Introduzione al Paradiso e alla sua struttura
Il terzo dei tre regni dell'Oltretomba cristiano visitati da Dante nel corso del viaggio è composto da nove cieli
La struttura del Paradiso
Il Paradiso è la terza delle tre Cantiche che compongono la Divina Commedia di Dante Alighieri. Il poeta fiorentino lo immagina basandosi sul sistema geocentrico di Aristotele e di Claudio Tolomeo, con la Terra al centro dell’universo e, intorno ad essa, nove sfere concentriche. A differenza dell’Inferno, che è un luogo che si trova sul nostro pianeta, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, composto da nove cieli: i primi sette prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare (nell’ordine, Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), mentre gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile. Il tutto è contenuto nell’Empireo, chiamato anche decimo cielo, che corrisponde alla sede di Dio, degli angeli e dei beati. L’ingresso del Paradiso, invece, è situato sulla cima della montagna del Purgatorio: è qui che Beatrice, simbolo della Grazia della fede e della Teologia, si sostituisce a Virgilio, che rappresenta la Ragione, nel ruolo di guida nel viaggio del protagonista. Tale avvicendamento intende simboleggiare l’impossibilità per l’uomo di raggiungere Dio con la mera ragione umana: piuttosto, si rendono necessari uno scarto intuitivo e, soprattutto, un diverso livello di “ragione divina” (intesa come verità illuminata), che sono impersonificati dalla donna. Più avanti, poi, Beatrice lascerà maggiore spazio a san Bernardo di Chiaravalle, pur restando sempre presente e pregando per il poeta fiorentino nel momento dell’invocazione finale del santo alla Madonna. Del resto, la stessa Teologia, cioè Beatrice, non è abbastanza per elevarsi alla visione di Dio, cui si può giungere soltanto attraverso la contemplazione mistica dell’estasi, che è, appunto, allegoricamente rappresentata da san Bernardo.
L’ineffabile, la luce e la beatitudine
Il Paradiso, secondo la concezione cattolica, non si può rappresentare, in quanto è ineffabile: si può soltanto intuirlo nel colmo della fede, come una mistica aspirazione, ma la sua realtà rimane sovrasensibile ed esclude sia la comprensione che la raffigurazione. L’impresa del Dante-autore, quindi, è quella di descrivere la trascendenza divina e l’ineffabilità dei suoi misteri ed è proprio in questa antinomia che si riflettono la difficoltà e, al tempo stesso, la qualità linguistica della terza Cantica. Il poeta, quindi, punta ad esprimere l’incomunicabile, in quella che appare una cosa assurda, al di fuori d’ogni realizzazione: infatti, se l’intelletto e la parola hanno la presunzione di rappresentare il Paradiso e di ridurlo in termini espositivi, questo perderà di conseguenza la sua natura trascendente e sovrumana. Ecco perché Dante non racconta il Paradiso nella sua inattingibile verità, ma semplicemente facendone intravedere l’intatta eternità e l’immensa beatitudine con i mezzi impari di cui dispone la parola dell’uomo: la dicotomia che si viene a creare è quella tra l’interna intuizione del Paradiso, inteso come simulacro esemplare dell’anima, e l’incapacità umana di raffigurarne realmente l’essenza. Ad ogni modo, nel Paradiso dimora l’eterna beatitudine e le anime, colme di grazia, contemplano la divinità di Dio. Man mano che Dante prosegue il proprio cammino, intorno a lui aumenta la luminosità, persino sul sorriso di Beatrice, che diventa sempre più abbagliante. E tale escalation prosegue fin quando riesce a vedere Dio e a contemplare la Trinità grazie all’intercessione della Madonna invocata da San Bernardo. L’elemento della luce e il ruolo della vista sono aspetti fondamentali: i cieli dei beati, infatti, sono costantemente pervasi dal fulgore della luce divina, mentre la vista di Dante si affina sempre più. Per quanto riguarda, infine, il rapporto con i beati, questo è molto diverso rispetto a quello avuto con i dannati dell’Inferno e i penitenti del Purgatorio: tutti gli spiriti del Paradiso, infatti, risiedono nell’Empireo, e precisamente nella Candida Rosa, dal quale essi contemplano direttamente Dio. Però, al fine di rendere più comprensibile l’esperienza, le figure gli appaiono di cielo in cielo, in una precisa corrispondenza astrologica tra la qualità di ogni pianeta e il tipo di esperienza spirituale compiuta dal personaggio descritto: così, ad esempio, nel cielo di Venere appaiono gli spiriti amanti e in quello di Saturno quelli contemplativi.