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All'amica risanata: testo, parafrasi e analisi della poesia

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

“All’amica risanata" è un’ode composta da Ugo Foscolo nel 1802 per celebrare la guarigione della contessa milanese Antonietta Fagnani Arese, con la quale il poeta intratteneva una relazione amorosa. Questo componimento rappresenta un esempio significativo del neoclassicismo foscoliano, in cui la bellezza femminile e il potere eternante della poesia sono temi centrali.

All’amica risanata: un’ode neoclassica

L’ode è una forma poetica di origine greca, caratterizzata da un tono elevato e solenne, spesso utilizzata per celebrare eventi importanti o persone illustri. Nella tradizione italiana, l’ode ha assunto diverse strutture metriche, mantenendo però l’intento celebrativo e l’uso di un linguaggio raffinato.

In “All’amica risanata", Foscolo adotta una struttura composta da sedici strofe, ciascuna di sei versi: i primi cinque sono settenari, alternati tra piani e sdruccioli, mentre l’ultimo è un endecasillabo. Lo schema metrico segue la sequenza ABACDD, conferendo al componimento un ritmo armonioso e musicale. Questo tipo di ode riflette l’influenza del neoclassicismo, movimento culturale che mirava a recuperare l’armonia e la purezza formale dell’antichità classica.

All’amica risanata: il testo

Qual dagli antri marini
L’astro più caro a Venere
Co’ rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo vïaggio
Orna col lume dell’eterno raggio.

Sorgon così tue dive
Membra dall’egro talamo,
E in te beltà rivive,
L’aurea beltate ond’ebbero
Ristoro unico a’ mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa; tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidïando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de’ farmachi,
Oggi l’indica veste,
E i monili cui gemmano
Effigïati Dei
Inclito studio di scalpelli achei.

E i candidi coturni
E gli amuleti recano
Onde a’ cori notturni
Te, Dea, mirando obbliano
I garzoni le danze,
Te principio d’affanni e di speranze.

O quando l’arpa adorni
E co’ novelli numeri
E co’ molli contorni
Delle forme che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto.

Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l’agile
Corpo all’aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.

All’agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide all’aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l’alma salute April ti manda.

Così ancelle d’Amore
A te d’intorno volano
Invidiate l’Ore;
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.

Mortale guidatrice
D’oceanine vergini,
La Parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi
Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l’Elisio
Soglio, ed il certo têlo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona,
Un tempo invitta amazzone,
Die’ il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l’egida
Or contro l’Anglia avara
E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu; Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l’isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
Ivi era ignudo spirito
Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando su i flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira.

Ond’io, pien del nativo
Aër sacro, su l’itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie,
E avrai, divina, i voti
Fra gl’inni miei delle insubri nipoti.

All’amica risanata: la parafrasi

Come dalle caverne marine sorge la stella più cara a Venere, con i capelli stillanti rugiada, emergendo tra le tenebre che si dissolvono e adornando il suo percorso con la luce del raggio eterno; così le tue membra divine si alzano dal letto di malattia, e in te rivive la bellezza, quella bellezza dorata che ha offerto unico conforto ai mali delle menti umane, nate per sognare illusioni.

Vedo rifiorire sul tuo amato viso la rosa; i tuoi grandi occhi ritrovano il sorriso, seducendo; e per te vegliano, in nuove lacrime, madri trepidanti e amanti sospettose.

Le Ore, che prima erano tristi ministre dei medicinali, oggi ti portano la veste indiana e i monili ornati di effigi divine, frutto del nobile lavoro di scultori achei, e i candidi calzari e gli amuleti, affinché, nei cori notturni, i giovani, ammirandoti come una dea, dimentichino le danze, te, origine di affanni e speranze.

O quando adornerai l’arpa con nuovi accordi e con i morbidi contorni delle forme che la leggera stoffa asseconda, e intanto, tra i sommessi sospiri, si libra il tuo canto ancor più seducente; o quando disegnerai danze, affidando il tuo agile corpo all’aria, sfuggiranno, ignoti, vezzi dai mantelli e dal velo trascurato, disordinato sul petto agitato.

Al tuo muoverti, lentamente cadono le trecce, lucenti per il recente profumo divino, poco trattenute dal pettine dorato e dalla ghirlanda di rose che ora, con la salute dell’anima, aprile ti dona.

Così, ancelle d’Amore, le Ore ti volano intorno, invidiate; tristi, le Grazie guardino chi ti ricorda che la bellezza è fugace e il giorno della pace eterna.

Mortale guida di vergini oceanine, la pendice parrasia ospitava la casta Artemide, e faceva fischiare da lontano, per terrore dei cervi, le corde dell’arco cretese.

La fama la proclamò prole olimpica; il mondo, timoroso, la chiama dea, e le consacrò il trono elisio, la freccia infallibile, i monti e il carro della luna in cielo.

Così, altari a Bellona, un tempo invitta amazzone, diede il vocale Elicona; ella ora prepara l’elmo e lo scudo contro l’avara Inghilterra e i cavalli e il furore.

E colei alla quale ti vedo cingere, devota, il simulacro di sacro mirto, che presiede, marmoreo, agli arcani tuoi lari, dove solo a me appari sacerdotessa, fu regina; Citera e Cipro, dove eterna profuma la primavera, regnò beata, e le isole che, con il dorso boscoso, interrompono ai venti dell’est e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mare la culla, lì vaga lo spirito nudo della fanciulla di Faone, e se il notturno zeffiro dolcemente soffia sui flutti, risuonano le rive di un lamento di lira:

perciò io, colmo dell’aere sacro nativo, sulla grave cetra italiana traduco per te le corde eolie, e avrai, divina, i voti, tra i miei inni, delle future nipoti insubri.

All’amica risanata: l’origine dell’ode

Ugo Foscolo compose “All’amica risanata" nella primavera del 1802, durante il suo soggiorno a Milano. In questo periodo, il poeta intratteneva una relazione amorosa con la contessa Antonietta Fagnani Arese, figura di spicco dell’aristocrazia milanese. La contessa, colpita da una grave malattia, si ristabilì proprio in quei mesi, evento che ispirò Foscolo nella stesura dell’ode.

Il componimento fa parte delle “Odi" foscoliane, insieme a “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo", e riflette l’influenza del neoclassicismo, movimento letterario che esaltava i modelli dell’antichità classica. In “All’amica risanata", Foscolo esalta la bellezza femminile come espressione divina e celebra il potere eternante dell’arte e della poesia. La guarigione della contessa diventa un’occasione per Foscolo di riflettere sulla caducità della vita e sull’importanza della memoria artistica nel rendere eterno ciò che altrimenti sarebbe effimero.

Il significato principale dell’ode risiede nel concetto di bellezza come valore universale e trascendente, capace di elevare l’animo umano al di sopra delle sofferenze terrene. Foscolo, attraverso il suo linguaggio poetico, attribuisce alla contessa un’aura mitologica, presentandola quasi come una dea, un’emanazione della perfezione classica.

All’amica risanata: l’analisi e la metrica

Dal punto di vista tecnico, “All’amica risanata" è un capolavoro di armonia e musicalità. La metrica, come già accennato, è basata su strofe di sei versi, con un alternarsi di settenari e un endecasillabo conclusivo che dona solennità alla chiusura di ogni strofa. Il ritmo fluido e melodioso è ottenuto grazie a una sapiente distribuzione di accenti e pause, che enfatizzano il tono celebrativo e il carattere evocativo del componimento. Le rime, alternate e baciate (ABACDD), rafforzano l’unità delle strofe, creando un tessuto sonoro coeso e piacevole all’ascolto. L’uso di enjambement contribuisce a mantenere un flusso continuo tra i versi, spezzando la rigidità della struttura metrica e conferendo al testo una dinamicità che rispecchia la vitalità della guarigione celebrata.

Un elemento fondamentale dell’ode è il riferimento continuo alla mitologia classica. Foscolo inserisce la contessa Fagnani Arese in un contesto mitico, accostandola a figure divine come Venere e Artemide. Questo conferisce al componimento un carattere universale, elevando la figura della donna oltre la realtà storica. La mitologia non è solo decorativa, ma diventa un mezzo per rappresentare concetti filosofici ed estetici: la bellezza come ideale eterno e la poesia come strumento di immortalità.

“All’amica risanata" è un esempio emblematico del neoclassicismo italiano. Foscolo, ispirato dagli ideali classici, recupera temi come l’armonia, la bellezza e il legame tra natura e arte. L’ode rappresenta un elogio della perfezione formale e della dignità umana, valori che il neoclassicismo cercava di ripristinare in un’epoca di transizione culturale.

Inoltre, la celebrazione della donna come musa ispiratrice e portatrice di valori eterni riflette la sensibilità estetica e filosofica del poeta, che vede nell’arte un antidoto al trascorrere del tempo.

Le figure retoriche principali

Le figure retoriche utilizzate da Foscolo arricchiscono il testo di significati simbolici e contribuiscono a creare un’atmosfera mitologica. Tra le principali troviamo:

  • Similitudini: la guarigione della contessa è paragonata all’apparizione della stella cara a Venere, un’immagine che sottolinea la purezza e la luminosità ritrovate.
  • Metafore: la malattia è rappresentata come un’ombra che si dissolve, e la bellezza è descritta come una luce eterna che accompagna il cammino umano, offrendo conforto nei momenti difficili.
  • Personificazioni: le Ore, le Grazie e altre figure mitologiche sono personificate e rappresentate come ancelle che adornano e celebrano la bellezza della contessa. Questo rafforza l’intento di mitizzare la figura femminile.
  • Allitterazioni: Foscolo utilizza ripetizioni di suoni consonantici per creare un effetto musicale che amplifica il tono armonioso del testo, come nei versi dedicati ai “cori notturni" e al “simulacro di sacro mirto".
  • Anastrofi: l’inversione dell’ordine naturale delle parole conferisce al componimento un sapore arcaico e solenne, tipico dello stile neoclassico.

Foscolo utilizza l’ode per riaffermare il potere della poesia di rendere eterno ciò che altrimenti sarebbe destinato all’oblio. La guarigione della contessa diventa un evento degno di essere celebrato e ricordato non solo per il suo valore personale, ma come simbolo di una bellezza che trascende il tempo. In questo senso, l’opera può essere vista come un preludio ai temi foscoliani della memoria e dell’immortalità, sviluppati successivamente nei “Sepolcri".

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