Salta al contenuto

L’età giolittiana: riassunto e caratteristiche importanti

Andrea Bosio

Andrea Bosio

INSEGNANTE DI FILOSOFIA E STORIA

Nato a Genova, è cresciuto a Savona. Si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Genova, occupandosi di storia della comunicazione scientifica e di storia della Chiesa. È dottorando presso la Facoltà valdese di teologia. Per Effatà editrice, ha pubblicato il volume Giovani Minzoni terra incognita.

L’età Giolittiana, un periodo fondamentale nella storia italiana, si estende all’incirca dal 1901 al 1914, con il politico Giovanni Giolitti che emerge come figura dominante nella politica italiana. Questa era è notevolmente significativa per i profondi cambiamenti sociali, economici e politici che ha portato in Italia, segnando un passaggio dall’Italia post-unitaria a una nazione più moderna e industrializzata.

Durante l’età Giolittiana, l’Italia conobbe una significativa trasformazione industriale, soprattutto nel nord del paese. Questo periodo vide un marcato aumento della produzione industriale, spinto in gran parte dall’espansione delle industrie siderurgiche, tessili e meccaniche. Tale crescita industriale portò a un aumento dell’urbanizzazione, con le persone che si spostavano dalle aree rurali alle città in cerca di lavoro, modificando così la struttura sociale e demografica del paese.

Giolitti, in qualità di Primo Ministro, adottò una politica di compromesso e mediazione tra le varie forze sociali e politiche. Una delle sue strategie principali fu quella di cercare un equilibrio tra i diversi interessi delle classi emergenti, inclusi gli industriali e la classe operaia. Ciò portò all’introduzione di importanti riforme sociali, come l’introduzione di leggi sul lavoro che includevano la regolamentazione delle ore di lavoro, le assicurazioni per infortuni e una forma primordiale di assistenza sociale.

Sul fronte politico, l’era Giolittiana è nota per la sua politica di “trasformismo", un approccio che mirava a creare una vasta coalizione di supporto, spesso attraverso l’uso di compromessi e alleanze politiche flessibili. Questo approccio si rivelò efficace nel mantenere la stabilità politica, ma fu anche criticato per aver promosso il clientelismo e l’inefficienza.

Vediamone le caratteristiche più in profondità.

La politica interna di Giolitti

È proprio a motivo delle decisioni adottate in campo di politica interna che i giudizi riguardanti l’operato di Giolitti risultano così contrastanti. Le sue azioni si riassumono attraverso l’espressione politica del doppio volto, che ben esemplifica i diversi atteggiamenti adottati da Giolitti nei confronti del Nord e del Sud Italia.

Molti studiosi della storia contemporanea escludono un’ipotetica avversione di Giolitti verso il meridione e interpretano le sue azioni come un atteggiamento di convenienza: se al Nord il ministro temeva che i socialisti mettessero in atto la rivoluzione, rovesciando il governo; al Sud i contadini, masse semi ignoranti pilotate dai baroni, non rappresentavano un reale pericolo. Se, dunque, al Nord dava ampio ascolto alle proteste operaie, al Sud le reprimeva.

Il termine “pendolarismo giolittiano" descrive al meglio il continuo passaggio da alleanze con fazioni di sinistra ad alleanze con partiti di destra a seconda della circostanza. In qualità di ministro, Giolitti stringe accordi con i socialisti riformisti rappresentati da Filippo Turati e con i cattolici, mostrandosi prima sensibile alle condizioni lavorative degli operai, poi interessato a richiamare i cattolici al voto. Entrambe le alleanze rispondono alla necessità di raggiungere la maggioranza parlamentare.

La politica del doppio volto di Giolitti

La politica di Giovanni Giolitti, spesso caratterizzata come una “politica del doppio", mostrava significative differenze nella gestione delle regioni del nord e del sud dell’Italia. Questa dualità rifletteva le disparità socioeconomiche e culturali tra queste due aree e la necessità di adottare approcci diversificati per affrontarle.

Nel nord, più industrializzato e economicamente avanzato, Giolitti si concentrò sullo sviluppo industriale e sull’ammodernamento economico. Supportò le industrie emergenti, promuovendo investimenti e innovazioni tecnologiche. La sua politica in questa regione era orientata verso la creazione di un ambiente favorevole per gli industriali e gli imprenditori, elementi chiave per la crescita economica. Inoltre, per placare la crescente forza lavoratrice e prevenire disordini sociali, introdusse riforme sociali progressiste, come la regolamentazione delle ore di lavoro e le assicurazioni per gli infortuni sul lavoro. Questo approccio di conciliazione e cooperazione tra le classi lavoratrici e gli industriali mirava a stabilire un equilibrio sociale e a promuovere la pace interna.

Al contrario, nel sud, meno sviluppato e prevalentemente agrario, la strategia di Giolitti era molto diversa. La sua politica in questa regione era principalmente rivolta a mantenere l’ordine e a controllare le tensioni sociali. Il sud soffriva di problemi come la povertà, il banditismo e il fenomeno della “mafia", che richiedevano un approccio più severo e diretto. Giolitti cercò di stabilizzare quest’area attraverso una combinazione di forza e concessioni. Da un lato, usò la forza militare e poliziesca per reprimere il crimine e il disordine; dall’altro, cercò di guadagnare il sostegno della popolazione locale attraverso la politica del clientelismo, distribuendo favori e posizioni pubbliche in cambio di supporto politico. Questa politica, sebbene efficace nel mantenere un controllo superficiale, non affrontò le radici profonde dei problemi sociali ed economici del sud.

Le riforme sociali di Giolitti

In carica come ministro del Consiglio italiano dal 1901 al 1914, Giolitti vara un vasto programma di riforme sociali ed economiche, adottando un atteggiamento liberale. Secondo la sua visione politica, lo Stato deve restare neutrale nei conflitti tra datori di lavoro e operai, se non per motivi di ordine pubblico.

Questa neutralità tuttavia non si traduce in indifferenza nei confronti dei lavoratori: Giolitti si batte per un miglioramento delle loro condizioni lavorative (diminuzione del monte ore, aumento dei salari e varo di provvedimenti volti a tutelare la maternità delle lavoratrici). A suo modo di vedere da un migliore trattamento della classe operaia derivano benefici per gli stessi industriali e l’intera economia.

Riporta a compiti e proprietà dello Stato questioni che erano state esternalizzate: attua un processo di statalizzazione delle ferrovie e sottrae alle poco solide finanze dei Comuni la responsabilità dell’istruzione primaria, abbattendo significativamente l’analfabetismo diffondendo le scuole nelle zone rurali.

Nel 1912, attraverso una nuova riforma, estende il diritto di voto alla totalità dei maschi adulti.

La politica estera di Giolitti

In ambito di politica estera, Giolitti riesce a creare le condizioni per vincere la prima guerra coloniale italiana, attraverso la conquista della Libia, nel 1912.

In questo modo lancia un importante messaggio: vuole elevare l’italia a impero coloniale.

L’opinione pubblica resta tuttavia molto delusa da questa scelta: la conquista del territorio libico, definito uno “scatolone di sabbia" non giustifica le perdite umane ed economiche subite.

Mappa mentale dell’età giolittiana

L’inserimento di Giolitti ai vertici della politica italiana avviene in un periodo florido per l’intero contesto europeo conosciuto come la belle époque, età di successi, scoperte e nuove invenzioni che va dalla fine dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale. Questo periodo rappresenta una rinascita successiva alla Grande Depressione del 1873, caratterizzato da una generalizzata crescita economica e demografica dell’intera Europa. Tuttavia anche in un periodo così rigoglioso, teatro delle nuove Avanguardie, contraddistinto da un comune senso di fiducia nell’avvenire, riconosciamo la nascita dei primi germi della futura crisi: nazionalismo e razzismo.

L’idea di nazione in senso reazionario e militaresco sarà infatti alla base del primo conflitto mondiale, e il senso di superiorità razziale ritornerà a gran voce nel secondo.

Giovanni Giolitti apprende molto dall’operato dei governi autoritari che lo precedono: osservandoli comprende come la loro insensibilità nei riguardi delle insurrezioni popolari e delle richieste dei lavoratori abbia giocato a loro sfavore. Per questo motivo, chiamato al governo dal re Vittorio Emanuele III, si distingue subito per le sue aperture liberali.

Nella mappa trovi le scelte politiche ed economiche adottate da Giolitti nelle vesti di ministro del Consiglio italiano.

Per stampare la mappa con le informazioni principali sulla politica interna ed estera dell’età giolittiana, scarica il pdf in bianco e nero qui:

Scarica PDF