Nella belletta di D’Annunzio: parafrasi e figure retoriche
Gabriele D’Annunzio esplora nelle sue opere le sfumature più intime della natura e della psiche umana. “Nella belletta” si distingue come una delle sue liriche più suggestive, in cui il poeta traduce in immagini potenti il tema della decadenza e del disfacimento, elementi centrali della sensibilità decadente. Attraverso una descrizione intensa e dettagliata di una palude estiva, D’Annunzio costruisce un’atmosfera carica di sensazioni olfattive, visive e uditive, trasmettendo un senso di morte, immobilità e decomposizione, dove la natura stessa sembra dissolversi in un lento e inesorabile declino.
- Nella belletta: testo e parafrasi
- Nella belletta: il contesto della poesia
- Nella belletta: struttura e analisi
- Nella belletta: figure retoriche
- Nella belletta: il tema della morte e della decadenza
- Nella belletta e il simbolismo naturalistico
Nella belletta: testo e parafrasi
Testo:
Nella belletta i giunchi hanno l’odore
delle persiche mézze e delle rose
passe, del miele guasto e della morte.
Or tutta la palude è come un fiore
lutulento che il sol d’agosto cuoce,
con non so che dolcigna afa di morte.
Ammutisce la rana, se m’appresso.
Le bolle d’aria salgono in silenzio.
Parafrasi:
Nella fanghiglia della palude, i giunchi emanano un odore simile a quello delle pesche troppo mature e delle rose appassite, del miele andato a male e della morte. Ora, l’intera palude appare come un fiore fangoso che il sole d’agosto sta cuocendo, con una sorta di dolciastra afa di morte. La rana tace al mio avvicinarsi. Le bolle d’aria emergono silenziosamente.
Nella belletta: il contesto della poesia
“Nella belletta” fa parte dei “Madrigali dell’estate“, un gruppo di undici brevi liriche composte nel 1903 e inserite nella quarta sezione dell’opera “Alcyone“, pubblicata nel 1904. In questa raccolta, D’Annunzio esplora il tema dell’estate al suo culmine e il suo progressivo declino verso l’autunno. La poesia in questione si colloca temporalmente nel periodo più torrido dell’estate, quando la natura, sfinita dal caldo, inizia a mostrare segni di decadenza.
Il termine “belletta” deriva dal latino “belletta” e indica la fanghiglia o melma presente nelle paludi. D’Annunzio utilizza questo termine per evocare un ambiente stagnante e malsano, simbolo della corruzione e del disfacimento. La poesia descrive una palude in cui i giunchi emanano odori sgradevoli, paragonati a quelli di frutti e fiori in decomposizione, suggerendo un parallelismo tra la natura morente e la condizione umana.
Il significato profondo della lirica risiede nella rappresentazione della bellezza effimera e nella consapevolezza della sua inevitabile decadenza. D’Annunzio celebra la natura anche nel suo momento di declino, trovando una sorta di estetica nella decomposizione e nella morte. Questo approccio riflette la sensibilità decadente, che vede nella decadenza stessa una forma di bellezza sublime.
Nella belletta: struttura e analisi
La poesia è un madrigale composto da due terzine e un distico finale, tutti in endecasillabi. Lo schema metrico segue la struttura ABC, ADC, EF, con rime alternate e assonanze che conferiscono al testo un ritmo lento e cadenzato, in linea con l’atmosfera descritta.
Nella prima terzina, D’Annunzio si concentra sulle sensazioni olfattive, descrivendo gli odori emanati dai giunchi nella palude. Questi vengono paragonati a quelli di pesche troppo mature (“persiche mézze”), rose appassite (“rose passe”) e miele andato a male (“miele guasto”), culminando nell’odore della morte. Queste immagini evocano una sensazione di disfacimento e corruzione.
La seconda terzina amplia la descrizione, paragonando l’intera palude a un “fiore lutulento” (ossia un fiore fangoso), che il sole d’agosto sta “cuocendo”. L’uso del termine “lutulento” (dal latino “lutum”, fango) crea un ossimoro, accostando l’idea di un fiore, simbolo di bellezza, alla fanghiglia, simbolo di degrado. L’aria è descritta come una “dolcigna afa di morte”, un’espressione che unisce sensazioni contrastanti di dolcezza e morte.
Nel distico finale, l’attenzione si sposta sulle sensazioni uditive. La rana, simbolo di vita nella palude, tace all’avvicinarsi del poeta, e le bolle d’aria, prodotte dalla decomposizione nel fango, salgono in superficie silenziosamente. Questo silenzio accentua l’atmosfera di morte e immobilità che pervade l’intera scena.
Nella belletta: figure retoriche
D’Annunzio fa ampio uso di figure retoriche per arricchire il testo e intensificare le sensazioni descritte, creando un’atmosfera densa di significati simbolici ed evocativi.
Uno degli espedienti più evidenti è l’ossimoro, con l’accostamento di termini contrastanti che sottolineano la coesistenza tra vitalità e decadimento. Si nota chiaramente in espressioni come “persiche mézze” e “rose passe”, dove frutti e fiori, comunemente simboli di freschezza e bellezza, vengono descritti nel loro stato di decomposizione. Anche l’immagine del “fiore lutulento”, che unisce la purezza del fiore con la sporcizia del fango, amplifica questa percezione di contrasto tra bellezza e corruzione.
La sinestesia è un altro elemento chiave della poesia, in cui sensazioni diverse vengono accostate per creare un effetto straniante. L’espressione “dolcigna afa di morte” unisce la percezione del gusto (dolcigna) con quella tattile (afa), introducendo poi il concetto astratto della morte. Questo intreccio di percezioni amplifica l’atmosfera opprimente della scena, rendendo la decomposizione della natura quasi tangibile.
La metafora gioca un ruolo cruciale nel testo, soprattutto nella descrizione della palude come “un fiore lutulento che il sol d’agosto cuoce”. Qui, il fiore, solitamente simbolo di bellezza e vita, si trasforma in un’immagine di putrefazione e decadimento, suggerendo che la natura stessa sia avvolta da un processo irreversibile di consunzione. Questo rafforza l’idea che anche la bellezza è destinata a dissolversi nella morte.
L’allitterazione contribuisce a costruire il ritmo lento e cadenzato del testo. Nella sequenza “persiche mézze e delle rose passe”, la ripetizione delle consonanti dolci (s, p, m) crea un suono morbido e languido, evocando la sensazione di qualcosa che si disfa lentamente. Il suono stesso delle parole riflette il processo di dissolvimento che caratterizza l’ambiente paludoso descritto dal poeta.
Un’altra figura retorica significativa è la personificazione, che trasforma l’ambiente naturale in un’entità viva e sensibile. La palude sembra quasi possedere un’anima propria nel suo declino, mentre la rana, che ammutolisce al passaggio del poeta, diventa simbolo di una natura che si ritrae davanti alla percezione della morte. Questo silenzio improvviso accentua la sensazione di un mondo in cui la vita si è fermata, come se ogni creatura fosse consapevole dell’inevitabile dissolvimento.
Infine, D’Annunzio utilizza una sorta di onomatopea implicita per intensificare l’atmosfera di sospensione. Il verso “Le bolle d’aria salgono in silenzio” suggerisce il suono ovattato delle bolle che affiorano dal fango, senza che venga esplicitamente riportato alcun suono. Questa immagine contribuisce a rendere la scena ancora più inquietante, accentuando l’immobilità e il senso di desolazione che permeano l’intera lirica.
Nella belletta: il tema della morte e della decadenza
Uno degli elementi più forti della poesia è il tema della morte. D’Annunzio non la rappresenta in maniera diretta o tragica, ma attraverso immagini naturali che suggeriscono disfacimento e corruzione. La palude diventa un simbolo della decomposizione: è un luogo stagnante, in cui la vita sembra essersi fermata e in cui la materia organica è in continua trasformazione. L’odore acre dei giunchi ricorda quello della frutta in decomposizione e del miele guasto, a loro volta simboli di una bellezza effimera che sfiorisce rapidamente.
L’intera scena suggerisce un’immobilità inquietante: il caldo asfissiante, il silenzio improvviso della rana, le bolle d’aria che emergono senza suono. È una morte silenziosa, ineluttabile, che permea tutto, senza clamore ma con una lenta e inevitabile consunzione.
La poesia può essere letta anche in chiave esistenziale: D’Annunzio riflette sulla condizione umana, sulla transitorietà della bellezza e sul destino di ogni essere vivente. La sua visione è profondamente decadente: invece di ribellarsi alla morte, il poeta la osserva con uno sguardo estetizzante, trovandovi persino una forma di fascinazione.
Nella belletta e il simbolismo naturalistico
D’Annunzio, soprattutto in Alcyone, utilizza spesso la natura come specchio dell’anima umana e come mezzo per esplorare le sensazioni più profonde. In Nella belletta, il paesaggio paludoso non è solo una descrizione realistica di un ambiente estivo soffocante, ma diventa un simbolo della decadenza e dell’imminente declino della vita.
Ogni elemento naturale ha una sua precisa funzione evocativa:
- I giunchi e la fanghiglia rappresentano la materia in fermento, il passaggio dalla vita alla decomposizione;
- L’afa estiva è il segno della natura che sta per implodere su sé stessa, un caldo che non rigenera ma soffoca;
- Il silenzio improvviso della rana richiama un senso di sospensione e attesa, come se la natura stessa percepisse l’imminenza della fine.
Tutti questi dettagli trasformano il paesaggio in un luogo carico di suggestione simbolica, dove la realtà fisica diventa un mezzo per esplorare verità più profonde e universali.