Francesco Ferdinando: 110 anni dall'assassinio
Il 28 giugno del 1914, Gavrilo Princip uccise a Sarajevo l’erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico. Ma fu davvero il casus belli della Prima Guerra Mondiale? O il pretesto per un conflitto ormai inevitabile?
Riavvolgere il nastro della storia si rivela spesso un esercizio utile per tornare su eventi memorizzati e catalogati, dati di fatto mai compresi a fondo nella loro reale essenza e nella loro genesi. Indagare la storia e ripercorrere i fatti significa incontrare infinite altre porte, che se aperte offrono una visione differente delle vicende balzate agli onori delle cronache.
E’ il caso dell’assassinio di Francesco Ferdinando, arciduca erede al trono degli Asburgo, per mano del carneade Gavrilo Princip, avvenuto esattamente 110 anni fa e passato alla storia come la scintilla che fece divampare la tragedia immane della Prima Guerra Mondiale, ma che in realtà fu solamente lo sciagurato pretesto per far precipitare il Vecchio Continente verso un conflitto già imminente e quasi certamente inevitabile a prescindere dall’attentato di Sarajevo.
Il cosiddetto casus belli, se ripercorso dalla genesi al suo compimento, si rivela infatti essere un episodio talmente tragicomico, da rendere incredibile che da esso sia scaturito quel pandemonio che seminerà morte e distruzione in tutta Europa.
L’attentato del 28 giugno 1914 affonda le sue radici in ragioni storiche, fatte di annessioni e rivendicazioni, ma non sarà tanto un’azione politica, anche se con gli ideali avrà a che fare, quanto una goffa congiura, che si realizzerà attraverso un’irripetibile concatenazione di accadimenti e contrattempi, mossa dalla mano del destino.
Genesi
In base a Trattato di Berlino del 1878, l’Impero Austro-Ungarico aveva ricevuto il mandato di amministrare le province ottomane della Bosnia ed Erzegovina, anche se all’Impero Ottomano continuava ad essere riconosciuta la sovranità ufficiale. Nonostante l’accordo sancito, però, nel corso degli anni continuarono a susseguirsi tutta una serie di dispute territoriali e politiche: la vittoria della Russia sugli ottomani aveva infatti già innescato la rivolta dei popoli balcanici sottomessi dai turchi e portato all’indipendenza di Bulgaria, Romania, Montenegro e soprattutto della Serbia, i cui leader aspiravano ad includere nei suoi confini tutti gli slavi dei Balcani. Quando nel 1908 l’Impero Austro-Ungarico ruppe gli indugi procedendo alla definitiva annessione della Bosnia Erzegovina, fu come sedersi su una polveriera.
I prima ad insorgere furono i nazionalisti serbi, che considerarono l’azione asburgica un affronto. Come reazione, nel 1911, venne fondata l’organizzazione “Unificazione o Morte”, meglio conosciuta come “Crna Ruka”, Mano Nera. A guidarla era l’ufficiale Dragutin Dimitrijevic, nome in codice Apis, un eroe di guerra dell’esercito serbo, e lo sbandierato obiettivo era quello di cavalcare il panslavismo contro l’oppressore. Come nel caso della Giovane Bosnia, movimento sorto da una costellazione di gruppi di giovani e giovanissimi accomunati dal desiderio di sottrarsi al giogo asburgico e dalla convinzione che la violenza costituisse uno strumento legittimo con cui rispondere all’oppressione austro-ungarica. A farne entusiasticamente parte anche Gavrilo Princip.
Gavrilo Princip
Nato nel 1894, Gavrilo è uno dei nove figli dei coniugi Princip, famiglia di contadini dello sperduto villaggio di Objlaj, al confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia. Sei dei suoi fratelli moriranno di stenti ancora bambini, mentre lui lascia la casa natale per andare a studiare a Sarajevo, capitale della regione. Qui viene contagiato dal clima rivoluzionario che si respira nelle piazze studentesche, divora letteratura rivoluzionaria di impronta socialista, anarchica e nazionalista, ma non eccelle negli studi ed è malvisto dai professori, consapevoli delle sue tendenze politiche. Quando nel 1912 viene espulso, si trasferisce a Belgrado, centro del panslavismo balcanico, rifugio di tutti i perseguitati politici di Bosnia. Tenta di arruolarsi per combattere contro gli ottomani, ma viene respinto per la sua gracile costituzione. Resta comunque politicamente attivo e coinvolto e nel marzo del 1914, mentre è seduto in un caffè di studenti, quando l’amico Nedeljko Cabrinovic gli mostra un ritaglio di giornale, decide il suo destino. E inconsapevolmente quello di tutti noi.
Il quotidiano annuncia che il 28 giugno l’erede alla Corona asburgica sarà in visita a Sarajevo e per Gavrilo l’equazione è automatica: quel giorno dovrà essere lì e uccidere l’arciduca Francesco Ferdinando.
Francesco Ferdinando
L’arciduca Francesco Ferdinando è un cinquantenne possidente di un’immensa fortuna, ma quella più grande è stata l’essere sopravvissuto alla tubercolosi. Un evento che gli consente a sorpresa di ritrovarsi erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico retto dall’anziano Francesco Giuseppe, i cui diretti successori, il figlio Rodolfo e Carlo Ludovico, padre di Francesco Ferdinando, sono morti, il primo suicida, il secondo di tifo. Meno fortunate le scelte che il successore designato compirà di qui in poi, a partire dal privato, con il matrimonio celebrato con la boema Sofia, duchessa di Hohenberg, nonostante il parere negativo dell’Imperatore.
Dal punto di vista politico, l’arciduca riuscirà a scontentare tutti. Fautore del trialismo, progetta di modificare il dualismo della corona asburgica, inglobando gli slavi su un piano di parità con austriaci e ungheresi, con lo scopo di mitigare le spinte irredentiste che minacciano l’Impero. Progetto che in un colpo solo irrita le élite austriache, le governance magiare, che vedrebbero fortemente sminuito il loro peso nei processi decisionali, e l’aspirante Grande Serbia, che aspira ad unificare sotto la sua egida tutte le popolazioni slave dei Balcani.
In un clima così compromesso, infine, Francesco Ferdinando sbaglierà anche l’ultima scelta, decidendo di ignorare tutte le informative delle intelligence dell’epoca, tutte convergenti sul pericolo di un atto terroristico durante la sua prevista visita in Bosnia, e di andare incontro a quella morte annunciata cui era sfuggito da giovane, guarendo dalla malattia, e trascinando con sé l’amata moglie e il destino dell’umanità.
Preparativi
Destino che sta per compiersi non per opera di una grande trama oscura, ma di un manipolo di mocciosi dilettanti. In base alle ricostruzioni, infatti, la partecipazione all’attentato di Sarajevo da parte della Mano Nera sarà tutto sommato marginale, limitato al supporto logistico e all’equipaggiamento e in maniera indiretta alla fase di addestramento. Già, perché la banda armata messa su da Princip, che partirà per la Bosnia con la missione di uccidere l’arciduca, è costituita da ragazzi tra i 17 e i 19 anni, che non hanno mai sparato un colpo in vita loro.
I primi ad essere coinvolti nell’organizzazione del piano sono due amici di Gavrilo, Trifko Grabez e quel Nedeljko Cabrinovic che gli aveva mostrato l’articolo sulla visita di Francesco Ferdinando. Le armi vengono fornite al gruppo da Milan Ciganovic, un ex combattente serbo-bosniaco legato alla Mano Nera, che procura ai ragazzi sei bombe a mano e quattro pistole e che insegna loro a sparare in un bosco, prima di agevolare con la complicità dei doganieri il loro passaggio in Bosnia attraverso il fiume Drina.
A Sarajevo ad attendere Princip e compagni è Danilo Ilic, amico di vecchia data di Gavrilo, che ha assolto al compito di integrare la banda aggregando Muhamed Mehmedbasic, già coinvolto in altre azioni armate, e i giovanissimi Cvjetko Popovic e Vaso Cubrilovic, ai quali lo stesso Ilic insegnerà a maneggiare le pistole, la notte precedente all’attentato.
Attentato
La mattina del 28 giugno su Sarajevo splende il sole. Nonostante il momento teso, il clima è festoso, la sicurezza non è stata rinforzata e gli spostamenti del corteo imperiale sono stati resi noti a mezzo stampa. L’arciduca e la duchessa visiteranno i reparti militari prima di attraversare i ponti della città per ricevere l’omaggio del popolo. Il “piano” di Princip e compagni è imbarazzante nella sua semplicità, sparpagliarsi lungo il percorso e attendere il momento giusto, chi si troverà nella posizione migliore rispetto al bersaglio farà fuoco. Nel caso, peraltro probabile, che le cose andassero male, prima soluzione la fuga, seconda la morte, aiutati da una pillola di cianuro.
Il primo ad avere l’occasione buona è Mehmedbasic, che però perde l’attimo e non estrae la sua bomba, che viene invece lanciata da Cabrinovic, il quale però sbaglia mira e colpisce l’auto successiva a quella dell’arciduca, provocando panico e feriti gravissimi tra gli occupanti e il pubblico circostante. Il convoglio accelera e mette in salvo Francesco Ferdinando e consorte, mentre Cabrinovic prima prova a gettarsi nel fiume Miljacka, che però è in secca estiva, poi tenta di ingerire la pillola di cianuro, che però è vecchia e difettosa e gli procura solamente delle ustioni alla bocca e alla gola, prima di essere arrestato.
Sfuggito all’attentato, l’arciduca viene condotto in municipio per la visita programmata e qui si lascia andare ad un durissimo sfogo contro la popolazione che lo accoglie a suon di bombe. Convinto di aver scampato il pericolo, l’arciduca decide di non prendere nessuna ulteriore precauzione, se non quella di modificare il percorso previsto per recarsi in ospedale in visita ai feriti dall’esplosione dell’ordigno. L’autista però non viene avvisato.
Quando Gavrilo Princip esce dal negozio di alimentari in cui si era infilato, senza sapere se il colpo fosse andato o meno a segno, non può credere a quel che vede. Davanti ai suoi occhi, la macchina dell’arciduca è ferma al centro della carreggiata, l’autista non è stato avvisato del cambio di itinerario e ha sbagliato strada, devono essere invertite le cinghie di trasmissione dell’auto per ingranare la retromarcia. E’ un segno del destino, il soffio della storia. Princip estrae la pistola ed esplode due colpi: uno colpisce Francesco Ferdinando alla giugulare, l’altro, diretto al governatore Potiorek, fora invece la portiera e colpisce all’addome la contessa Sofia, incinta di quattro mesi, per i due non c’è scampo, mentre Princip, tradito anche lui dal cianuro, si punta la pistola alla testa, ma viene fermato un attimo prima di premere il grilletto e arrestato.
Come gli altri minorenni, Gavrilo Princip non sarà giustiziato, ma condannato all’ergastolo morirà di tisi in prigione nel 1918.
È guerra
L’assassinio dell’erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico e della moglie produrrà un grande shock in tutta Europa, eppure, almeno inizialmente, non parrà essere percepito come una miccia in una sarabanda.
Esattamente un mese dopo, però, il 28 luglio, l’Austria, appoggiata dal Reich tedesco, dichiarerà guerra alla Serbia, accusata senza prove di essere stata a conoscenza dell’attentato. Come in un gioco di domino, le alleanze incrociate, già delineatesi in precedenza, innescheranno azioni e reazioni tra potenze europee che da molti anni non si combattevano più, ma che nel frattempo si erano armate fino ai denti e che non aspettavano altro che un pretesto per regolare i vecchi conti in sospeso.
Per questo, una volta avviati, gli eventi bellici diventeranno impossibili da fermare e per questo, probabilmente, la vicenda dell’idealista Gavrilo Princip e dei suoi compagni di sventura, meriterebbe di essere riproposta sotto una luce diversa e non come l’evento scatenante di quell’immane massacro che sarà la Prima guerra mondiale, che causerà la morte di oltre 9 milioni di soldati e 5 milioni di civili.