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Libertà, male e inconscio: la filosofia tardiva di Schelling

Tra i principali esponenti dell’idealismo tedesco, fu nella sua fase fortemente influenzata dalle inclinazioni teosofiche che elaborò la filosofia del male e della libertà

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

L’evoluzione filosofica

Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, tra i principali esponenti dell’idealismo tedesco, si dedicò inizialmente alla filosofia trascendentale d’ispirazione fichtiana e, parallelamente, a quella filosofia della natura, nell’idea dell’arte come manifestazione dell’infinito nel finito. Ma fu nella sua fase fortemente influenzata dalle inclinazioni teosofiche che elaborò la filosofia del male e della libertà, oltre che – con opere quasi sempre postume – le “età del mondo” intese come epoche della manifestazione di Dio. Ciò avvenne in un periodo in cui, assistendo al “trionfo” di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, che aveva creduto di risolvere l’intera realtà e le sue contraddizioni nella Ragione assoluta, cercò di confutare e superare il pensiero del suo ormai ex amico, oltre che di replicare alle critiche che egli stesso gli mosse. In altre parole, Schelling reinterpretò l’idealismo tedesco non più nell’ottica hegeliana dell’immanentismo logico, bensì riaffermando i valori della libertà e della trascendenza – in maniera del tutto simile a quanto successo al suo predecessore Fichte – attestandosi su posizioni via via sempre più vicine al Cristianesimo e, in particolare, al Cattolicesimo.

La teosofica di Schelling

Nella seconda fase del suo pensiero, meglio nota come «teosofica» e datata all’incirca 1809, cioè quando vennero pubblicate le ‘Ricerche filosofiche sul la essenza della libertà umana e gli oggetti che vi si collegano’, Schelling, riprendendo alcuni temi già elaborati dai mistici tedeschi, su tutti Jakob Böhme, tornò sul problema di come far derivare la molteplicità dall’Uno indifferenziato. Pertanto, al fine di giustificare la presenza della diversità e della storicità, senza tuttavia ridurle a semplici inganni e apparenze (così come insinuato da Hegel), e per evitare al tempo stesso la caduta in un dualismo insanabile in cui l’unità indistinta di Dio risulti contrapposta alla dispersione e mutevolezza del mondo, affermò l’importanza di ammettere che la storia e il divenire abbiano in Dio stesso il loro fondamento. Infatti, ciò è possibile soltanto nel caso in cui Dio venga inteso non tanto come un essere statico, quanto piuttosto come un Dio vivo ed esistente, che accolga in sé la storia e la vita, tale per cui Egli non soltanto è, ma diviene. Schelling si rifece così al bipolarismo spirito/natura, asserendo che la natura rappresenta l’aspetto oscuro e inconscio di Dio, da pensare come un abisso profondo dal quale Dio emerge, rivelando se stesso come Persona e facendo trionfare la luce sull’oscurità. Ad ogni modo, Schelling chiarì che le tenebre – di per sé – non rappresentano un principio del male, bensì il fondamento attraverso il quale Dio si attua come ‘causa sui‘, cioè causa di sé. In questo fondo oscuro, tuttavia, risiede la possibilità del male, che non è, dunque, un semplice non-essere, ma una potenzialità, che deve essere assolutamente sconfitta. Dio, infatti, scegliendo il bene, ha dato prova della vittoria sulla morte, riconciliando e riunificando in sé la natura e lo spirito, cioè il fondamento e l’esistenza, in maniera definitiva. L’uomo, al contrario, da intendere come un Dio in divenire, dove tutto è ancora provvisorio, può decidere di separare i due princìpi opposti, lacerandone l’unità. Pertanto, il male altro non è che il risultato della libera volontà dell’uomo di scegliere la strada della ribellione, attuando così quella scissione che in Dio era presente soltanto in forma latente e, ad ogni modo, come una possibilità già vinta. Inoltre, il male, a causa della sua intrinseca irrazionalità, non può essere sconfitto con la sola ragione, ma è necessaria anche la fede. L’uomo, del resto, creato a immagine di Dio, è un essere spirituale nel quale si mostra il Creatore: tuttavia, egli è un Dio caduto e che, all’unione, ha preferito la via della discordia e della molteplicità. Il disperato tentativo dell’uomo di ricucire questa separazione tra il fondo oscuro della natura e la luce della ragione, poi, dimostra sì la sua natura peccaminosa, ma anche quella divina: per Schelling, però, in tale ‘caduta’ vide implicita anche la redenzione. Con tale tesi egli ottenne fondamentalmente tre risultati: in primis, diede vita a una concezione di Dio come Persona e come Dio vivente, in maniera del tutto analoga al Cristianesimo, poi, riconobbe come il male non fosse soltanto negatività o privazione di essere come sosteneva l’agostinismo filosofico, ma possiede una sua positività (che non va intesa come un’assoluta contrapposizione al Bene) e, infine, respinse le accuse di Hegel, escludendo ogni possibilità di intesa con il suo sistema e il suo panlogismo: la sua pretesa di razionalizzare tutto, del resto, non teneva conto della presenza del male, che consiste proprio nell’impossibilità di trovare spiegazione ad ogni problema. Per Schelling, infatti, la filosofia doveva essere lo strumento per spiegare il significato dell’irrazionale, una missione che perseguì fino ai suoi ultimi giorni di vita.