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Astolfo sulla Luna nell'Orlando Furioso: riassunto e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Tra i tanti episodi memorabili dell’Orlando Furioso, l’avventura di Astolfo sulla Luna occupa un posto di rilievo per la sua carica simbolica, filosofica e poetica. Questo episodio, collocato nel canto XXXIV, è una delle parti più celebri dell’intero poema di Ludovico Ariosto, non solo per la sua fantasia visionaria, ma anche per la profondità del suo significato.

Attraverso la narrazione di un viaggio fantastico nello spazio, Ariosto affronta temi universali come la follia, la perdita della ragione, il limite dell’intelligenza umana e il valore della parola. L’impresa di Astolfo non è un semplice divertimento letterario, ma una metafora potente e raffinata, che mostra tutta la modernità del poeta ferrarese.

Il contesto narrativo: la follia di Orlando

L’episodio si inserisce in una delle trame principali del poema: la follia di Orlando, il più valoroso dei paladini cristiani, che ha perso il senno per amore della bella Angelica.

Dopo aver scoperto che la donna è fuggita con il giovane Medoro, Orlando si abbandona a un delirio distruttivo, spogliandosi delle armi e dei vestiti e lasciandosi andare alla furia, come un selvaggio preda dell’istinto. L’impazzimento del paladino non è solo una crisi personale, ma un simbolo più ampio del disordine, dell’irrazionalità che può travolgere anche gli uomini più forti e razionali.

Il compito di ritrovare il senno perduto viene affidato ad Astolfo, paladino dalla natura ironica, leggera ma anche astuta e coraggiosa, che accetta la sfida più bizzarra e ardua: recarsi fino alla Luna, dove si trovano tutte le cose perdute sulla Terra.

Il viaggio fantastico: da Etiopia al cielo

Il viaggio di Astolfo comincia in Africa, dove incontra il santo eremita Giovanni Evangelista, che lo guida in questa missione straordinaria. Grazie a una biga trainata da ippogrifi alati, Astolfo ascende al cielo, attraversando le sfere celesti fino a raggiungere il regno lunare. L’immaginazione ariostesca si nutre qui di riferimenti alla cosmologia tolemaica, ma li reinventa con una libertà e un’ironia tutte rinascimentali.

La Luna viene descritta come uno specchio della Terra, un luogo dove nulla è creato, ma tutto ciò che viene smarrito si raccoglie e si conserva: fama, tempo, occasioni mancate, lacrime, sospiri, desideri, persino le preghiere non esaudite. È un mondo parallelo, governato da una logica capovolta, dove ogni oggetto ha un senso solo in relazione alla sua assenza sulla Terra.

Il senno perduto: l’alambicco della ragione

Tra tutte le cose smarrite e raccolte sulla Luna, l’oggetto più prezioso che Astolfo deve ritrovare è il senno di Orlando, contenuto in un’ampolla di cristallo, custodita con cura tra le molte altre forme di ragione perdute dagli uomini.

Per recuperarlo, l’eremita lo affida a un alambicco d’oro, con il quale Astolfo potrà poi restituire la ragione al paladino impazzito. Questa immagine dell’alambicco, tratto dal linguaggio dell’alchimia, è profondamente allegorica: rappresenta il potere della sapienza, della conoscenza che distilla e purifica, separando il vero dal falso, il lucido dal folle.

Il senno non è qualcosa che si inventa o si conquista una volta per tutte, ma qualcosa che si può perdere e recuperare, se si è guidati dalla volontà e dalla saggezza.

Un’allegoria della condizione umana

L’episodio sulla Luna è denso di significati allegorici e filosofici. Ariosto non si limita a divertirsi con un’idea surreale, ma costruisce un’immagine ironica e amara della fragilità dell’intelletto umano.

Tutto ciò che si perde sulla Terra, tutto ciò che sembra svanire nel nulla, in realtà ha un posto, un’esistenza altrove, in uno spazio che rappresenta l’invisibile, l’intangibile, l’inconscio collettivo. La Luna diventa quindi metafora dell’inconsistenza delle cose mondane, dell’illusione, della vanità, ma anche della possibilità di recuperare ciò che si credeva irrimediabilmente smarrito.

Il fatto che il senno di Orlando sia conservato intatto dimostra che la follia non è definitiva, che anche chi si è perduto nella passione e nel dolore può tornare alla luce della ragione.

Il ritorno sulla Terra e la restituzione del senno

Conclusa la missione lunare, Astolfo ritorna sulla Terra e si reca presso Orlando, ancora in preda alla sua furia distruttiva. In una scena di grande forza simbolica, il paladino viene costretto a inspirare i vapori del suo senno attraverso le narici, come a rientrare in sé, come a riappropriarsi della propria identità profonda.

Il gesto è comico ma anche profondamente toccante: in quel momento, Orlando torna lucido, consapevole del proprio errore e della vergogna per ciò che ha fatto. Il recupero della ragione diventa così la conclusione di un ciclo: la passione cieca lascia spazio alla maturità, e l’uomo può rientrare nel mondo con una nuova consapevolezza. Ariosto ci mostra che la vera eroicità non sta solo nella forza fisica, ma nella capacità di riconoscere la propria debolezza e superarla.

Un’interpretazione rinascimentale della follia

L’episodio di Astolfo sulla Luna si inserisce perfettamente nella visione rinascimentale dell’uomo e della conoscenza. Ariosto, pur giocando con elementi fantastici, propone una riflessione lucida e razionale sulla natura dell’essere umano, sui suoi limiti e sulle sue potenzialità.

La follia non è un castigo divino né una maledizione irreversibile, ma una condizione passeggera, legata alle passioni e agli affetti. La ragione, al contrario, è fragile ma recuperabile, a patto che l’uomo si affidi alla guida del sapere, della cultura e della spiritualità.

Il viaggio sulla Luna, quindi, è anche un viaggio dentro l’animo umano, un’esplorazione delle sue ombre e delle sue luci, condotta con lo sguardo ironico ma partecipe di un autore che conosce a fondo le debolezze del suo tempo e dei suoi lettori.