, in un certo senso ’nascosto’ attraverso il dolore fisico. Chi si fa del male trova un sollievo, ovviamente solo momentaneo, con una sofferenza fisica più tangibile”, ha spiegato la docente.
La professoressa spiega che gli ormoni che entrano in azione quando si provano dolore morale e dolore fisico sono molto simili. Perché i ragazzi lo fanno? Facendosi del male i ragazzi cercano di attenuare il dolore emotivo che provano. Sono molti i fattori che possono scatenare questi atti di autolesionismo: problemi nel linguaggio, nelle relazioni sociali, nell’apprendimento, ma anche una scarsa regolazione emotiva e disturbi come autismo e ADHD possono peggiorare la situazione e condurre a tali comportamenti.
Il cutting e il ruolo della scuola
La professoressa Fermani ha sottolineato che quando la problematica arriva all’attenzione della neuropsichiatria infantile “il problema potrebbe essere cronicizzato, dato che i ragazzi spesso si vergognano, non lo dicono ai genitori e quest’ultimi possono far fatica ad accorgersene”. Si tende a considerare tali comportamenti come “bizzarri o incomprensibili”. “Per affrontare efficacemente questa problematica è necessario uno sguardo attento e formato, in grado di uscire dai parametri della normalità e cogliere i segnali nascosti. Molto importante è la collaborazione con le scuole e la loro attenzione al tema”.
Secondo la docente i segnali di tali problematiche si possono già vedere dalla scuola primaria, talvolta anche dalla scuola dell’infanzia. “Un insegnante adeguato, in grado di riconoscere le esigenze latenti di questi ragazzi, può fare la differenza. Al contrario, se non si interviene correttamente, la scuola può diventare un ulteriore fattore di frustrazione, soprattutto per chi cerca inconsciamente attenzione. Se il comportamento autolesionista è una richiesta di attenzione, una risposta inappropriata potrebbe rafforzare questa condotta, poiché il ragazzo impara che in questo modo riesce a ottenere ciò che cerca”.