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Canto XVII del Purgatorio di Dante: analisi e personaggi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto diciassettesimo del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel percorso spirituale di Dante, poiché segna il passaggio dalla terza alla quarta cornice del monte del Purgatorio, ma soprattutto perché contiene una delle più importanti riflessioni etiche dell’intera Commedia: la definizione della struttura del peccato come espressione disordinata dell’amore. Questo canto si colloca esattamente al centro del Purgatorio, e questa posizione centrale non è casuale.

In esso, infatti, Dante elabora una vera e propria teoria morale che sintetizza e spiega la logica della distribuzione dei peccati nelle cornici purgatoriali. Il canto, articolato tra riflessione filosofica, visioni simboliche e narrazione del viaggio, segna un passaggio fondamentale per comprendere la concezione dantesca del peccato, della colpa e del cammino di redenzione.

Le visioni dell’ira e la funzione educativa delle immagini

Il canto si apre con la descrizione di tre visioni oniriche che Dante sperimenta nella cornice degli iracondi, la terza del monte. Queste visioni, che colpiscono il poeta come apparizioni improvvise, raffigurano esempi di mitezza e carità, ovvero delle virtù opposte all’ira, e hanno lo scopo di educare e ispirare le anime penitenti. La prima visione mostra la scena evangelica in cui Maria rimprovera dolcemente Gesù adolescente dopo averlo ritrovato nel tempio; la seconda rappresenta Pisistrato che perdona con magnanimità un uomo che ha offeso sua figlia; la terza, infine, raffigura Santo Stefano che, mentre viene lapidato, prega Dio di perdonare i suoi carnefici.

Queste immagini hanno un valore profondo e molteplice: non sono solo esempi morali, ma stimoli interiori, strumenti attraverso cui l’anima purga il proprio peccato imparando dalle virtù contrarie. Il potere di queste visioni sta nel loro carattere immediato e affettivo: esse non convincono solo con la ragione, ma toccano l’emotività, la memoria e l’immaginazione, contribuendo al processo di trasformazione morale. Attraverso queste immagini, Dante sottolinea l’importanza della mimesi delle virtù, cioè del desiderio di emulare gli esempi di bontà come via per correggere i propri eccessi.

La transizione tra le cornici e l’arrivo della luce

Una volta completato il ciclo delle visioni e superata la permanenza nella terza cornice, Dante e Virgilio si preparano a salire alla successiva. Qui il clima narrativo cambia: dopo il fumo opprimente dell’ira, si fa spazio un’atmosfera più limpida, segno non solo fisico ma simbolico del superamento di una fase oscura e dell’ingresso in una dimensione di maggiore consapevolezza. L’apparizione dell’angelo che guida Dante verso la cornice successiva è accompagnata da una rivelazione luminosa: l’angelo splende e spiega al poeta il significato profondo dell’amore, anticipando il discorso filosofico che sarà poi sviluppato da Virgilio.

La presenza dell’angelo ha un valore teologico preciso: gli angeli, nel Purgatorio, sono figure di transizione, che annunciano una verità nuova, rendono possibile l’avanzamento e liberano Dante di un peso (in questo caso, la “P” dell’ira incisa sulla fronte). Si tratta di un rito di passaggio spirituale che si accompagna sempre a un progresso interiore: la salita non è solo fisica, ma esistenziale.

La dottrina dell’amore come radice di ogni peccato

La parte centrale del canto è dominata da un lungo discorso di Virgilio, che risponde a una domanda implicita di Dante e spiega la natura dell’amore e del peccato. Questa riflessione ha un valore filosofico e teologico di altissimo rilievo, poiché fornisce la chiave di lettura dell’intera struttura del Purgatorio. Secondo Virgilio, l’amore è il principio di ogni azione umana e in sé non è né buono né cattivo: è un’energia naturale che spinge l’uomo verso ciò che desidera. Il problema sorge quando l’amore è mal diretto o mal dosato.

I peccati derivano quindi da un disordine dell’amore: o si ama qualcosa che non è degno (come nel caso della superbia, dell’invidia, dell’ira), oppure si ama con troppa debolezza o con troppa intensità un bene legittimo. Da questa distinzione nascono le tre grandi categorie del peccato che si riflettono nelle sette cornici del Purgatorio: l’amore per il male del prossimo (superbia, invidia, ira), l’amore tiepido o insufficiente per il bene (accidia), l’amore eccessivo per i beni terreni (avarizia, gola, lussuria).

Questa dottrina non solo ha una coerenza logica e morale straordinaria, ma mostra anche l’intento pedagogico dell’intero poema: guidare l’anima verso un amore ordinato, che ponga Dio al centro e subordini ad esso tutti gli altri amori.

La libertà dell’uomo e il ruolo della ragione

All’interno della spiegazione dell’amore, Virgilio introduce un altro tema fondamentale: la libertà dell’uomo. Anche se l’amore è una forza naturale, esso non è cieco o automatico. L’uomo è dotato di ragione e volontà, strumenti che gli permettono di giudicare ciò che è bene e ciò che è male, e quindi di scegliere come indirizzare il proprio amore. Questa riflessione si collega strettamente al canto precedente, dove Marco Lombardo aveva già illustrato la dottrina del libero arbitrio.

Qui essa viene completata: l’uomo è libero perché può orientare il proprio amore, ed è proprio su questa capacità di orientamento che si basa la sua responsabilità morale. Virgilio insiste sul fatto che Dio ha dato all’uomo l’intelletto per discernere, e che questa facoltà deve essere esercitata con diligenza e umiltà. Se il desiderio da solo non basta, perché può essere ingannevole o disordinato, è la ragione che deve fare da guida, aiutando l’anima a trovare l’equilibrio tra ciò che attrae e ciò che vale. In questa prospettiva, l’etica dantesca si fonda su una antropologia armonica, in cui le forze del cuore e della mente collaborano per costruire la via della salvezza.

L’invocazione finale e il passaggio alla quarta cornice

Nella parte conclusiva del canto, Dante si avvia verso la quarta cornice, dove saranno purificati gli accidiosi, cioè coloro che hanno amato il bene con troppa debolezza. Prima di congedarsi, Virgilio pronuncia parole che assumono il tono di un’esortazione: esorta Dante a usare il lume della ragione con costanza, a non farsi ingannare da false immagini del bene e a mantenere sempre viva la tensione verso l’alto.

È un momento quasi iniziatico, in cui il maestro consegna all’allievo una verità preziosa e lo incoraggia a proseguire il cammino con maggiore consapevolezza. La salita verso la prossima cornice si presenta dunque non solo come un movimento ascensionale, ma come un progresso nella conoscenza e nella libertà. Dante è ora in grado di comprendere che ogni tappa del Purgatorio non è solo una punizione, ma un’occasione per riscoprire il vero volto dell’amore, quell’amore ordinato che guida l’universo e conduce le anime alla beatitudine.