Dino Buzzati, il deserto dei tartari
La solitudine, l’attesa, il tempo che scorre inesorabile, le beffe del destino: l’opera più famosa dell’eclettico autore cela un mondo di significati nascosti all’interno di una narrazione solo apparentemente semplice
“Il deserto dei Tartari”, pubblicato per la prima volta nel 1940, è il romanzo più celebre scritto da Dino Buzzati. Considerato un capolavoro della letteratura italiana del XX secolo, è un’opera profondamente simbolica e riflessiva, che dietro una narrazione apparentemente semplice, cela l’esplorazione di temi universali e si rivela ricca di significati nascosti.
L’opera è stata interpretata come una critica alla società moderna, alla burocrazia e all’alienazione dell’individuo. La sua esplorazione dell’attesa e del tempo ha influenzato le esperienze di molte persone, come la metafora del deserto e della fortezza hanno ispirato anche altre opere letterarie e artistiche, all’insegna della presa di coscienza della condizione umana universale.
Come tutta l’opera di Buzzati, il romanzo è stato affiancato dalla critica per il suo “realismo magico”, ai temi e alle atmosfere kafkiane. Nonostante le reticenze dello stesso autore, infatti, il nomignolo di “Kafka italiano”, resterà il suo biglietto da visita fino ai giorni nostri. In realtà, però, il tema del “Deserto dei tartari”, pur richiamando in maniera evidente “Il processo” dello scrittore boemo, non è l’oppressione di un potere estraneo all’individuo che lo trascina nella vita, ma la “fuga del tempo”, lo scorrere inarrestabile della vita nell’alienazione di una vana speranza, l’inutile attesa di un significato mai trovato dell’esistenza.
Trama
Il romanzo racconta la vita di Drogo, che appare per la prima volta nel libro già diciottenne. Completato l’addestramento militare, il giovane sottufficiale si candida a prestare servizio al fronte e viene reclutato e inviato a far parte della guarnigione di stanza nell’ultima roccaforte sul confine settentrionale, la Fortezza Bastiani, immersa nel cosiddetto “deserto dei Tartari”, un luogo epico che si racconta sia stato teatro di eroiche battaglie combattute contro nemici leggendari. In realtà però, quando Drogo giunge a destinazione, carico di sogni e aspettativa, si rende subito conto che c’è qualcosa che non torna, la mitica Fortezza si presenta in condizioni di abbandono e non certo sull’allerta in caso di invasione da parte dei Tartari. Una minaccia che prende sempre più contorni ipotetici e che finisce quasi per dematerializzarsi in quel luogo di attesa che si rivela in fondo essere la Bastiani, una remota postazione militare ai confini di un deserto vasto e sconosciuto.
Drogo trascorre dunque lunghi anni seguendo una monotona routine, ma continuando irrazionalmente a sperare in un evento straordinario che giustifichi la sua presenza in quel posto. Così, lentamente, deserto e fortezza si fanno simboli della condizione umana, l’uno rappresenta il vuoto esistenziale suscitato dalla paura dell’ignoto, l’altra l’illusione di sicurezza, che altro non è che la prigione delle aspettative non realizzate. In mezzo c’è Drogo, incarnazione dell’uomo moderno, che vive una vita fatta di attesa e speranza per un qualcosa di significativo, che però potrebbe anche non arrivare mai.
Ed è proprio nell’attesa che l’esistenza di Drogo trova il suo compimento, il “nulla” della routine quotidiana nella Fortezza diventa anche il “tutto” per il sottoufficiale che, tornato a casa in licenza per quattro anni e resosi conto del senso di disagio che gli suscita la vita cittadina, chiede e ottiene di tornare in quello che è diventato il suo mondo.
Eppure se Fortezza Bastiani il giorno del suo primo arrivo gli era apparsa abbandonata a se stessa, ora è addirittura in disarmo. La guarnigione è stata ulteriormente ridotta ed è appena sufficiente a tenerla aperta. Ma a Drogo non importa, ricomincia l’attesa che qualcosa accada e anche i movimenti avvistati in fondo alla pianura, che in realtà riguardano la costruzione di una strada ad opera del Regno del Nord, procurano un fremito e rinfocolano un’aspettativa, ancora una volta disattesa.
Gli anni corrono via lenti e veloci, certamente invano, immaginando un evento che non si paleserà mai, e Drogo è diventato maggiore e vice comandante della Fortezza Bastiani. Perché se una cosa ha fatto nella sua vita, oltre ad aspettare invano, è stata la costanza nello svolgere la carriera militare. Una coerenza e una dedizione che però non gli basteranno per dare un senso compiuto alla sua esistenza, perché proprio nel momento in cui improvvisamente giungono alla Fortezza due reggimenti di rinforzo in vista finalmente di un imminente confronto con i Tartari, Drogo, ormai malato terminale, dovrà far posto ai nuovi ufficiali e verrà trasferito dal comandante Simeoni in una locanda sperduta, dove spirerà mentre altri vivono quel momento in realtà atteso da lui per tutta la vita.
“Mangiato dal male, esiliato tra ignota gente”, però, Drogo lascerà questo mondo senza l’ombra di un rimpianto. Né rabbia, né delusione affiorano nel suo congedo da questo mondo. Ripercorrendo a ritroso tutta la sua vita, infatti, il protagonista realizzerà che in realtà la sua personale missione è compiuta. Non realizzare lo scopo militare che si era dato, ma sconfiggere il nemico più grande, la paura di morire.
Analisi
“Il deserto dei Tartari” è un romanzo che quasi obbliga il lettore a cogliere i moltissimi spunti di riflessione sollecitati da Buzzati sui temi esistenziali per lui più importanti e ripetuti ossessivamente per tutta la durata del racconto.
Indubbiamente, la sensazione che più prevale sulle altre, la solitudine, è anche quella che pervade Drogo al suo arrivo alla Fortezza. Le grandi aspettative riguardanti la vita militare sono deluse già d’impatto e la prima notte non farà che intensificare l’immediato sentimento di abbandono. Un’angoscia che però viene esteriorizzata, pensando più che alla propria condizione, all’indifferenza degli altri, madre compresa.
Un senso di solitudine destinato a farsi inquietudine con il trascorrere del tempo e che si sublima tanto nel deserto che si estende davanti agli occhi di Drogo, metafora del vuoto che ingoia il suo stesso futuro, quanto nel ritorno in una casa che non riconosce più come sua, dove si accorge che come temeva tutti lo hanno dimenticato e vivono comunque serenamente, la madre non sente più i suoi passi a tarda notte e perfino la donna amata, che lo trova cambiato, appare più distante.
Anche il tema del tempo è presente e ripetuto in maniera ossessiva. Un tempo che scorre e corre, sempre più velocemente, scandendo inesorabile la vita di Drogo, che entra la Fortezza diciottenne e la lascia quasi quarant’anni più tardi. Dal giovane che per i primi due anni conserva quello slancio di chi è convinto di avere ancora tanto tempo davanti a sé, alla presa di coscienza che quel tempo è fuggito, con la sensazione di non aver colto l’attimo e che la sua vita sarà stata spesa inutilmente in quell’attesa, che è poi il cuore del romanzo. L’attesa dei soldati, che aspettano dei nemici, i Tartari, che giorno dopo giorno si rivelano essere null’altro che una leggenda. L’attesa che è diventata prima consuetudine, poi abitudine e che ingoia i ricordi e le vite precedenti degli uomini a guardia della Fortezza, che diventano parte del deserto, continuando a crogiolarsi nella speranza che qualcosa possa accadere e trovandovi anche un barlume di felicità