
Università a rischio estinzione, allarme in Italia: cosa succede
A partire dal 2027 gli studenti diminuiranno, intanto gli Stati di agitazione dell’università lanciano un appello alla mobilitazione contro i tagli
“Alcuni atenei sono a rischio estinzione“, a dirlo è stato Stefano Paleari, consigliere della ministra per l’Università e la Ricerca Anna Maria Bernini ed ex rettore a Bergamo, nel corso del convegno “Per un’università nuova in un’Italia migliore” che si è svolto al Senato. Sebbene il sistema universitario italiano godrà quest’anno della cifra record di 9,4 miliardi di finanziamenti al Fondo ordinario, e dal 2022 e fino al 2026, con il Pnrr, ha visto e vedrà risorse aggiuntive per oltre 2 miliardi l’anno, in futuro la situazione potrebbe cambiare.
Perché le università rischiano l’estinzione
Tra i problemi principali degli atenei ci sarebbe il calo demografico che, a partire dal 2027, potrebbe portare il numero dei potenziali studenti a calare fino al 30% entro il 2040. A questo si aggiunge una struttura sbilanciata degli organici, con un numero elevato di docenti associati e ordinari e tempi di ingresso nel sistema troppo lunghi per i più giovani; l’eterogeneità delle situazioni tra atenei, tutti in crescita come organici, ma la metà dei quali in decrescita come studenti; la necessità di personale tecnico amministrativo sempre più qualificato e in grado di beneficiare delle nuove tecnologie.
Ernesto Galli della Loggia ha invece puntato il dito contro un’autonomia universitaria che si è snaturata, rettori sempre più potenti e proiettati alla carriera post universitaria, docenti sopraffatti dalla burocrazia, un sistema di controllo dell’università, l’Anvur, che ha preso il sopravvento, e un sistema di reclutamento fallimentare.
Sull’argomento è intervenuto il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano, che ritiene necessario “proteggere il sistema da infiltrazioni indebite da parte di governi stranieri, che sfruttano il carattere aperto dell’attività accademica per drenare conoscenze pregiate e know-how”.
Le università rischiano di essere spente: l’appello
Intanto gli Stati di agitazione dell’università hanno invitato docenti e ricercatori alla mobilitazione spiegando che “l’università italiana rischia di essere spenta. Riprendiamo la parola, riaccendiamo l’università“. Come viene chiarito nell’appello, riportato anche sul sito di Flc Cgil che prende parte all’iniziativa, negli scorsi mesi il governo ha tagliato il Fondo di Finanziamento Ordinario per la prima volta dal 2015 e ha posto a carico degli atenei, per tutti gli anni a venire, la quota più consistente del Piano Straordinario della Ministra Messa.
Ciò avrebbe già portato diversi atenei a congelare le prese di servizio per il 2025 e a bloccare il turn over ben oltre i limiti posti dalla legge di Bilancio, limitandosi alle assunzioni finanziate dal Piano straordinario. Diverse università starebbero tagliando i fondi di ricerca, moltiplicando gli insegnamenti senza retribuzione e riducendo l’offerta didattica.
Gli Stati di agitazione avvertono che se non ci sarà una svolta sulle risorse, che recuperi il Piano Straordinario di circa 340 milioni di euro e la copertura degli aumenti stipendiali (almeno altri 600 milioni di euro), che incrementi la quota base del FFO avvicinando la spesa pubblica italiana a quella dei paesi europei, molti atenei statali avranno difficoltà a chiudere i conti nel 2026.
L’invito della ministra Bernini ai ricercatori
Con un decreto fatto su misura la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha concesso alle università telematiche di assumere meno personale strutturato rispetto agli altri atenei, con uno “sconto” di mille docenti.
Intanto la ministra ha invitato “tutti gli operatori della ricerca che, privatamente o pubblicamente, le hanno manifestato la necessità di introdurre soluzioni più flessibili” a difendere presso le sedi europee il Disegno di Legge 1240. A oggi infatti la sua proposta incontrerebbe grandi difficoltà, perché la reintroduzione dell’Assegno di ricerca e la moltiplicazione di figure precarie a tutele variabili, sarebbe in contrasto con la riforma introdotta dalla L. 79/2022 che il Parlamento ha legato al PNRR.
Le richieste dei docenti
I lavoratori del settore universitario hanno ribadito come per loro la ricerca sia un lavoro, che “a qualunque livello riteniamo debba essere trattato con dignità, riconoscendogli retribuzione, diritti e rappresentanza”. La mobilitazione dei docenti (professori, ricercatori, ricercatori a tempo determinato) è promossa per riprendere la parola e per esprimere con chiarezza la contrarietà al Ddl 1240 sul precariato universitario.
Gli aderenti all’iniziativa chiedono:
- di evitare che la revisione della legge 240 del 2010 passi per una legge delega e gruppi di lavoro nelle stanze ministeriali, ma avvenga attraverso un confronto con l’intera comunità universitaria;
- che le università telematiche siano soggette alle stesse regole degli altri atenei.
Infine si rivendica una svolta sulle risorse pubbliche all’università e un piano straordinario di stabilizzazioni, in grado di assorbire l’enorme bacino di precari che rischiano l’espulsione dal sistema universitario compromettendo di fatto la possibilità di adeguarne i parametri agli standard europei.