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Canto XXI del Purgatorio di Dante: analisi e figure retoriche

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto ventunesimo del Purgatorio si apre con un’atmosfera di ripresa e di luce, dopo il terremoto e l’esultanza che avevano chiuso il canto precedente. Dante e Virgilio sono ora nella sesta cornice del monte del Purgatorio, quella in cui si purifica il peccato dell’avarizia attraverso l’esperienza della sete e fame spirituale di giustizia. In questo contesto il poeta incontra una figura significativa e carismatica: Stazio, poeta latino vissuto nel I secolo d.C., autore della Tebaide, il quale rivelerà non solo la sua identità, ma anche il suo passato di peccatore convertito e salvato.

Il canto si costruisce attraverso un dialogo serrato e vivace tra Stazio, Virgilio e Dante, in cui si intrecciano temi teologici, riflessioni sul ruolo della poesia, sulla salvezza e sul potere delle scritture. È un canto di rivelazioni e gioia, dove l’incontro tra anime affini diventa occasione per riflettere sull’intreccio tra cultura classica e fede cristiana, tra arte e redenzione, tra umiltà e salvezza eterna.

L’arrivo di Stazio: un’anima liberata

All’inizio del canto, l’atmosfera è ancora colma dell’emozione generata dal terremoto avvenuto alla fine del canto XX. I due poeti si interrogano sul significato di quel fenomeno, ed ecco che si presenta un’anima luminosa, appena liberata dal suo periodo di espiazione, che si avvicina loro con passo leggero e volto radioso. Si tratta di Stazio, ma la sua identità non viene svelata immediatamente: inizialmente appare come un interlocutore anonimo, ma colmo di umanità e cordialità.

Il tono del suo saluto e del suo approccio rivela una disposizione d’animo pacata, affettuosa e socievole, elemento che contrasta con le condizioni dolorose della cornice in cui si trovano. Questa contrapposizione mette in risalto il carattere consolatorio del canto, in cui il dolore è ormai alle spalle e lascia spazio a una nuova gioia. L’anima appena liberata è desiderosa di incontrare altri pellegrini e di condividere con loro il proprio cammino.

È significativo che l’ingresso in scena di Stazio avvenga proprio nel momento in cui Dante e Virgilio cercano di capire meglio il significato del terremoto: è lui stesso, infatti, a fornire la spiegazione, rivelando che ogni volta che un’anima è purificata completamente e pronta a salire al Paradiso, il monte vibra come segno di esultanza e di approvazione divina. Questa informazione conferisce al terremoto una valenza mistica e gioiosa, e definisce la cornice narrativa del canto come luogo di transizione dalla pena alla gloria.

Il dialogo con Virgilio e Dante: umiltà e stupore

Una volta avviata la conversazione, il tono del dialogo diventa sempre più familiare e intimo. Stazio si mostra sinceramente incuriosito dalla presenza di un’anima viva, quella di Dante, e ancora di più dall’anima che lo guida: il grande Virgilio. Quando Dante pronuncia il nome del poeta latino, Stazio si illumina di gioia e di stupore: egli rivela di essere un devoto lettore di Virgilio, di averlo amato, studiato, seguito e addirittura considerato maestro di vita.

È a questo punto che si compie il grande gesto di umiltà e reverenza: Stazio si inchina davanti a Virgilio, che tuttavia non rivela ancora di essere, a sua volta, un’anima condannata al Limbo e quindi esclusa dalla beatitudine eterna. Il momento è di grande intensità emotiva: da una parte c’è la gratitudine sincera di un discepolo che riconosce nel proprio maestro la fonte della sua formazione spirituale, dall’altra c’è la triste consapevolezza che questo stesso maestro non potrà mai godere della visione di Dio.

Questo contrasto, tratteggiato con grande delicatezza poetica, sottolinea uno dei temi centrali del canto: la grazia e la salvezza non dipendono dalla sola virtù umana o dalla grandezza culturale, ma dal dono divino e dalla fede. Virgilio, pur avendo illuminato Stazio, resta fuori dalla beatitudine perché vissuto prima della rivelazione cristiana. È un’immagine struggente e sublime del rapporto tra cultura e fede, tra sapienza terrena e verità eterna.

La conversione di Stazio: il potere della poesia e delle Scritture

Nel proseguo del canto, Stazio racconta la propria storia personale e spirituale, e rivela un dettaglio importante e inatteso: egli si convertì al cristianesimo in segreto, ispirato anche dalla lettura della quarta egloga di Virgilio, che alcuni interpreti medievali consideravano profetica dell’avvento di Cristo. Questa dichiarazione ha un valore simbolico enorme: rappresenta il punto d’incontro tra poesia classica e rivelazione cristiana, tra la sapienza pagana e la fede nella salvezza.

Stazio è l’emblema dell’uomo colto che giunge alla verità attraverso la bellezza e la riflessione, e la sua figura incarna l’ideale dantesco dell’intellettuale che mette la propria cultura al servizio del bene e della verità. Tuttavia, Stazio aggiunge anche un elemento di umiltà profonda: pur avendo abbracciato la fede, egli non ha avuto il coraggio di manifestarla apertamente in vita, e per questo è stato condannato a un lungo periodo di purificazione nel Purgatorio.

Questo particolare arricchisce ulteriormente il suo profilo: non è un eroe perfetto, ma un’anima che ha lottato, temuto, esitato, e che proprio per questo appare più vicina all’esperienza comune. La sua salvezza, pur ottenuta, è stata preceduta da pena, rimorso e pentimento sincero, segni evidenti della dinamica purgatoriale.

Il valore simbolico dell’incontro tra Virgilio e Stazio

Uno degli aspetti più profondi del canto ventunesimo è la valenza simbolica dell’incontro tra Virgilio e Stazio. Virgilio rappresenta la sapienza umana pre-cristiana, il massimo che la ragione e la poesia possano raggiungere senza la luce della rivelazione. Stazio, invece, rappresenta il punto di passaggio, colui che, pur partendo dalla cultura classica, giunge alla fede e alla salvezza grazie a una lettura interiore e spirituale dei testi.

Il dialogo tra i due, quindi, non è solo un incontro tra maestro e discepolo, ma un dialogo tra due epoche, tra due prospettive che si incrociano nel momento della verità. Dante stesso, testimone e tramite tra i due, rappresenta il compimento di questo percorso: è lui il poeta cristiano che raccoglie l’eredità di Virgilio, che ne riconosce i limiti e ne porta a compimento la missione, fondendo la ragione antica e la fede nuova in un’unica visione.

In questo senso, il canto ventunesimo è una celebrazione del valore redentivo della cultura, ma anche un ammonimento a non considerare sufficiente il sapere umano se non è illuminato dalla grazia divina.