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La filosofia del diritto: libertà e Stato in Hegel

Nella sua ultima opera il filosofo tedesco espone gli aspetti fondamentali dello sviluppo dialettico dell'Idea che mira a comprendere concettualmente lo Stato

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Il diritto

Nella sua ultima opera ‘Lineamenti di filosofia del diritto: Diritto naturale e scienza dello Stato in compendi’, pubblicata nel 1820, Hegel ha analizzato gli aspetti fondamentali dello sviluppo dialettico dell’Idea, la quale mira a comprendere concettualmente lo Stato e ad esporlo come qualcosa di intimamente razionale. In primis, il diritto studia la volontà libera in sé per sé, nel suo concetto astratto e nella determinazione dell’immediatezza: pertanto, è formale (in quanto prescinde dall’intenzione), è distinto dalla morale (perché considera solo se la mia azione è conforme alla legge) e non ha né i mezzi né il fine di stabilire la volontà delle parti prima dell’atto. Il diritto può essere, quindi, inteso come un insieme di regole che la società si dà per impedire la conflittualità delle volontà e il concetto di fondo a cui si ispira è “Sii te stesso e rispetta gli altri come persone”, riprendendo – e superando – l’imperativo categorico dell’etica di Kant. Secondo Hegel, infatti, nel campo dell’universalità ci sono diversi gradi di generalità e il principio kantiano può e deve caratterizzarsi con ulteriori regole, sempre altrettanto universalmente valide, ma più particolari e circostanziate, più vicine all’oggetto (il bene oggettivo), in modo da fornire alle persone dei valori di riferimento. Nella filosofia hegeliana la famiglia, la società civile e lo Stato rappresentano il massimo dei valori e dell’eticità.

Lo Stato

Lo Stato, in particolare, va inteso come la sintesi di famiglia e società civile e costituisce il momento più alto dell’Eticità. Si colloca cronologicamente alla fine dell’ethos, ma in realtà è presente logicamente fin dall’inizio, nel senso che è idealmente presente già nella formazione della famiglia e della società civile stesse, le quali perderebbero di significato e di realtà se non mirassero sin dal principio alla formazione dello Stato. Per tale motivo, Hegel definisce lo Stato la realtà dell’idea etica, in quanto in esso si realizza l’intera eticità. Lo Stato etico, quindi, non è una somma di volontà individuali, ma è Spirito vivente, oltre che la Ragione che con un’opera millenaria si è incarnata in un’istituzione al di sopra dei singoli. Nonostante ciò, esso non è al vertice della sua ontologia, ma solo dello Spirito oggettivo, e non va considerato come un luogo di pace perpetua, dal momento che arte, religione e filosofia nascono proprio dalla contrapposizione dialettica dello Stato (o meglio, dello Spirito oggettivo) con gli altri tre momenti dello Spirito Soggettivo. Lo Stato, inoltre, non nasce da un contratto stipulato fra gli individui, poiché non sono questi a formare lo Stato ma, al contrario, è lo Stato a formare gli individui: siamo di fronte al cosiddetto anti-contrattualismo di Hegel. Ad ogni modo, essendo il momento della manifestazione dello Spirito nella storia, lo Stato è giusto, giuridicamente lecito ed è storicamente inevitabile che esista, essendo più importante degli individui e sopravvivendo ad essi (è il momento più alto, di sintesi dello Spirito oggettivo); non è indipendente dagli individui, che nel tempo lo precedono (vi è coincidenza del diritto privato con l’etica pubblica); non esclude il singolo individuo dalla politica, per ricordarsi di lui nel solo momento del bisogno, cioè la guerra (così come Kant, considera la partecipazione del cittadino alla vita politica un diritto-dovere). Le convinzioni di Hegel lo impossibilitano dal pensare uno Stato di modello liberale, che finirebbe per perdere ogni sua funzione nel semplice compito di tutelare gli interessi delle parti. Egli, poi, è critico anche nei confronti della democrazia, in quanto la sovranità non può appartenere al popolo, perché il popolo senza lo Stato altro non è che una massa informe. Per questo la teoria dello Stato hegeliana è stata spesso letta a supporto di regimi totalitari, ma è importante sottolineare che essa contiene, al contrario, alcuni principi che potrebbero essere presi a supporto di una democrazia moderna, poiché lo Stato è un’idea che non può esistere senza una materia reale, che è il popolo: in altre parole, lo Stato è un tutt’uno con il popolo, una visione che conferma il suo rigetto per il contrattualismo e per il giusnaturalismo, ritenendo inaccettabile che esista un diritto prima e oltre lo Stato. Hegel, infatti, nei suoi scritti sostiene il principio della separazione dei poteri, anche se non in una forma perfetta e rigida, che comprometterebbe l’unità dello Stato. La sua idea di separazione dei poteri ha una fondazione filosofica addirittura più forte di quella illuministica, dal momento che non la fa risalire alla tutela della libertà di qualcosa di esterno allo Stato, e cioè il singolo individuo, bensì alla natura e alla definizione stessa di Stato inteso come organismo vivente (lo Stato etico), che attraversa i tre momenti della dialettica, sia quella espressa nel rapporto tra i tre poteri, sia quella della loro vita interna. Il suo rifiuto per la sovranità popolare riguarda il principio della sua epoca, che riguardava la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica, ma si mostra apertamente favorevole a una partecipazione rappresentativa in cui le leggi vengono votate da un Parlamento eletto direttamente dal popolo. Ad ogni modo, la sua forma di governo ideale è la monarchia costituzionale, capace di risolvere organicamente in se stessa anche le altre forme classiche di governo: monarchia (perché il monarca è uno), aristocrazia (al potere governativo intervengono alcuni) e democrazia (con il potere legislativo si manifesta la pluralità in genere). Lo Stato, quindi, si costituisce autonomamente e nel modo migliore sviluppando una triadica divisione dei poteri: il potere legislativo, suddiviso in due Camere (una conservatrice e una progressista), il potere esecutivo (che comprende magistratura e polizia) e il potere sovrano (il re, che è contemporaneamente individualità, in quanto il re è unico, e universalità, rappresentando l’intero Stato e, quindi, l’intero popolo). Il re, tuttavia, non possedendo un potere assoluto, dovrà sempre attenersi alla situazione legislativa vigente, approvata ed emanata dagli altri due poteri. La guerra, invece, viene vista come l'”astuzia della ragione”, cioè un atto necessario per determinare i rapporti di forza e stabilire le misure dei diritti dell’uno sull’altro, e ogni Stato ha il diritto di ricorrervi al fine di conservare la propria sovranità e indipendenza: è intesa, quindi, come sola forma di legittima difesa, un male necessario che nobilita l’uomo tanto quanto il lavoro in tempo di pace. Combattendo e rinunciando alla proprietà e alla vita per lo Stato, l’uomo si spende per un ideale nobile e per un fine che non è solo proprio e particolare, ma è anche un bene comune degli altri.