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Dalla raccolta Ossi di seppia di Eugenio Montale: "I limoni"

Scritta nel 1921, quando l’autore aveva appena 25 anni, preconizza e sintetizza tutta la produzione lirica successiva del premio Nobel per la Letteratura

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Inserita come testo d’apertura nella prima raccolta montaliana Ossi di seppia, in cui faceva seguito alla poesia introduttiva “In limine”, I limoni è una delle liriche più celebri di Eugenio Montale e costituisce un vero e proprio manifesto della poetica dello scrittore.

A sorprendere è il fatto che, pur presentando uno stile nitido e maturo, l’opera fu realizzata nel 1921, quando l’autore aveva appena 25 anni, ma già contiene tutti gli elementi che caratterizzeranno l’intera produzione del futuro Premio Nobel per la Letteratura.

“I limoni” dunque, pur appartenendo agli esordi del poeta, è divenuta l’emblema della sua volontà di raccontare una realtà nuda e aspra, ma anche viva e colorata, che si discosti da quella nobile narrata da poeti affermati come Carducci e D’Annunzio, ma anche lontana e sorda all’idem sentire.

La poesia

“Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantano i ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall’azzurro:

più chiaro si ascolta il sussurro

dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest’odore

che non sa staccarsi da terra

e piove in petto una dolcezza inquieta.

Qui delle divertite passioni

per miracolo tace la guerra,

qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose

s’abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,

talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità.

Lo sguardo fruga d’intorno,

la mente indaga accorda disunisce

nel profumo che dilaga

quando il giorno più languisce.

Sono i silenzi in cui si vede

in ogni ombra umana che si allontana

qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta

il tedio dell’inverno sulle case,

la luce si fa avara – amara l’anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d’oro della solarità”.

Analisi

L’intenzione manifesta di Montale è quella di distinguere in maniera netta la sua poesia da quella dei “laureati” e di farlo attraverso l’unico strumento in suo possesso, il linguaggio, che non sarà più quello aulico e scarsamente comprensibile adottato dai vati, ma quello più prosaico e diretto, che trova riscontro nella realtà. Un obiettivo programmatico, che appare evidente sin dalla prima parola che apre “I limoni”, quello “Ascoltami” con il quale si rivolge al lettore con un tono imperativo e confidenziale, che prosegue trascinandolo su un terreno a lui noto e che non si basa sulla parola indeterminata, ma sulla cosiddetta “poetica dell’oggetto”, che in questo caso sono proprio i gialli e aspri, ma anche incredibilmente profumati frutti.

Così, attraverso l’olfatto vellicato dall’odore dei limoni e l’udito destato dal sussurro dei suoi rami, viene anticipata la rivelazione promessa proprio dai sensi, una vera e propria esperienza sinestetica ai confini della realtà quotidiana, capace di calmare almeno per un attimo fuggente i conflitti interiori dell’animo umano e perfino la guerra.

È proprio in momenti come questi che le cose sembrano essere vicine a mostrarsi per come sono davvero e in cui ci si sente vicinissimi a conoscere il segreto che racchiudono dal “punto morto del mondo”, all’“anello che non tiene”, piuttosto che il “filo da disbrogliare”.

Purtroppo, però, l’illusione si rivela fugace e ingannevole e, quel che è peggio, nel suo dissolversi lascia svanire ogni speranza. Speranza che per Montale, in realtà, resta viva proprio in quei poveri e umili limoni, definiti “trombe d’oro della solarità”, capaci di gettare una nuova luce intorno a chi li circonda e di sciogliere il gelo dell’anima, indicando una via di fuga a chi vuole evadere da una realtà soffocante, per trovare finalmente il senso che spiega ogni cosa.

Montale mantiene vivo un messaggio di speranza. È in quei frutti poveri e umili che è racchiusa la poesia, e dunque la possibilità di evadere da una realtà soffocante. Tra le maglie della rete cittadina è possibile vedere il giallo del colore dei limoni che getta una nuova luce tutto attorno e scioglie il gelo dell’anima.

L’identità stessa del poeta sembra liquefarsi dinnanzi alla presenza dei limoni, che sembrano annunciare una visione epifanica quasi divina.

È proprio quello il varco, la via di fuga indicata da Montale, per evadere dalla realtà soffocante e trovare finalmente il “senso” che spiega ogni cosa.

Meriggiare pallido e assorto, spiegazione della poesia di Montale

Commento

L’artificiosa convenzionalità della tradizione dannunziana e dei cosiddetti “poeti laureati” è ormai superata per Montale, che in maniera esplicita ne prende le distanze. Iniziando dai riferimenti della sua lirica, che si fanno meno “nobili” e “complicati”. Sono “gli alberi di limoni” e non i “bossi ligustri o acanti” a rappresentare la dimensione concreta della poetica montaliana, come le “pozzanghere mezzo seccate” e le “viuzze che seguono i ciglioni”. Non esistono dunque verità superiori che un vate possa calare dall’alto, ma una realtà circostante, concretamente a disposizione di tutti, capace di regalare brevi attimi di sospensione da una dimensione esistenziale opprimente, come la guerra. Frammenti di fugace felicità, che svaniscono apparentemente per sempre, ma che sono pronti a riaffiorare del colore solare di limoni dal “malchiuso portone”, per donare una nuova speranza.