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Rosa Parks, chi era e cosa ha fatto l'attivista statunitense

La donna che sfidò la segregazione rifiutandosi di scendere da un autobus, ha lottato per i diritti civili per tutta la vita prendendo parte ai movimenti e alle lotte dei suoi tempi

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Rosa Louise McCauley Parks è stata un’attivista americana, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, e la sua coraggiosa resistenza su un autobus di Montgomery nel dicembre 1955 è diventata una leggenda americana. Soprannominata Mother of the Civil Rights Movement, proprio per il carattere iconico del suo gesto e del suo personaggio, ha lasciato in eredità un’autobiografia struggente e un esempio fonte di ispirazione per film e documentari sulla sua storia e le sue battaglie. Cresciuta in una famiglia che sosteneva il panafricanista Marcus Garvey, aveva iniziato la sua vita politica adulta insieme al marito attivista, Raymond, entrando a far parte dell’Associazione nazionale per il progresso delle persone di colore (Naacp) di Montgomery, lavorando affinché la città intraprendesse un’azione più determinata e di massa contro le leggi Jim Crow.

Calpestare la corda tesa di Jim Crow dalla nascita alla morte… occorre un’anima nobile per tenere questa condotta. C’è sempre una linea di qualche tipo: una linea di colore che pende sul filo del rasoio. A me sembra che siamo marionette tenute da un filo nelle mani dell’uomo bianco. Dicono che dobbiamo essere separati da loro dalla linea del colore, eppure tirano i fili e noi ci esibiamo in modo soddisfacente o subiamo le conseguenze se usciamo dalla parte”. (Rosa Parks)

Ha abbracciato sia l’azione diretta non violenta che il diritto morale all’autodifesa, citando Malcolm X come suo eroe personale.

Militante nata

Nata nel 1913 a Tuskegee, in Alabama, Rosa Parks inizia la sua militanza già tra le mura di casa. All’età di sei anni, quando la violenza razzista esplode contro i soldati neri di ritorno dalla Prima guerra mondiale, resta sveglia con suo nonno per difendere con il fucile la loro casa dagli attacchi del Ku Klux Klan. Non ancora adolescente, quando un bullo bianco prova a intimidire lei e suo fratello minore Sylvester, raccoglie un mattone e lo minaccia, costringendolo a fare marcia indietro. Quando però racconta l’accaduto alla nonna, viene rimproverata, perché continuando con questo tipo di comportamento sarebbe stata linciata prima di diventare adulta. Sentendosi tradita, la piccola Rosa risponde: “Preferirei essere linciata piuttosto che vivere per essere maltrattata, piuttosto che non poter dire: ‘Non mi piace’”.

A diciotto anni, un amico la presenta a un giovane barbiere politicamente attivo, Raymond Parks, che le apre un nuovo mondo di lotta collettiva e che sposa, insieme alle sue idee. Nel 1943 si unisce al Montgomery Naacp e contribuisce a trasformarlo in una fazione più attiva. Mette in piedi campagne di registrazione di massa degli elettori, combatte le ingiustizie nel sistema legale penale e si organizza per la desegregazione scolastica e degli autobus. Assetata di giustizia per le vittime di linciaggi, stupri e aggressioni da parte dei bianchi, viaggia in lungo e in largo per l’Alabama documentando questi abusi.

“I bianchi ti accusavano di causare problemi quando tutto ciò che stavi facendo era comportarti come un normale essere umano invece di restare paralizzata”.

Il “no” che fatto la storia

Nella Montgomery dell’epoca delle leggi Jim Crow, l’autobus è uno dei simboli più evidenti e odiosi della segregazione razziale vigente negli Stati Uniti. Le norme cittadine obbligano le persone nere a cedere il proprio posto ai bianchi nel settore comune, quando nel settore riservato ai bianchi non vi sono posti disponibili. Rifiutarsi è difficile se non impossibile, ci hanno provato già provato tre donne e non è finita affatto bene: Viola White è stata picchiata e arrestata ed è morta quando il suo caso era ancora in appello, Hilliard Brooks viene addirittura uccisa dalla polizia, e la quindicenne Claudette Colvin viene falsamente accusata di aver aggredito un agente. Anche Rosa Parks, che era vicina della Brooks e che ha raccolto i fondi per far scarcerare la giovane Colvin, ha violato la legge dell’autobus in più di un’occasione ed è stata costretta a scendere, ma il 1° dicembre del 1955, quando sale sul pullman condotto dall’ex militare James F. Blake per tornare a casa dopo il lavoro, ha già deciso che stavolta “no”, non gliela darà vinta. Rosa paga il biglietto e si siede nella zona mista, dove avrebbe l’obbligo di cedere il posto a un bianco in caso di necessità. L’occasione si presenta dopo poche fermate: l’uomo bianco che sale non trova posto a sedere e attende che la donna nera davanti a lui glielo ceda, passano tre fermate e la donna non accenna a muoversi, così l’autista Blake blocca il mezzo e interviene in prima persona, chiedendole perentoriamente di alzarsi. “No”. E’ la risposta secca e sicura di Rosa Parks. Arriva la polizia, che la trae in arresto per aver violato la legge cittadina, ma quel semplice “no” è già storia.

“Alcune persone dicono che ero stanca… Di un’unica cosa ero stanca: ero stanca di arrendermi”

Il boicottaggio di Montgomery

Rosa Parks non resta molto tempo dietro le sbarre, subito liberata da Clifford Durr, avvocato bianco e antirazzista, attento ai diritti civili della comunità afroamericana, che paga la cauzione e le restituisce la libertà. Intanto però la comunità nera di Montgomery è in subbuglio, vengono stampati migliaia di volantini che danno notizia dell’arresto di un’altra donna e organizzato il boicottaggio dei mezzi pubblici fino al ritiro della legge segregante. Andrà avanti con successo per 381 giorni consecutivi grazie al sostegno non solo della popolazione afroamericana ma anche dall’opinione pubblica. Lo stesso Martin Luther King scrive dell’episodio, descrivendolo come “l’espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà” e definendo Rosa come un simbolo “della sconfinata aspirazione delle generazioni future”.

Il caso di Rosa arriva alla Corte Suprema, che decreta incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus dell’Alabama. La sua storia è sulla bocca di tutti, ma non tutti ne sono felici: lei e il marito vengono licenziati e perseguitati da continue minacce di morte. Costretti a lasciare Montgomery, si spostano in Michigan per iniziare una nuova vita a Detroit, dove Rosa Parks continua il suo impegno all’interno del movimento per i diritti civili fino al giorno della sua scomparsa nel 2005.

“La lotta continua… Non arrendetevi e non dite mai che il movimento è morto”.