Introduzione al Purgatorio: struttura e concezione del pentimento
Nella seconda Cantica della Divina Commedia Dante segue la classificazione tomistica dei vizi dell'amore mal diretto e suddivide il regno in sette cornici, nelle quali si espiano i sette peccati capitali
La struttura del Purgatorio
Nella Divina Commedia, Dante immagina il Purgatorio – composto da Antipurgatorio, Purgatorio vero e proprio e Paradiso terrestre – costruito specularmente all’Inferno: quindi, non si trova più di fronte a una voragine, bensì a una montagna. Capovolto è anche l’ordine dei peccati: il suo cammino non andrà dal più veniale al più grave, bensì l’esatto opposto. Il poeta fiorentino segue la classificazione tomistica dei vizi dell’amore mal diretto e, pertanto, non fa più riferimento a singole colpe come nella Cantica precedente. Il Purgatorio viene, pertanto, suddiviso in sette cornici, nelle quali si espiano i sette peccati capitali, vale a dire la superbia, l’invidia, l’ira, l’accidia, l’avarizia, la gola e la lussuria, dove quest’ultimo, l’amore che eccede nella misura, è quello considerato più grave (e quindi le anime che si sono macchiate di tale peccato sono le prime ad essere incontrate da Dante e Virgilio). Il custode del regno è Catone l’Uticense, del quale viene offerta una presentazione nel primo Canto, che viene scelto dall’autore in quanto essere simbolo del valore morale della libertà politica. Inoltre, ogni cornice ha un proprio custode angelico – più precisamente, gli angeli dell’umiltà, della misericordia, della mansuetudine, della sollecitudine, della giustizia, dell’astinenza e della castità – e le anime ivi presenti hanno sotto gli occhi sia esempi del loro vizio punito, sia quelli della virtù opposta. Una volta giunti in prossimità del Paradiso terrestre, Virgilio dovrà abbandonare Dante, alla cui guida si porrà il poeta latino Stazio, che lo condurrà nel giardino celeste, dove verrà poi accolto da Matelda, a sua volta anticipazione dell’apparizione dell’amata Beatrice.
La concezione del Pentimento
Le anime del Purgatorio non sono dannate ma, al contrario, sono già salve: tuttavia, prima di poter essere accolte in Paradiso, dovranno espiare i propri peccati risalendo il monte, esattamente come – ai tempi di Dante – facevano i pellegrini, che partivano per Roma o per Santiago di Compostela per fare penitenza. Pertanto, ogni spirito qui presente dovrà percorrere l’intero cammino e purificarsi in ogni cornice del peccato corrispondente. Tuttavia, per questioni narrative, in modo tale da facilitare l’incontro con determinati personaggi, il poeta fiorentino li colloca ognuno nella cornice relativa al loro peccato più rilevante. La Cantica, ad ogni modo, svolge le specifiche funzioni di espiazione, riflessione e pentimento: infatti, è soltanto attraverso il cammino, inteso come un vero e proprio pellegrinaggio verso Dio, che l’anima può aspirare alla redenzione. Tale percorso spirituale è in un certo senso valido per lo stesso Dante, che all’inizio ha incise sulla propria fronte sette P, emblema dei sette peccati capitali. Alla fine di ciascuna cornice, invece, l’ala dell’angelo guardiano ne cancella una, indicando così che quella specifica espiazione è stata compiuta. Nel canto XVII del Purgatorio Virgilio spiega, poi, l’ordinamento morale del secondo regno ultraterreno: anche qui, esattamente com’era stato descritto nell’Inferno, i peccatori sono stati divisi in tre grandi categorie, a seconda che la loro colpa dipendesse dal ‘malo obietto’ (cioè scelte rivolte al male, come la superbia, l’invidia e l’ira), dal ‘poco di vigore’ nel perseguire il bene (come l’accidia) o dal ‘troppo di vigore’ nel cercare di raggiungere i beni materiali (come l’avarizia e la prodigalità, la gola e la lussuria). Infine, sulla cima della montagna del Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre: la sua amena selva, che lo ricopre completamente, si trova in una posizione simmetrica rispetto a quella oscura che con cui era iniziata la prima Cantica. Una volta qui, il ciclo di purificazione si completa del tutto mediante l’immersione prima nel fiume Letè, le cui acque annullano totalmente persino le lontane reminiscenze delle colpe, e poi nell’Eunoè, dove viene vivificato il ricordo del bene compiuto durante l’esistenza terrena.