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Rivoluzione Russa, i fatti e le date dei principali avvenimenti

L'evento, un tentativo di applicazione delle teorie sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels, portò nel 1917 al rovesciamento dell'impero zarista e alla formazione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Dopo tre anni di Prima Guerra Mondiale, nel 1917 l’impero russo era stremato, privato di Polonia, Ucraina e dei possedimenti sul Baltico, con una popolazione ridotta alla fame e un regime arroccato sulle proprie posizioni autocratiche. Furono queste le premesse che portarono alla Rivoluzione di febbraio, con la quale il 2 marzo (il 15 secondo il calendario gregoriano) venne deposto lo zar Nicola II e istituito un governo provvisorio formato da cadetti, menscevichi e socialisti, rovesciato quindi dai bolscevichi, che si imposero in quella di ottobre e diedero vita alla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, governata dal Consiglio dei commissari del popolo. Dal 2017 al 2021, poi, il vasto Paese eurasiatico fu segnato da una violenta guerra civile: l’Armata Rossa (bolscevica) sconfiggerà quella Bianca (controrivoluzionaria) e formerà l’Unione Sovietica.

Russia, la Rivoluzione di febbraio

Ad inizio 2017 la Russia era in preda a delle fortissime tensioni sociali, soprattutto a seguito delle pesanti sconfitte subite in guerra. La grande mobilitazione di contadini arruolati nell’esercito per far fronte ai milioni di soldati caduti aveva, inoltre, drasticamente ridotto la produzione agricola: complice il disastroso stato in cui versava il sistema ferroviario, l’intera popolazione – a corto anche di combustibile – stava patendo la fame. Un’analoga, drammatica situazione era replicata all’interno del governo, falcidiato da lotte di potere sorte dopo la partenza di Nicola II, con l’obiettivo di condurre personalmente le campagne militari. Il continuo avvicendamento di ministri e figure politiche di spicco aveva reso di fatto il Paese ingovernabile. A partire dal 14 febbraio a Pietrogrado iniziarono una serie di scioperi nelle principali fabbriche, via via sempre più numerosi, anche da un punto di vista dei partecipanti. La reazione dello zar fu quella di far sciogliere la Duma e di sedare le proteste, a costo di sparare ai manifestanti. Negli ultimi giorni del mese la guarnigione della capitale si unì ai rivoltosi, ai quali distribuì armi, la Duma formò un comitato allo scopo di costituire un governo maggiormente rappresentativo, mentre operai e soldati diedero vita ai soviet. Con la rivolta nel frattempo allargatasi anche a Mosca, Nicola II cercò di percorrere la strada delle concessioni. Ma era ormai troppo tardi e il 2 marzo Comitato e soviet si accordarono per la deposizione dello zar e l’istituzione di un governo provvisorio, formato da rappresentanti di cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. La notte seguente Nicola II abdicò in favore del fratello, il granduca Michail, il quale, a causa dell’avversione nei confronti della famiglia imperiale, rinunciò a salire sul trono. Fu la fine del regno dei Romanoff, i cui rappresentanti vennero imprigionati.

La Russia tra la Rivoluzione di febbraio e quella di ottobre

Appresi i fatti di febbraio, il leader dei bolscevichi Lenin, da alcuni anni in Svizzera, decise di far ritorno in patria. Regno Unito e Francia, desiderose che la Russia proseguisse la guerra contro la Germania, gli negarono il visto per raggiungere la Svezia. Gli fu invece concesso dai tedeschi, consci della sua intenzione di trattare la pace, attraversò il Paese con il cosiddetto ‘vagone piombato’, una carrozza ferroviaria con tre porte su quattro sigillate e il divieto assoluto di qualsiasi contatto con l’esterno, e il 3 aprile mise piede a Pietrogrado, accolto da una folla enorme. Il giorno seguente – durante la conferenza del partito bolscevico – espose le famose ‘Tesi di aprile’, dieci linee-guida atte, in particolare, a porre fine al dualismo dei poteri, accentrandolo nelle mani dei soviet, uscire dalla Prima Guerra Mondiale e assegnare le terre dei grandi latifondisti ai contadini. La Rivoluzione di ottobre, infatti, aveva portato al vertice borghesi favorevoli alla prosecuzione del conflitto bellico e per nulla intenzionati a rinunciare alle proprietà personali, un atteggiamento che sfociò nei moti passati alla storia col nome di ‘Giorni di luglio’, tra il 16 e il 20: furono, nello specifico, delle dimostrazioni armate spontanee da parte di soldati, marinai e lavoratori dell’industria contro il Governo provvisorio russo, ben più violente della precedente insurrezione. Durante questo mese, tuttavia, fallì il tentativo di una nuova rivoluzione, organizzata dalle masse ed appoggiata dai bolscevichi – ch’eppure ritenevano i tempi prematuri – dopo la decisione dei leader politici di mandare al fronte le unità della guarnigione protagonista dei moti di febbraio, al fine di sostituirle con truppe maggiormente fedeli. Il 12 agosto, nel Teatro Grande di Mosca, si riunì un’assemblea – il ‘Consiglio di Stato’ – con circa 2mila persone fra grossi proprietari terrieri, industriali, commercianti e banchieri, tutte scelte dal governo stesso: erano presenti tutti i partiti tranne quello bolscevico, che rispose con uno sciopero che portò in piazza 450mila manifestanti. La goccia che fece traboccare il vaso fu la frattura fra il primo ministro Kerenskij e il generale Kornilov, da lui stesso nominato dittatore militare. Quest’ultimo, il 19 agosto, lasciò Riga ai tedeschi senza combattere e raccolse truppe ritenute fedeli per marciare verso la capitale. La città cadde nel caos e, ad organizzare la difesa, considerando che il governo provvisorio non aveva un esercito a disposizione, furono proprio i bolscevichi: venne così creato un ‘Consiglio di guerra per la difesa di Pietrogrado’, 25mila operai entrarono nella Guardia Rossa, cui si aggiunsero numerosi marinai provenienti dalla base navale di Kronstadt, i lavoratori delle officine Putilov prolungarono volontariamente l’orario a 16 ore e in due giorni costruirono 200 cannoni e la rete ferroviaria venne sabotata e resa inutilizzabile. Kerenskij rimase formalmente al governo, ma agli occhi delle masse il partito bolscevico apparve come la vera forza trainante.

Russia, la Rivoluzione di ottobre

Fra la seconda metà di settembre e la prima di ottobre, Lenin convinse il proprio partito della necessità di tentare la presa del potere prima delle elezioni per la Costituente, in programma il 28 novembre: con uno sforzo ritenuto piuttosto modesto, infatti, il neocostituito Consiglio Militare Rivoluzionario, la guarnigione di Pietrogrado e i marinai della flotta del Baltico avrebbero rovesciato il governo provvisorio, che poteva invece contare su poche centinaia di uomini. A partire dal 24 ottobre, e senza incontrare resistenza alcuna, i bolscevichi iniziarono ad occupare i centri nevralgici della capitale. Il 25 Kerenskij, messo di fronte ad una situazione ormai disperata, fuggì dalla città a bordo di un’automobile dell’ambasciata americana al fine di cercare rinforzi nelle caserme lontane, mentre i ministri – per qualche ora, prima di essere arrestati e condotti alla fortezza di Pietro e Paolo – si barricarono nel Palazzo d’Inverno. La sera stessa Lenin annunciò al Secondo Congresso dei Soviet la presa del potere e, in questa sede, vennero approvati i primi provvedimenti, su tutti la pace con la Germania e la distribuzione della terra ai contadini. Nei giorni seguenti a Pietrogrado fu creato il Consiglio dei Commissari del Popolo, a breve rimpastato con alcuni socialrivoluzionari di sinistra al fianco dei bolscevichi (ma il governo non avrà vita lunga), mentre a Mosca gli scontri – ben più sanguinosi – proseguirono fino al 2 novembre. Le forze insurrezionaliste comandavano ora i due centri principali del Paese, ma per la diffusione in tutto il territorio nazionale sarebbe servito ancora del tempo. I Soviet, ottenuto il potere, lavorarono senza sosta, attuando un immenso piano di riforme: il vecchio sistema giudiziario venne sostituito dai tribunali del popolo (inizialmente di tipo elettivo), la polizia da una milizia composta prevalentemente da operai, venne realizzata la completa separazione tra Stato e Chiesa, vennero introdotti il matrimonio civile – con uguali diritti per entrambi i coniugi – e il divorzio, la giornata lavorativa venne fissata a otto ore, vennero cancellate le differenze di trattamento fra soldati e ufficiali, vennero nazionalizzate tutte le banche private, il commercio estero diventò monopolio dello Stato, proprietario anche di flotta mercantile e ferrovie, mentre le fabbriche vennero affidate direttamente agli operai. Inoltre, il nuovo governo denunciò tutti gli accordi internazionali, compresi quelli segreti, e sospese il rimborso dei prestiti ottenuti all’estero dal regime zarista. Dopo il successo della Guardia Rossa – la milizia operaia organizzata dal presidente del soviet di Pietrogrado e ministro degli esteri Trockij – a Pulkovo e Gatčina a discapito delle truppe controrivoluzionarie, il 12 novembre si tennero le elezioni. Si svolsero a suffragio universale e, al netto di un forte astensionismo, prevalsero i socialisti rivoluzionari al 58%, seguiti dai bolscevichi al 25%, i cadetti con il 14%, e i menscevichi al 4%. L’Assemblea Costituente si insediò il 5 gennaio 1918, con i socialisti rivoluzionari che si unirono ai bolscevichi e chiesero che venissero ratificati tutti gli atti e i decreti emessi dai Commissari del Popolo precedentemente elencati. L’area di destra respinse la mozione e la neonata coalizione, in segno di protesta, abbandonò l’aula. La nuova assemblea venne fissata al giorno seguente, ma al loro arrivo i costituenti trovarono l’ingresso di Palazzo Tauride chiuso. Bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra, infatti, convocarono il III Congresso panrusso dei deputati operai e soldati e il III Congresso panrusso dei deputati contadini che, unificati, approvarono il pieno scioglimento dell’Assemblea Costituente e la ‘Dichiarazione dei diritti dei lavoratori’.