Giordano Bruno, biografia e pensiero del filosofo
Ecco chi era lo scrittore e frate domenicano italiano morto al rogo al quale è stato dedicato un monumento in Campo de' fiori
- La biografia
- Animo ribelle
- Il vagabondaggio e l'eresia
- La persecuzione
- Il processo sommario
- Il processo a Roma
- Il rifiuto della ritrattazione
- Un precursore
- Il monumento
La biografia
Giordano Bruno, il cui nome anagrafico era Filippo, nacque nel 1548 a Nola, vicino Napoli, nel mezzo di un secolo magmatico e di fermento assoluto nella storia della Chiesa: spaccata in due prima dalla Riforma luterana, quindi dalla risposta energica, sul fronte cattolico, della Controriforma patrocinata dal Concilio di Trento i cui lavori erano stati avviati nel 1545. Due anni prima, Papa Paolo III aveva istituito il Tribunale della Santa inquisizione romana (o Santo Uffizio) e nel 1559 Paolo IV creò l’Indice, organo attraverso il quale la Chiesa iniziò a redigere la lista dei libri considerati proibiti. Le autorità cattoliche si avvalevano cosi di due strumenti di controllo e persecuzione dei quali Bruno, suo malgrado, avrebbe presto fatto
conoscenza.
La sua parabola monastica, in ogni caso, era iniziata nel convento di San Domenico a Napoli, dove era entrato all’età di sedici anni e mezzo.
Animo ribelle
Uno spirito inquieto, che viene investito dalla prima denuncia quando è ancora alle prese col noviziato: viene infatti accusato di aver tolto dalla propria cella le immagini dei santi. Più avanti, nel 1576, uno della confraternita lo taccia di eresia per aver aver avanzato delle riserve circa il principio fondante della Trinità
Il vagabondaggio e l’eresia
Il rischio di una condanna era dunque consistente, e così Bruno va via da Napoli per rifugiarsi a Roma. Deve però fuggire anche dalla Capitale del Cattolicesimo, perché viene accusato, per errore, dell’omicidio di un monaco.
Inizia da quel momento in poi una fase di spostamenti in vari angoli d’Europa, dove, spogliatosi degli abiti dell’Ordine Domenicano, si muove di città in città approfondendo ogni confessione cristiana, senza mai precludersi l’allargamento dei propri orizzonti di riflessione e l’approfondimento dei suoi studi filosofici. A Ginevra aderisce al culto propagandato da Calvino, mentre nei Principati tedeschi entrò in contatto con i luterani e in Inghilterra con i riformatori anglicani. In questa fase si mette in luce, in modo critico, per una serie di discorsi sulla teoria eliocentrica di Copernico, di cui era sostenitore, che vengono condannati trasversalmente in quanto antagonisti dei principi biblici.
Queste sue convinzioni e le sue idee in generale risultano così invise a parecchie gerarchie ecclesiastiche e Bruno a un certo punto si ritrova scomunicato in prarica da tutte le confessioni cristiane europee: sia le cattoliche che quelle cosiddette riformate. Additato così universalmente di eresia, nel 1592 decide di fare ritorno in Italia.
La persecuzione
Nel marzo 1592 si stabilisce a Venezia, chiamato da Giovanni Mocenigo, un aristocratico che si dichiara desideroso di apprendere le cosiddette “arti magiche” per le quali Bruno cominciava a essere conosciuto e in particolare la mnemotecnica, un efficace metodo di memorizzazione che Bruno stesso aveva ideato e sperimentato, sempre ribadendo come tale tecnica andava considerata una derivazione “non dalla magia, ma dalla scienza”. In realtà il soggiorno veneziano si rivela l’inizio del suo calvario giudiziario. Quando infatti Bruno, che ormai ha raggiunto lo status di filosofo e al tempo stesso lo stigma di eretico, dichiara di voler riprendere i suoi viaggi, Mocenigo, offeso, lo va a denunciare ufficialmente per eresia. Bruno viene così tratto in arresto in data 23 maggio 1592. Solamente tre giorni dopo è già mandato a processo.
Il processo sommario
Sul suo capo pesano più di un capo d’accusa. Mocenigo lo accusa, in pratica, di essere dedito alla stregoneria e alle arti magiche; di negare la verginità della Madonna, di cedere reiteratamente alla lussuria e di voler fondare una nuova setta o un vero e proprio ordine eretico.
Dalle accuse viene fuori uno degli elementi cardine delle convinzioni di Bruno: la “certezza” di un universo infinito e di infiniti mondi, idea inaccettabile per l’epoca, che andava persino oltre la gravità della teoria copernicana. Le accuse, per quanto gravi, provenivano però dal solo Mocenigo e non sono precise, per cui il processo veneziano di per sé presenta buone probabilità di assoluzione. A questo punto si sovrappone una richiesta di estradizione da Roma, dove Bruno viene condotto il 27 febbraio 1593. Alle accuse del Mocenigo fanno ora riscontro quelle di Fra’ Celestino, veronese, che con Bruno aveva condiviso il carcere a Venezia. I nuovi capi d’accusa, quasi identici a quelli del Mocenigo, sono avallati da altri quattro compagni di galera di Bruno, col risultato che alla fine viene fuori l’immagine distorta di un individuo senza Dio, che si diverte addirittura a farsi beffe di ogni credo religioso.
Il processo a Roma
Della fase romana del processo non è stato rinvenuto alcun verbale, ma vi è un “Sommario” redatto tra il 1597 e il 1598. Questo testo, che poggia sugli atti veneziani e su quelli romani, è stato scoperto nel 1940 e reso noto solo pochi decenni fa. Quel che oggi è stato acquisito è che i giudici all’epoca misero assieme un totale di trentuno capi d’imputazione, che ricoprivano praticamente ogni aspetto della vita di Bruno: la sua condotta morale, le credenze teologiche, le pratiche esoteriche e i principi filosofici. L’iter del processo si protrae per più anni, con una metodologia che contempla degli estenuanti interrogatori e anche degli episodi di vera e propria tortura.
Alla fine, l’intervento del Cardinale gesuita Roberto Bellarmino, uno dei più carismatici del Santo Uffizio, chiamato a dirimere anche il caso di Galileo Galilei, dirime la questione.
Il rifiuto della ritrattazione
Bellarmino sottopone Bruno a otto ipotesi di proposizioni da abiurare, poiché eretiche. Per il filosofo rinunciare alle sue verità vorrebbe dire sottomettersi a un’autorità, quella dei giudici e dei teologi dell’Inquisizione, che lui a priori non riconosce come tale.
La posizione dell’imputato ovviamente si aggrava: il 21 dicembre 1599, nell’ultimo interrogatorio, ribadisce di non aver nulla da ritrattare. In sostanza, Bruno rifiuta l’accusa di eresia in quanto non si considera un teologo, ma un filosofo che, come tutti i filosofi dalla notte dei tempi, volge i suoi sforzi intellettuali alla ricerca della verità. Agli occhi della Chiesa e dei tribunali ecclesiastici, proprio negando l’abiura egli conferma di essere un “eretico impenitente, pertinace e ostinato”, come stabilisce la sentenza di condanna espressa l’8 febbraio 1600. Il 17 dello stesso mese, viene bruciato sul rogo in Campo de’ fiori, nel cuore di Roma.
Un precursore
L’impatto di Giordano Bruno sulle posizioni della Chiesa, specie in ambito scientifico, fu sconvolgente, ma tuttora la Santa Sede, pur avendo espresso “profondo rammarico” per la sua morte, non ne ha riabilitato le concezioni. Eppure lui, vissuto in un’epoca ancora “prescientifica” ( precedente l’introduzione del metodo sperimentale di Galileo), è stato capace di intuizioni fuori dal comune.
Nello scritto “La cena de le ceneri” (1584) aveva ipotizzato il principio di relatività del moto, anticipando lo stesso Galileo. Inoltre, con la sua teoria sull’esistenza di “mondi innumerevoli e innumerabili”, cioè immaginando che l’universo ospiti un numero infinito di stelle e soli, Bruno contemplava la presenza di pianeti extrasolari. A parte le teorie scientifiche raffinate e complesse, Giordano Bruno sarà ricordato per sempre, visto l’iter processuale, come simbolo universale della libertà di pensiero che va rivendicata contro ogni forma di censura.
Il monumento
Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla.
Proprio in Campo de’ fiori, dove venne arso, oggi sorge il monumento in sua memoria, che lo ritrae in posa solenne, con lo sguardo severo puntato in direzione del Vaticano.