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Vladimir Lenin: l'architetto della rivoluzione russa

A un secolo dalla sua scomparsa, il pensiero leniniano è ancora materia di studio e fonte di dibattito, continuando a sfuggire a qualunque tentativo di incasellamento

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Il vero rivoluzionario non è colui che compie il gesto più estremo, ma chi, attraverso il gesto più adatto alla realtà, riesce a cambiarla, deviandone il corso e lasciando un’indelebile traccia. A 100 anni dalla morte, Vladimir Lenin può ancora oggi essere considerato il rivoluzionario “assoluto”, animato per l’intero corso della sua esistenza da un’ossessiva e caparbia volontà di mutamento radicale del sistema mondo.

Ispiratore e leader della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, Lenin è stato architetto e costruttore dell’Unione Sovietica, il primo stato comunista della storia dell’umanità, che pareva destinato ad innescare un cambiamento di portata universale e che, nonostante il suo fallimento pratico, ha lasciato una traccia indelebile nella storia dell’umanità.

La vita

Vladimir Il’ič Ul’janov, al secolo Vladimir o Nikolaj Lenin, nasce nel 1870 a Simbirsk, cittadina sulle rive del Volga, da un’agiata famiglia borghese. Il padre è un educatore e docente di matematica e fisica e anche la madre è un’insegnante scolastica, una rarità nel contesto della Russia di fine XIX secolo, caratterizzata dall’arretratezza e dilaniata da povertà e analfabetismo. L’evento spartiacque della vita e soprattutto del pensiero del giovane Lenin arriva nel 1887, quando il fratello Aleksander, maggiore di lui di quattro anni, viene arrestato e giustiziato tramite impiccagione per aver preso parte all’organizzazione di un attentato contro lo zar Alessandro III. Il tragico evento scuote profondamente Lenin, che però trasforma la sete di vendetta, che lo avvicina a posizioni politica radicali, in una visione di più ampio respiro sul futuro di una Russia liberata dal giogo dell’autocrazia zarista.

Iscrittosi a legge all’università di Kazan, ne viene espulso dopo appena un anno con l’etichetta di agitatore politico. Lenin si concentra allora sullo studio del marxismo e intanto riesce a completare il percorso universitario a San Pietroburgo, dove si laurea in diritto e viene a contatto con gli ambienti rivoluzionari e completa la sua caratterizzazione politica.

Divenuto il leader di un collettivo marxista, viene arrestato e condannato all’esilio nella foresta di Shushenskoye, in Siberia, dove resterà confinato per tre anni.

Liberato, ma con il divieto di vivere nelle grandi città, Lenin decide di espatriare e trascorre un periodo tra Germania e Svizzera. Sono questi gli anni dell’esplicativo “Che fare”, nel quale viene postulata la necessità di un partito rivoluzionario alla guida di una classe operaia, altrimenti incapace di alzare la testa, e della scissione all’interno del clandestino Partito Operaio Russo, il POSDR, nel quale emerge netta la distinzione tra riformisti e rivoluzionari con la divisione tra i menscevichi e i bolscevichi di Lenin.

Gli avvenimenti del 1905, con le sollevazioni popolari contro lo zar Nicola II, lo riportano in Russia con la speranza di una rivoluzione di stampo socialista, ma deluso dalla conclusione delle proteste dopo la concessione di un’assemblea rappresentativa, la Duma, fa ritorno in Svizzera, dove resterà fino al 1917.

Dal ritiro elvetico, Lenin assiste al crollo dello zarismo, travolto dalla Prima Guerra Mondiale e il 9 aprile, dopo un lungo viaggio in treno durante il quale redige le “Tesi di aprile”, documento programmatico stilato in 10 punti e che, pubblicato sulla Pravda il 20 aprile successivo, riscuoterà ampi consensi tra esercito e operai. Preparatisi così il campo, i bolscevichi in autunno passeranno all’azione e il 7 novembre, con la presa del Palazzo d’Inverno, saliranno al potere, mantenendo subito la prima promessa, quella di chiamare fuori la Russia da una guerra imperialista con il trattato di Brest Litovsk firmato con gli Imperi Centrali nel 1918. L’instabilità interna, tuttavia suggerisce al nuovo partito guida un passaggio teoricamente intermedio, “utilizzare temporaneamente, contro gli sfruttatori, gli strumenti, i mezzi e i metodi del potere statale, così com’è indispensabile, per sopprimere le classi, stabilire la dittatura temporanea della classe oppressa”. In altri termini quella dittatura del proletariato, che sarebbe poi diventata dittatura del partito.

A questo punto per Lenin è il momento di governare un paese immenso e messo in ginocchio dall’esperienza bellica, affidata la formazione dell’Armata Rossa a Trotzki, si concentra sulle difficoltà contingenti della popolazione e vara il “comunismo di guerra”, riuscendo a far fronte alle difficoltà alimentari. La nazionalizzazione forzata si rivela però disastrosa sotto il profilo economico e nel 1921 viene varata la NEP, con la liberalizzazione parziale di alcuni settori, che si rivela efficace per uscire dallo stato di crisi.

E’ l’ultimo importante provvedimento di Lenin, che dal 1922 inizia ad accusare problemi sempre più seri di salute, che lo portano alla paralisi totale nel giro di un anno e alla morte il 21 gennaio 1924. Il suo corpo sarà imbalsamato per farne una reliquia, ma il suo testamento politico resterà disatteso, con Stalin che strapperà a Trotzki il ruolo di segretario del partito, cambiando forse il corso della storia dell’Unione Sovietica.

“Stalin è troppo arrogante e questo difetto, che può essere tollerato tra di noi e nei rapporti tra comunisti, non è tollerabile in chi occupa il posto di Segretario generale. Perciò propongo che i compagni esaminino la possibilità di allontanare Stalin da tale carica e di sostituirlo con un altro uomo che, prima di tutto, si differenzi da Stalin per una sola dote, cioè una maggiore tolleranza, una maggiore lealtà, una maggiore gentilezza, una maggiore considerazione per i compagni, un temperamento meno capriccioso”. (Lenin)

Il pensiero

Ad un secolo dalla sua scomparsa, la figura di Lenin continua a sfuggire a qualsiasi tipo di incasellamento. La precedenza sempre data alla contingenza da parte del capo del bolscevismo, rende difficile una rigorosa classificazione del pensiero leniniano, che non può essere definito né eretico né ortodosso, pur essendo stato profondamente eretico e ortodosso, ma che è prima di ogni cosa “elaborazione pragmatica e dinamica finalizzata alla sovversione dell’esistente”.

Se non si comprende questa ossessiva e caparbia tensione verso una rivoluzione continua, ogni tentativo di comprendere i passi compiuti di volta in volta per arrivare a meta risulterà vano.

Secondo Lenin il moto della storia dipende esclusivamente da sommovimenti profondi capaci di coinvolgere interessi diversi e progetti politici collettivi, il suo marxismo infatti non si ferma al sapere filosofico ma utilizza tutto l’utilizzabile per raggiungere lo scopo, dalla politica all’economia, dalla storia alla letteratura, all’arte militare, attraverso un continuo processo di ibridazione e aggiornamento.

Dunque non esiste mai un Lenin uguale a sé stesso, ma un Lenin capace a seconda dell’occasione di modificare il suo percorso per intercettare ogni volta quel consenso che gli serve a proseguirlo. Così, se nel “Che fare” teorizza la costituzione di un’élite di rivoluzionari professionisti con il compito di guidare le masse, dopo le sollevazioni del 1905 si mette poi al servizio delle masse stesse per educarle alla rivoluzione e convogliarle all’interno del partito. Allo stesso modo, c’è un Lenin che durante la fase rivoluzionaria esalta la lotta armata e un Lenin che spinge per la partecipazione alle istituzioni rappresentative una volta preso il potere.

Insurrezione e slancio si alternano a gradualità e cautela, perché nel pensiero leniniano, che tiene un occhio fisso al presente e uno volto al futuro, forma e pratica sono solo strumenti per attraversare le diverse fasi. Quello che potrebbe apparire come opportunismo politico è in realtà un marxismo intriso di etica, che lo tiene al riparo dalle degenerazioni tipiche di certi socialismi.

Quanto ai compiti del partito, Lenin non si discosta dal pensiero rivoluzionario, legandoli anche in questo caso alla contingenza nella forma, purché si arrivi alla sostanza, che è la capacità di teoria e prassi di dialogare e interagire per produrre un impatto sulla realtà e il superamento dell’esistente.

“Non giocare mai con l’insurrezione. Ma quando la si inizia, mettersi bene in testa che bisogna andare sino in fondo”. (Lenin)