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Ricercatori Fonte foto: ANSA

Università, "beffa" in arrivo per i ricercatori? Cosa è successo

"Beffa" in arrivo per i ricercatori italiani? Cosa sta succedendo nelle università, dove numerosi lavoratori sono in protesta contro il governo

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

I ricercatori universitari italiani sono in protesta. Il motivo? Chiedono la stabilizzazione dei contratti, più fondi per le università e la cancellazione della riforma Bernini. Non solo: per loro potrebbe essere in arrivo una ‘beffa‘.

La possibile “beffa” per i ricercatori universitari italiani

La precarietà dei lavoratori del sistema universitario italiano non è una novità. Nel 2024 la quota di precari nelle università è arrivata al 42%. Come spiegato da Il Post, la precarizzazione è iniziata con la riforma Gelmini del 2010, che sostituì i ricercatori a tempo indeterminato con altre due categorie: i ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B. A questi si aggiungono gli assegnisti di ricerca, ricercatori con contratti a progetto che dovrebbero fungere da trampolino per l’assunzione definitiva. Al contrario, spesso questi contratti sono stati utilizzati per portare avanti attività di ricerca a costi contenuti.

Nel 2022, il governo Draghi ha approvato una legge per l’abolizione dei contratti dei ricercatori a tempo determinato di tipo A e B e gli assegni di ricerca per introdurre il cosiddetto contratto di ricerca. Si tratta sempre di un contratto a termine ma ha più tutele, come la malattia, le ferie, la tredicesima, la disoccupazione e maggiori contributi per la pensione. Questo è l’attuale contesto normativo.

Vediamo adesso cosa sta succedendo nel mondo dell’università. Negli ultimi anni i contratti precari per i ricercatori sono aumentati. I motivi sono essenzialmente due. In primo luogo, il Pnrr ha stanziato molti fondi per la ricerca, permettendo di fare più contratti. In secondo, il governo ha prorogato le vecchie categorie contrattuali (legge Gelmini) fino all’1 gennaio 2025. Solo a inizio anno, dunque, è entrata a regime la riforma Draghi che impedisce alle università di proporre gli assegni di ricerca.

E qui arriva la possibile ‘beffa’ per i ricercatori. Nonostante adesso gli atenei possano contare sui nuovi contratti di ricerca, sembra che non abbiano abbastanza soldi per farne quanti sarebbero necessari. Con le maggiori tutele previste per i ricercatori, infatti, questi contratti costano di più dei precedenti. E neanche i fondi del Pnrr riuscirebbero a far fronte a questa carenza di risorse. I soldi stanziati dal Piano, hanno segnalato da Il Post, “sono sufficienti in media per circa quattro contratti in ogni università“. Dal giornale hanno anche evidenziato che negli ultimi due anni “le leggi di Bilancio hanno ridotto il fondo di finanziamento ordinario delle università di 700 milioni di euro fino al 2027”.

Con la scadenza nei prossimi mesi dei contratti di un numero considerevole di ricercatori a termine, i fondi stanziati sarebbero dunque insufficienti a garantire la stabilizzazione di tutti i lavoratori precari coinvolti.

Perché Bernini ha fermato il cosiddetto ‘ddl precari’

I ricercatori delle università italiane stanno protestando anche contro il cosiddetto ‘ddl precari’ (disegno di legge 1240), la legge promossa da Anna Maria Bernini di cui la stessa ministra dell’Università ha annunciato la sospensione della discussione parlamentare a febbraio scorso.

La norma prevede l’introduzione di nuove categorie di ricercatori ‘pre-ruolo’. Nel ddl si parla di “contratti a tempo determinato post-doc”, di “borse di assistenti all’attività di ricerca” junior e senior e di “contratti di professore aggiunto”. Per l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi) si tratta di “figure para-contrattuali prive di adeguate garanzie“. A febbraio sia l’Adi che la Cgil hanno presentato un esposto alla Commissione europea contro la riforma Bernini.

La ministra dell’Università e della Ricerca ha così deciso si bloccare l’iter di discussione parlamentare del disegno di legge da lei promosso. Al momento il ddl risulta essere in corso di esame, dal 12 marzo, in commissione al Senato.