Lavorare e studiare: perché lo fa solo l'8% dei giovani in Italia
Nel Dna di studenti e studentesse italiani non c'è l'abitudine di lavorare e studiare contemporaneamente, mentre all'estero è molto più diffusa
Lavorare e studiare contemporaneamente non è un’abitudine insita negli studenti italiani. Sono pochissimi i ragazzi e le ragazze iscritti alle scuole superiori o all’Università che decidono di non dedicarsi solo allo studio, ma di fare anche qualche lavoretto per potersi mantenere e non dipendere economicamente solo ed esclusivamente dai genitori. Rispetto alla media degli altri paesi europei, l’Italia è decisamente indietro, ma siamo sicuri che sia sempre un male non unire studio e lavoro?
Lavorare e studiare, quanti ragazzi lo fanno in Italia?
Un articolo pubblicato il 25 novembre sul sito della banca dati della Commissione europea ha svelato quanti sono gli studenti e le studentesse che in Europa decidono di studiare e di lavorare contemporaneamente, mentre frequentano le scuole superiori o l’Università. Secondo i dati raccolti i giovani tra i 15 e i 29 anni che lavorano mentre studiano sono nel vecchio continente il 26%. In Italia la percentuale è molto più bassa, pari al 7,6%.
La differenza con gli altri Paesi europei è abissale. In Francia la quota di ragazzi e ragazze che lavorano durante il percorso scolastico superiore o universitario è pari al 24%, uno studente su quattro. In Germania si arriva addirittura al 45,4%. In Olanda e in Danimarca si va ben oltre: nel Paese scandinavo la percentuale è del 53%, mentre gli studenti e le studentesse olandesi che hanno l’abitudine di lavorare e studiare insieme sono addirittura il 74,5%.
Non dobbiamo dimenticare, poi, che l’Italia è anche uno dei 27 Paesi UE con il numero più basso di giovani che si definiscono disoccupati, cioè che cercano attivamente lavoro ma non ci riescono durante gli studi.
Perché pochi studenti scelgono di lavorare e studiare insieme?
Quali sono le motivazioni che spingono i nostri ragazzi e le nostre ragazze ad avere in tal senso comportamenti così distanti dai coetanei europei? ‘La Repubblica’ ha riportato la spiegazione data da Flavio Ceravolo, professore di sociologia all’università di Pavia e rettore del Collegio Benvenuti Griziotti (ente per il diritto allo studio che garantisce borse di studio, posti letto e pasti nelle mense ai giovani universitari).
“Nel mio collegio, il 50% degli studenti lavora e studia e sono in pari con gli esami. Sono bamboccioni? Chiediamoci piuttosto se ci sono problemi di sistema”, ha svelato facendo riferimento alla sua scuola. Poi ha voluto fare una precisazione in merito all’osannare la decisione di studiare e lavorare insieme: “Non c’è niente di male a fare un piccolo lavoretto mentre si studia, l’ho fatto anch’io quando ero studente. Ma occorre fare una considerazione preliminare: c’è una bella differenza tra lavorare tra i 15 anni e il diploma o dopo. Per me la bassa percentuale di studenti liceali e delle superiori che lavorano è un marchio di qualità del nostro Paese. Che tipo di lavoro si svolge mentre si studia? E questo lavoro rappresenta un modo per accrescere le proprie competenze? Se i nostri studenti hanno la possibilità di studiare e lo fanno con impegno e dedizione va bene”.
Anche le retribuzioni insoddisfacenti che il mercato del lavoro offre ai giovanissimi possono rappresentare un deterrente a lavorare mentre si studia, come ha spiegato il professore di sociologia: “L’Italia è un paese che non riesce a valorizzare i propri giovani. E retribuzioni a uno o due euro l’ora possibilmente fanno desistere i più. Per non parlare del lavoro sommerso. Se si potessero censire anche gli studenti che lavorano in nero magari le percentuali italiane si incrementerebbero”.