Analisi primo canto del Paradiso: il "trasumanar"
Il neologismo di Dante si rivela centrale per l’intera Divina Commedia e la sua visione cristiana, che pone Dio nel destino di ogni uomo.
Il primo canto del Paradiso può essere considerato una sorta di indice dell’intera terza cantica, tante sono le costanti strutturali che vi si ritrovano, dal tema della luce, all’ineffabile realtà del regno celeste, dalla mitologia, all’astronomia, dalle similitudini ai dubbi fisico-teologici di Dante, passando per quel “trasumanar” che, come avremo modo di approfondire, in fondo racchiude il senso dell’intera Divina Commedia e, in senso cristiano, il destino di ogni uomo, chiamato a ricongiungersi al suo Creatore.
Sintesi
Il canto si divide nettamente in due parti, perché la vera e propria narrazione dell’ascesa verso il Paradiso arriva solamente dopo una lunga invocazione ad Apollo. Si tratta del Proemio, in cui Dante se da un lato fa professione di umiltà, ammettendo la necessità di un aiuto divino, dall’altro si autocelebra, rivelando l’ambizione di essere incoronato con l’alloro riservato a sommi poeti e generali vittoriosi per la grandiosità dell’opera che sta portando a compimento.
Quindi il poeta si inoltra nel racconto e innanzitutto, attraverso una serie di riferimenti astronomici, fornisce una collocazione temporale, indicando intorno a mezzogiorno il momento in cui, mentre osserva Beatrice, sente di perdersi nella sua visione, al punto da dover ricorrere al neologismo “trasumanar” e, per cercare di descrivere la percezione della trasformazione che sta subendo, al mito di Glauco narrato da Ovidio, in cui il giovane pescatore diventa una divinità marina dopo aver ingerito delle erbe miracolose.
A questo punto Dante non sa più se è o corpo o puro spirito, avvolto e rapito dalla luce delle sfere celesti, che ruotando producono una musica soave. Beatrice, leggendo dentro il poeta, comprende il suo smarrimento e inizia a parlargli, assumendo da quel momento non solo il ruolo di guida, ma anche quello di teologa, spiegando al disorientato Dante che si trova in un luogo nel quale le leggi terrestri non hanno alcun valore. Le parole dell’amata tranquillizzano il poeta, che può iniziare a prendere coscienza di quel che sta accadendo e che, dubbioso, si chiede come sia possibile, per un mortale come lui, vivere l’esperienza dell’ascensione.
Analisi
Proprio questo senso di inadeguatezza nei confronti di una tale esperienza è ben presente nella cantica sin dai primi versi del proemio, quando, seguendo le norme della retorica classica, Dante inizia dalla dichiarazione dell’argomento, nella quale ammette da subito la difficoltà del narrare di una materia così alta, per passare all’invocazione d’aiuto alle Muse, e in particolare al dio Apollo, per trarne ispirazione poetica.
Successivamente, il canto si snoda come un vero e proprio indice analitico del Paradiso per la varietà dei temi anticipati da Dante.
- Il tema della luce, e del soave canto che ne scaturisce, ben presente nella rappresentazione del Paradiso e nella definizione di Dio, che risplende in ogni luogo.
- L’ineffabilità delle sublimi realtà del Paradiso, per l’appunto impossibili da descrivere a parole da parte del poeta.
- Il ricorso alla mitologia per aiutarsi attraverso racconti, in cui si mescolano il cristiano e il pagano, come nel caso di Apollo e Glauco
- Le nozioni di astronomia, influenzate dal sistema tolemaico e fornite in forma poetica, ma autenticamente scientifiche in rapporto alle conoscenze dell’epoca.
- La trasumanazione, necessaria a Dante per oltrepassare i limiti della natura umana terrena, un processo continuo, che costituisce il mezzo supremo per la conoscenza del Paradiso.
- Le similitudini, tra gli strumenti espressivi maggiormente utilizzati da Dante, per rendere l’idea di una realtà soprannaturale irraggiungibile dalla ragione umana, come quelle del pellegrino e del raggio di luce riflessa, del fulmine e dell’arco.
- I dubbi di Dante e il suo processo di apprendimento, narrati seguendo il meccanismo domanda-risposta, che consentiranno alla cantica intera di fornire la spiegazione di grandi questioni dottrinarie e teologiche e, in questo canto in particolare, a Beatrice di trattare dell’ordine universale e di rivelare quella che è la vera natura dell’uomo secondo un disegno provvidenziale divino prestabilito, il ricongiungimento a Dio in Paradiso.
Il “trasumanar”
“Trasumanar significar per verba/non sia poria”. È il verso 70 del primo canto e ne è anche il nucleo. Il verbo “trasumanare”, ennesimo neologismo utilizzato da Dante, significa letteralmente andare di là dai limiti della natura umana, attraversandola e trasformandola, fino a superarla per aderire a una natura più alta, quella divina. Si tratta di un passaggio fondamentale, perché, portato all’estremo, rappresenta un condensato dell’intera Divina Commedia. A partire da quell’insistere sull’inadeguatezza della parola per descrivere e trasmettere al lettore lo spettacolo di cui è testimone, salvo consegnare allo stesso tempo proprio alla parola il compito sovrumano di condurre sé stesso e chi legge verso il significato ultimo del Verbo, che altri non è che Dio.
È però attraverso Beatrice che trova compimento la visione cristiana della Divina Commedia, secondo la quale, creato da Dio, ogni uomo a Lui è destinato a ricongiungersi in una relazione d’amore. Così, quando la donna amata volge lo sguardo verso il sole, Dante prima la imita, poi punta lo sguardo su di lei e in lei si perde a tal punto che non riesce a capire se sia ancora in possesso del suo corpo mortale o se ormai sia soltanto un’anima. Eccolo il “trasumanar”, quel momento in cui umano e divino si compenetrano nella luce di Dio. È in questo modo, dunque, che l’amore si fa strumento di salvezza per ogni uomo, come per Dante, che, attraverso gli occhi di Beatrice, raggiunge il Paradiso.