I test psico-attitudinali per diventare magistrati sono un caso
I test psico-attitudinali per diventare magistrati sono diventati un caso politico-istituzionale: ma come funzioneranno e quando arriveranno
L’introduzione dei test psico-attitudinali per diventare magistrati è diventata un vero e proprio caso politico-istituzionale. La misura, proposta dal governo e approvata in Consiglio dei ministri nel 2024, ha suscitato forti reazioni da parte dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). A distanza di un anno, il dibattito è tornato al centro dell’attenzione dopo una delibera sull’argomento emanata dal Consiglio superiore della Magistratura (Csm).
Polemica sui nuovi test psico-attitudinali per diventare magistrati
Arriveranno probabilmente entro un anno, anche se non si sa ancora precisamente quando. Stiamo parlando dei test psico-attitudinali a cui saranno sottoporsi i laureati in giurisprudenza che aspirano a diventare magistrati.
La proposta di introdurre questi test per i futuri magistrati è stata approvata dal governo Meloni nel marzo 2024, su iniziativa del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
La misura è stata subito contestata dall’Associazione nazionale magistrati: “I controlli ci sono già e ci sono sempre stati, il governo sembra avere un solo obiettivo: far credere che i magistrati non sono del tutto equilibrati, è una provocazione il cui fine è mettere in cattiva luce la magistratura intera”, aveva commentato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, come riportato da La Repubblica.
Nordio aveva risposto alle polemiche sostenendo che “non c’è alcuna invasione di campo del governo nei confronti della magistratura”, anche perché “tutto avviene sotto il controllo del Csm“.
In vista della prossima introduzione dei test, il 22 ottobre il Csm ha fatto alcuni chiarimenti in merito alle prove.
Come funzioneranno i test psico-attitudinali per magistrati
Dopo una fase iniziale caratterizzata da numerose audizioni e da un’analisi comparativa delle pratiche adottate in altri Paesi europei, il Csm ha deciso di procedere all’elaborazione di un test appositamente costruito che tenga conto delle specificità delle funzioni giurisdizionali.
Come riportato da La Repubblica, il Csm ha chiarito che i test psico-attitudinali non saranno né invasivi né di carattere clinico. Non si tratterà, dunque, di diagnosi psicologiche e neanche di prove che misurano il quoziente intellettivo, ma di strumenti per valutare le competenze trasversali dei candidati.
La Sesta commissione del Csm ha adottato il modello di un colloquio “psico-attitudinale in senso proprio”, ovvero “una tipologia di test psicometrici” che valuti “le capacità cognitive”. L’obiettivo? “Ricercare nel candidato particolari abilità, come la capacità di ragionamento, la velocità di apprendimento, la soluzione di problemi”, si legge nella delibera. Il Csm ha evidenziato che questi sono strumenti già “utilizzati in diversi ambiti del lavoro, dalle risorse umane alla progettazione di percorsi formativi”.
I test saranno somministrati dopo il superamento delle prove scritte del concorso per diventare magistrati e prima dell’orale. Non avranno valore selettivo autonomo, ma serviranno come elemento integrativo nella valutazione complessiva del candidato.
La struttura del test sarà individuata dalla Sesta commissione del Csm insieme a quattro professori universitari: Santo Di Nuovo, professore emerito di Psicologia generale all’Università di Catania; Monica Molino, docente di Psicologia del lavoro all’Università di Torino; Giuseppe Sartori, professore di Psicologia forense all’Università di Padova; Andrea Spoto, docente di Psicometria sempre a Padova.
Per quanto riguarda le tempistiche, “allo stato non è possibile prevedere, ragionevolmente, termini certi per l’ultimazione dei lavori”, ha sottolineato la Sesta commissione del Consiglio superiore.
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