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Meriggio di D'Annunzio: figure retoriche e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

“Meriggio”, poesia inclusa nella raccolta “Alcyone” di D’Annunzio, fu pubblicata nel 1903. In questa lirica, D’Annunzio esplora il concetto di panismo, ovvero la fusione totale dell’io con il mondo naturale, raggiungendo una sorta di estasi in cui l’individualità si dissolve nell’universo circostante.

Struttura e metrica della poesia

“Meriggio” è composta da quattro strofe di ventisette versi ciascuna, seguite da un verso conclusivo isolato. La metrica è libera, con versi che variano dal quinario all’ottonario, senza uno schema di rime fisso. Questa scelta stilistica conferisce al componimento un ritmo fluido e armonioso, rispecchiando la quiete e l’immobilità del paesaggio descritto.

Descrizione del paesaggio

Nelle prime due strofe, D’Annunzio dipinge un quadro dettagliato del paesaggio toscano durante le ore più calde del giorno. La scena si svolge lungo la foce dell’Arno, dove il Mare Tirreno appare “pallido verdicante”, paragonato al bronzo antico dissepolto dalle tombe etrusche. L’assenza di vento crea una calma piatta, la “bonaccia”, che avvolge l’intero ambiente in un silenzio profondo. La spiaggia è deserta, ornata da ginepri arsi e rusco, senza alcun movimento o suono. All’orizzonte, si scorgono Capo Corvo, l’Isola del Faro e, più distanti, la Capraia e la Gorgona, isole menzionate da Dante nella sua “Divina Commedia“.

Le Alpi Apuane dominano il paesaggio con le loro cime marmoree, descritte come una “marmorea corona di minaccevoli punte”. La foce dell’Arno è paragonata a un “salso stagno”, con acque immobili che riflettono la quiete circostante. Le capanne dei pescatori e le reti sospese contribuiscono a creare un’atmosfera di immobilità e silenzio. I boschi di San Rossore appaiono più scuri, mentre quelli più lontani, verso il Gombo e il Serchio, assumono tonalità azzurrine. I Monti Pisani sembrano dormire sotto cumuli di vapore, completando questo quadro di quiete assoluta.

Il processo di fusione panica

Nelle ultime due strofe, il focus si sposta dalla descrizione del paesaggio all’interiorità del poeta. D’Annunzio descrive una progressiva identificazione con la natura circostante, un processo di dissoluzione dell’io che culmina in una completa fusione con l’ambiente. Il poeta avverte che il suo volto si “indora dell’oro meridiano” e che la sua “bionda barba riluce come la paglia marina”. Sente che la sabbia della spiaggia è come il suo palato e il cavo della sua mano, percependo una profonda connessione tattile con gli elementi naturali.

Questa identificazione si approfondisce ulteriormente: il fiume diventa la sua vena, il monte la sua fronte, la selva la sua pube e la nube il suo sudore. D’Annunzio si sente presente in ogni elemento della natura, dal “fiore della stiancia” alla “scaglia della pina”, dalla “bacca del ginepro” al “fuco” e alla “paglia marina”. Dichiara di ardere e rilucere, affermando di non avere più un nome, poiché la sua identità si è completamente fusa con il meriggio stesso. Vive in tutto, “tacito come la Morte”, e conclude proclamando che la sua vita è “divina”.

Tematiche principali

La poesia affronta diverse tematiche chiave della poetica dannunziana:

  • Panismo: la fusione totale dell’io con la natura, in cui il poeta perde la propria individualità per diventare un tutt’uno con l’universo.
  • Estetismo: l’attenzione meticolosa ai dettagli sensoriali e cromatici, con descrizioni ricche e suggestive che esaltano la bellezza del paesaggio.
  • Silenzio e immobilità: l’assenza di movimento e suono nel paesaggio riflette una condizione di pace assoluta, ideale per la contemplazione e la fusione panica.
  • Temporalità sospesa: il momento del meriggio rappresenta un’ora fuori dal tempo, in cui il poeta può sperimentare la dissoluzione dell’io e l’unione con l’eterno.

Figure retoriche e stile

D’Annunzio arricchisce il testo con numerose figure retoriche, che contribuiscono a creare un’atmosfera evocativa e immersiva. Le similitudini rendono le immagini ancora più vivide e suggestive, come quando il mare è paragonato al bronzo dissepolto dagli ipogei, con la sua tonalità “pallido verdicante”, oppure quando la barba del poeta riluce “come la paglia marina”, enfatizzando la fusione tra l’uomo e l’elemento naturale.

Le metafore sono altrettanto significative, con le Alpi Apuane descritte come una “marmorea corona di minaccevoli punte”, conferendo ai monti un’aura solenne e imponente. La foce dell’Arno viene definita un “salso stagno”, un’immagine che accentua l’immobilità del paesaggio e il senso di sospensione temporale.

Un forte impatto visivo ed emotivo è dato anche dalle personificazioni, che attribuiscono agli elementi naturali caratteristiche umane. Le montagne appaiono “minaccevoli”, come se avessero una volontà propria, mentre i Monti Pisani sembrano immersi in un sonno profondo sotto il velo delle nuvole. Persino il silenzio diventa una presenza tangibile, quasi sovrumana, avvolgendo il poeta e il lettore in un’atmosfera di totale contemplazione.

L’uso di anafore e ripetizioni conferisce al testo un ritmo ipnotico e musicale, accompagnando il lettore nella progressiva dissoluzione dell’io poetico. La reiterazione di parole e strutture sintattiche rafforza la sensazione di fusione panica e di totale immersione nella natura.

Infine, le accumulazioni creano un effetto di ampiezza e varietà, con elenchi dettagliati di elementi naturali – acque, piante, isole, monti – che sottolineano la vastità e la ricchezza del paesaggio. Questo procedimento non solo esalta l’abbondanza della natura, ma enfatizza anche il desiderio del poeta di appartenervi completamente, dissolvendo ogni confine tra sé e l’universo che lo circonda.

L’Influenza di Nietzsche e il concetto di Superuomo

Anche se il componimento è incentrato sul panismo e sull’identificazione con la natura, è possibile individuare l’influenza della filosofia nietzschiana nella figura del poeta. L’idea dell’uomo superiore, capace di elevarsi al di sopra della mediocrità borghese attraverso un’intensa esperienza estetica e sensoriale, permea la lirica. Il poeta, dissolvendosi nel paesaggio e proclamando la sua esistenza “divina”, si pone al di sopra delle convenzioni umane e delle limitazioni materiali.

L’assenza di una narrazione convenzionale e la totale concentrazione sul momento presente conferiscono a “Meriggio” un carattere quasi mistico: il poeta non si limita a descrivere il paesaggio, ma lo vive in maniera assoluta e trascendente, arrivando a una sorta di apoteosi panica.

Il ruolo della luce e del calore

L’elemento che domina la poesia è la luce del meriggio, che trasforma ogni dettaglio in una visione dorata e vibrante. Il sole è onnipresente, non solo come fonte di illuminazione, ma come principio vitale che permea ogni cosa. Il calore non è solo fisico, ma diventa spirituale e mistico, un’energia che consente la fusione dell’io con il tutto.

Il poeta stesso si sente pervaso dalla luce e dal calore, tanto che la sua barba e la sua pelle sembrano trasformarsi in elementi naturali: la sua barba “riluce come la paglia marina”, la sua pelle si confonde con la sabbia della spiaggia. Questo processo porta alla perdita dei confini tra il corpo umano e l’ambiente, annullando la distinzione tra soggetto e oggetto.

Il Meriggio come metafora dell’assoluto

Il meriggio non è solo una condizione atmosferica, ma assume un valore simbolico più profondo. Rappresenta un momento di sospensione, un punto culminante della giornata in cui tutto sembra fermarsi. Questo stato di quiete assoluta è il presupposto per l’esperienza mistica descritta nella poesia: è solo nell’assenza di movimento e rumore che il poeta può dissolversi nel tutto e raggiungere una forma di esistenza superiore.

Il meriggio diventa quindi una metafora dell’eterno presente, in cui il passato e il futuro scompaiono e l’unica realtà esistente è l’attimo vissuto nella sua pienezza. In questo senso, la poesia di D’Annunzio si avvicina alle filosofie orientali, che esaltano l’esperienza dell’attimo assoluto come via per il superamento dell’ego e per il raggiungimento della pace interiore.