Marcia su Roma, storia e date della manifestazione fascista
L’ambizione di Mussolini e il lassismo del re d’Italia Vittorio Emanuele III, il 28 ottobre 1922, spalancarono le porte ad una delle pagine più tristi del nostro Paese: il Ventennio Fascista
- Marcia su Roma, il contesto storico
- Marcia su Roma, i preparativi
- Marcia su Roma, i 5 punti del piano
- Marcia su Roma, dal 27 al 31 ottobre
Marcia su Roma, il contesto storico
Il diffuso malcontento dopo la I Guerra Mondiale aveva enfatizzato in Italia sentimenti patriottici e nazionalistici. Come non bastasse, numerosi esponenti dell’esercito stavano palesando il proprio dissenso nei confronti dello Stato liberale, tanto che le prime indiscrezioni circa un possibile golpe si erano fatte strada sulla stampa già a partire da giugno 1919, rafforzandosi poi nel corso di settembre, mese in cui si concretizzò l’occupazione di Fiume. Tra tumulti, disordini e un generale clima d’incertezza, la violenza fascista – iniziata ufficialmente l’11 gennaio con la contestazione di un comizio di Leonida Bissolati e proseguita ad aprile con l’incendio della sede milanese del quotidiano socialista Avanti!, di cui Mussolini era stato in passato Direttore – andò in naftalina per circa un anno, complici i modesti risultati ottenuti alle elezioni del novembre 1919. L’anno successivo, però, l’incendio all’Hotel Balkan di Trieste, la bomba lanciata a Venezia durante una manifestazione socialista e gli squadristi al servizio degli interessi agrari – contro gli scioperanti – e degli industriali – dopo l’occupazione delle fabbriche – fecero da prologo agli episodi di violenza che si susseguirono dopo il successo socialista alle elezioni amministrative. Con l’ausilio di ex combattenti e arditi, le ‘prove di forza’ delle squadre fasciste aumentarono a dismisura, raggiungendo il proprio apice nel 1921, anche grazie alla connivenza – e spesso complicità – delle forze dell’ordine. Le elezioni politiche di maggio fecero registrare un brusco calo dei socialisti e permisero l’ingresso alla Camera di una trentina di fascisti, che il 13 giugno aggredirono il deputato Francesco Misiano, ‘macchiatosi’ di diserzione durante la I Guerra Mondiale. Episodi simili si verificarono a cadenze regolari, come testimoniato dall’aggressione a Claudio Treves e dall’omicidio di Giuseppe Di Vagno, il 26 settembre a Mola di Bari, ma a fungere da spartiacque fu – il 4 novembre – la celebrazione del Milite Ignoto a Roma, quando il governo mostrò una certa debolezza di fronte agli scontri avvenuti nella Capitale, con due morti ed oltre 150 feriti. Mussolini capì che doveva espandere la propria sfera d’influenza tanto al Nord, ancora a maggioranza socialista, quanto al Sud, dove dilagavano sentimenti monarchici. Nell’aprile del 1922 il partito fascista ‘rassicurò’ l’opinione pubblica circa un ridimensionamento delle idee insurrezionaliste a vantaggio di una via legalitaria, ma furono dichiarazioni soltanto di facciata. Nel frattempo, infatti, erano state organizzate delle squadre in quattro macro-aree strategiche dello Stivale: quella Nord-occidentale, quella Nord-orientale, il centro con la Sardegna ed il Sud con la Sicilia. Seguirono l’occupazione di Bologna e Cremona – con il saccheggio delle case dei deputati Giuseppe Garibotti e Guido Miglioli – che misero di fatto in ginocchio il governo Facta e quindi, il 26 luglio, Italo Balbo entrò a Ravenna, mentre a Milano venne distrutta la sede dell’Avanti!. Il 5 e 6 agosto, poi, fu ordinato ai prefetti di Ancona, Brescia, Genova, Livorno, Milano e Parma di cedere il potere all’autorità militare per il ripristino della normalità, mentre aumentavano le voci riguardanti spedizioni fasciste – per mezzo di “treni sovversivi” – dirette a Roma.
Marcia su Roma, i preparativi
Invitato dal Giornale d’Italia durante il mese di agosto a chiarire la propria posizione nei confronti della Corona, Mussolini preferì in un primo momento eludere la domanda, salvo poi affermare – durante un comizio tenuto a Udine il 20 settembre – di non aver mai avuto intenzione di sferrare un attacco nei confronti della monarchia, ‘deludendo’ così molti esponenti dell’esercito. Gli episodi di violenza, nel frattempo, aumentarono ulteriormente – come la marcia su Bolzano del 1° e 2 ottobre 1922 – mentre Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi pubblicarono il Regolamento di disciplina della milizia fascista, ufficializzando la formazione di un corpo armato privato. Il 16 ottobre i quattro sopracitati, insieme a Mussolini, Gustavo Fara, Sante Ceccherini, Ulisse Igliori e Attilio Teruzzi, si riunirono a Milano ed analoghi meeting andarono in scena il 18, il 20 e il 21: le basi per la marcia su Roma erano state gettate, l’amaro calice stava per essere servito.
Marcia su Roma, i 5 punti del piano
Mentre nella seconda metà di ottobre, a pochi giorni dall’effettiva realizzazione, Bianchi sul Corriere della Sera e Balbo su La Nazione escludevano categoricamente la marcia su Roma, il piano era in realtà già definito nei dettagli, suddivisi in 5 punti:
- “1. Mobilitazione e occupazione degli edifici pubblici nelle principali città del Regno;
- 2. Concentramento delle camicie nere a Santa Marinella, Perugia, Tivoli, Monterotondo, Volturno;
- 3. Ultimatum al governo Facta per la cessione generale dei poteri dello Stato;
- 4. Entrata in Roma e presa di possesso ad ogni costo dei Ministeri. In caso di sconfitta le milizie fasciste avrebbero dovuto ripiegare verso l’Italia centrale, protette dalle riserve ammassate nell’Umbria;
- 5. Costituzione del governo fascista in una città dell’Italia centrale. Adunata rapida delle camicie nere della Vallata Padana e ripresa dell’azione su Roma fino alla vittoria e al possesso”.
Il 24 ottobre si tenne a Napoli il Congresso fascista, al quale parteciparono circa 15mila persone e Mussolini ‘lodò’ la calda accoglienza riservatagli dalla popolazione partenopea. Nel pomeriggio, poi, la minaccia: “O ci daranno il Governo o ce lo piglieremo noi calando su Roma”, mentre Facta scriveva al re che il progetto della marcia sulla Capitale fosse da considerare ormai tramontato, lamentando poi il giorno seguente attività insurrezionali un po’ in tutta Italia.
Marcia su Roma, dal 27 al 31 ottobre
Il programma prevedeva l’occupazione di prefetture, uffici di comunicazione (postali, telegrafici e telefonici) e stazioni ferroviarie, a partire da quelle mostratesi ‘disponibili’ a collaborare. Via via caddero Alessandria, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Gorizia, Novara, Pavia, Piacenza, Porto Maurizio, Rovigo, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Verona, quindi anche le più restie, come Pisa, Siena e Cremona, dove si registrarono alcuni morti a seguito di violenti scontri. Balbo, De Bono e Bianchi, sfruttando l’amicizia tra quest’ultimo e il prefetto, giunsero nel frattempo a Perugia, città scelta come sede del coordinamento. Facta rassegnò le proprie dimissioni, mentre a Roma prese il comando il generale Pugliese. Il 28 ottobre 16mila fascisti – ma non il proprio leader carismatico, che riteneva l’operazione troppo pericolosa per la sua vita – si radunarono a Foligno, Monterotondo, Santa Marinella e Tivoli. Il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto per lo stato d’assedio: fu la mossa che diede carta bianca all’avanzata fascista, nonostante il tentativo – vano – di affidare il nuovo governo a Salandra. I giornali non collusi furono ‘invitati’ a non uscire in edicola per il giorno seguente, mentre vennero date alle fiamme numerose tipografie. I quotidiani ‘amici’, invece, diedero ampio risalto alla decisione del monarca di non firmare il decreto. Mussolini, nel frattempo, rimasto a Milano nel cosiddetto “covo del fascismo” posto nella sede del giornale Il Popolo d’Italia, il 29 ottobre si recò – nelle vesti di ‘spettatore’ – al teatro Manzoni. Ricevuto l’incarico dal re di formare il nuovo governo, prese un treno diretto nella Capitale la sera stessa. Il 30 Vittorio Emanuele III ricevette la lista dei ministri, avallata in toto, al pari della sfilata delle squadre fasciste al monumento per il Milite ignoto e di fronte al Quirinale. La ‘battaglia’ vinta non impedì alla neonata dittatura di compiere ulteriori efferati crimini, come l’invasione nella sede socialista in Via Seminario o la distruzione dell’abitazione dell’onorevole Giuseppe Mingrino, mentre alcuni scontri a San Lorenzo provocarono sette morti e numerosi feriti. Episodi simili si verificarono anche il 31, nonostante l’ordine di smobilitazione, tra bastonature, somministrazioni di olio di ricino ed attacchi contro le abitazioni di Nicola Bombacci, Francesco Saverio Nitti e Elia Musatti, primi ‘assaggi’ di un clima di terrore che durerà per oltre vent’anni.