Canto XX del Purgatorio di Dante: riassunto e analisi
Il canto ventesimo del Purgatorio è uno dei passaggi più intensi e significativi della seconda cantica dantesca, in quanto unisce profondamente la dimensione teologica e morale con quella storica e politica. Siamo nella quinta cornice del monte del Purgatorio, dove espiano la loro colpa le anime degli avari e dei prodighi, e Dante, con il consueto rigore poetico e filosofico, intreccia il tema della punizione per l’amore disordinato del denaro con una potente denuncia dell’ingiustizia e della corruzione che affligge i regni terreni.
In questo canto la figura-guida è quella dell’anima di Ugo Capeto, fondatore della dinastia reale francese, che rappresenta simbolicamente la degenerazione del potere temporale, ormai subordinato non più a ideali di giustizia e servizio, ma a brama di ricchezza, dominio e sangue.
- Le anime degli avari: punizione e simbolismo
- Ugo Capeto e la denuncia della cupidigia politica
- La funzione della memoria e del giudizio morale
- Il terremoto e il segno divino
Le anime degli avari: punizione e simbolismo
La cornice degli avari è rappresentata come uno spazio cupo e oppressivo. Le anime sono distese a terra, rivolte prono, con le mani e il volto premuti contro la roccia. Questo contrappasso richiama in modo chiaro la natura della loro colpa: in vita hanno amato troppo i beni materiali, hanno cercato il possesso terreno, e ora sono costretti a guardare verso il basso, simbolo della loro inclinazione spirituale.
Il loro sguardo è rivolto alla terra, proprio come lo era durante la vita, ma ora quella terra non è più oggetto di desiderio, bensì limite e prigione. La posizione statica e umiliante delle anime è accompagnata da un mormorio corale, una preghiera che le accomuna in un sentimento di redenzione e speranza, e che crea un’atmosfera solenne e carica di sacralità. È importante notare come, nel Purgatorio, le anime accettino la propria pena con rassegnazione e consapevolezza: non c’è ribellione, ma desiderio di purificazione. Questo canto in particolare sottolinea con forza la tensione tra la colpa e la possibilità di riscatto, tra la bassezza dell’attaccamento al denaro e l’elevazione spirituale attraverso il pentimento.
Ugo Capeto e la denuncia della cupidigia politica
La figura centrale del canto è Ugo Capeto, re francese vissuto nel X secolo e considerato da Dante il capostipite di una stirpe regale che ha progressivamente abbandonato ogni ideale di giustizia per inseguire la ricchezza e il potere. Il discorso di Ugo si sviluppa in un tono grave, severo, carico di indignazione. L’anima non si limita a raccontare la propria vita, ma denuncia con forza le nefandezze compiute dai suoi discendenti: assassinii, tradimenti, usurpazioni e soprusi perpetrati per interesse economico.
È una vera e propria invettiva storica, che parte dal vissuto personale per giungere a un’accusa globale contro la corruzione delle monarchie e la deriva morale della politica europea. Dante, attraverso le parole di Ugo, mostra come l’avidità abbia distrutto il senso del potere come servizio, e come i re abbiano tradito la loro missione trasformando il trono in un mezzo per il dominio e non per la giustizia. L’elenco delle vittime, tra cui Bonifacio VIII e Tommaso d’Aquino, sottolinea la pervasività del male derivante dalla cupidigia. Il giudizio è netto: l’amore smodato per la ricchezza è diventato il motore delle azioni umane e ha infettato anche le più alte istituzioni.
La funzione della memoria e del giudizio morale
Uno degli elementi che caratterizzano il canto ventesimo del Purgatorio è l’uso della memoria come strumento di giustizia. Le anime purganti ricordano e raccontano gli eventi della storia non solo per denunciare le colpe, ma per costruire una memoria collettiva orientata al bene. La denuncia non è fine a sé stessa, non si tratta di vendetta, ma di una chiamata alla responsabilità: riconoscere il male compiuto è il primo passo per liberarsene.
L’invocazione alla giustizia divina che chiude il discorso di Ugo Capeto è un grido potente e drammatico: “Quando verrà colui per cui si piange…?”. In questo verso è contenuta tutta l’attesa di un rinnovamento, di una restaurazione dell’ordine morale, di un ritorno alla verità. L’anima non invoca vendetta, ma verità e redenzione, dimostrando come nel Purgatorio la sofferenza non sia mai sterile, ma abbia sempre una direzione positiva, orientata alla luce.
Il terremoto e il segno divino
Alla fine del canto, subito dopo la preghiera corale delle anime, si verifica un terremoto accompagnato da un grido celeste, segno che una delle anime ha terminato il suo periodo di espiazione ed è pronta per salire al Paradiso. Questo evento ha una doppia valenza. Da un lato, rappresenta concretamente la gioia del cielo che si manifesta sulla terra: il cosmo reagisce al riscatto dell’anima, la natura partecipa alla redenzione.
Dall’altro lato, il terremoto è un segno teofanico, cioè una manifestazione della presenza divina, che spezza la staticità del momento e indica il potere sovrano di Dio sul tempo e sulla storia. L’aspetto liturgico del canto, sottolineato dalla coralità delle voci e dalla sacralità dei gesti, culmina in questo episodio che chiude il canto con una nota di speranza e di elevazione. Il passaggio dall’ombra alla luce, dal basso verso l’alto, dall’accusa alla salvezza è la dinamica profonda che anima tutto il canto.