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Mahatma Gandhi: biografia e pensiero dell'attivista indiano

La storia sorprendente e il percorso del leader del movimento indipendentista dell’India, che ha cambiato il mondo attraverso la forza della verità e della non-violenza

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo

«Mahatma», è detto oggi facendo ricorso a un termine sanscrito: Grande Anima. E se è esistito al mondo un uomo che abbia meritato l’appellativo di Santo e Venerabile, senza alcun dubbio questi è Mohāndās Karamchand Gāndhī.

Lo si ricorda come pioniere – oltre che teorico – del Satygraha (da Satya, verità, e Ahimsa, non violenza o anche amore): la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile. La sua azione porterà l’India all’indipendenza e ispirerà personalità come Martin Luther King e Nelson Mandela.

Riconosciuto come Padre della Nazione Indiana, il giorno della sua nascita è stato dichiarato Giornata internazionale della non violenza dallAssemblea generale delle Nazioni Unite.

Un pessimo avvocato

Mohandas Karamchand Gandhi nasce a Porbandar, capoluogo del principato di Kathiawar, nell’allora Raj britannico, oggi parte dello Stato indiano del Gujarat, il 2 ottobre 1869.
La sua è una famiglia benestante appartenente alla casta dei Banani: composta da mercanti, commercianti, banchieri. Il suo stesso cognome, Gandhi, significa “droghiere”, nonostante suo padre e suo nonno fossero impegnati in politica. Il padre, Karamchand Uttamchand Gandhi, è diwan, primo ministro, mentre la madre, Putlibai, proviene comunque da una ricca famiglia.

Nei primi anni di scuola, Gandhi si dimostra uno studente medio. Di carattere timido, non spicca né per doti intellettuali particolari né per una propensione alle attività fisiche. Legge moltissimo, però, costruendosi una cultura ampia, profonda, critica.

All’età di 13 anni – come da tradizione indù – sposa, con un matrimonio combinato, Kastürbā (detta Ba), figlia del ricco uomo d’affari Gokuladas Makharji a cui insegna a leggere e scrivere. Il gesto è già di per sé rivoluzionario, in un tempo in cui l’alfabetizzazione femminile non è considerata affatto una priorità.

Gandhi in seguito condannerà più volte “la crudele usanza dei matrimoni infantili”, anche se la vicinanza con Ba lo sosterrà lungo tutto l’arco della vita e della sua azione politica.

Raggiunta la maggiore età, nel 1888, parte per l’Inghilterra per intraprendere gli studi in Legge mentre la moglie resta in India con il loro primo figlio.

Considerando l’impossibilità di rispettare i precetti induisti in terra britannica, la sua casta si oppone alla partenza. Gandhi decide di andare in ogni caso e, per questo, viene dichiarato «paria», ovvero «fuori casta» dai vertici della sua stessa comunità.

Al suo ritorno, la situazione non è delle più facili. Bandito, non è semplice trovare un lavoro ben retribuito. Inoltre conosce poco le leggi indiane e la sua timidezza non lo aiuta. Secondo le cronache, durante il suo primo processo sviene sulla sedia per l’ansia ed è costretto a rimborsare la parcella al cliente.

La svolta sudafricana e la scelta monastica

A ventiquattro anni, riceve un’offerta di lavoro per seguire un processo civile in Sudafrica, dove la comunità indiana è radicata e numerosa.

Lì, entra in contatto con il fenomeno dell’apartheid e con il pregiudizio razziale che colpisce i suoi 150.000 connazionali.

È lo stesso Gandhi a raccontare come alcune «esperienze di verità» abbiano segnato un momento fondamentale nella sua maturazione interiore.

Un giorno, in un tribunale di Durban, il magistrato gli chiede di togliere il turbante. Rifiutatosi di obbedire, viene espulso dal tribunale.
Stessa sorte in un treno di Pietermaritzburg: non avendo accettato di passare dal vagone di prima classe a quello di terza classe, dato che possedeva un biglietto valido per la prima, viene fatto scendere con la forza.
Salito su una diligenza, il responsabile del mezzo prima gli vieta di viaggiare all’interno con gli altri passeggeri europei, quindi lo picchia perché si rifiuta di spostarsi sul predellino.

Questi e altri episodi convincono Gandhi ad assumersi parte attiva nella lotta contro i soprusi a cui sono sottoposti i cittadini indiani nel Natal. Scrive numerose lettere alla stampa, indice a Pretoria una riunione a cui partecipa una marea di suoi connazionali, pronunciando il suo primo discorso pubblico: non è più il timido ragazzo che sveniva sulla sedia.

In Sudafrica fonda un partito, il Natal Indian Congress, di cui diviene Segretario e contribuisce a fondare il giornale Indian opinion.

Acquista 100 acri (circa 50 ettari) a Phoenix, presso Durban, dove stampare il giornale e risiedere con famiglia e collaboratori. Qui, tutti i membri della comunità – compresi i redattori di Indian opinion – partecipano ai lavori agricoli e sono retribuiti con lo stesso salario.

La fattoria di Phoenix è il primo modello di Ashram (che potremmo trasdurre come «comunità spirituale») in cui si pratica, in un regime di vita monastico, la povertà volontaria, il lavoro manuale e la preghiera.

Nel 1906 Gandhi fa voto di castità (Brahmacharya) per affrancarsi dai piaceri della carne, elevare lo spirito e liberare energie per le attività umanitarie. Pratica il digiuno e smette di consumare latte.

La pratica di bere latte, infatti, era stata fino a quel momento molto importante per lui. Racconta Yogi Bhajan come utilizzasse quello di capra come “antidoto” ai suoi problemi di ipertensione: «Qualsiasi cosa Gandhi volesse mangiare, la metteva davanti alla sua capra. Poi la capra veniva munta due volte al giorno; lui viveva di questo latte».
Rinuncia a tale pratica, dunque, si taglia da solo i capelli, pulisce le latrine. Si dedica alle attività e allo stile di vita a cui erano costretti i Paria, la casta degli oppressi. Invita moglie e amici a vivere secondo gli stessi principi.

Finalmente in India

Nel 1915 Gandhi fa ritorno in patria da leader politico. In breve tempo si trova a capo del movimento per l’indipendenza, supportato dal Congresso nazionale indiano, il partito protagonista della lotta per l’indipendenza.
Si trova innanzi ad un paese sotto il dominio britannico, con 300 milioni di indù e 100 milioni di musulmani.

Nel primo dopoguerra, la sua incidenza nel percorso indipendentista indiano assume forme più attive, “operative”.

Nel 1919, uno sciopero ad Amristar paralizza completamente il paese e si trasforma in un bagno di sangue.

Per Gandhi arriva la prima condanna e il primo arresto, a seguito del quale ottiene la grazia nel 1924.

Nel 1930 percorre a piedi per protesta 400 chilometri che lo separano dal mare, nella famosa «Marcia del sale», che trae origine dall’ingiusta legge di monopolio sul sale.

Celebre il suo discorso pronunciato in tale occasione. Ecco alcuni passaggi:
«…è necessario che non si manifesti neppure una parvenza di violenza anche dopo che noi saremo arrestati. Noi abbiamo fermamente deciso di far ricorso a tutte le nostre risorse per portare avanti una lotta esclusivamente non-violenta. Nessuno deve consentire che lira lo faccia deviare da questa via. Questa è la mia speranza e la mia preghiera. Vorrei che queste mie parole raggiungessero ogni angolo del paese. Se io e i miei compagni periremo nella lotta, avremo portato a termine il nostro compito».

E ancora:

«Attenderò con ansia la notizia che per ognuno dei miei compagni arrestati dieci nuovi volontari hanno preso il loro posto. Io credo fermamente che in India vi siano uomini in grado di portare a termine lopera che oggi io inizio. Ho fede nella giustezza della nostra causa e nella purezza dei nostri mezzi. E quando i mezzi sono puri, non può mancare la benedizione di Dio. E quando si uniscono questi tre elementi, la sconfitta è impossibile. Un satyagrahi, sia esso libero o imprigionato, riesce sempre vittorioso. Egli viene vinto soltanto quando abbandona la verità e la non-violenza e cessa di dare ascolto alla voce interiore. La causa della sconfitta di un satyagrahi, dunque, può risiedere soltanto nel satyagrahi stesso».

Questa manifestazione seguita anche dai media ha una vasta eco internazionale. Così scrive un giornalista presente: “Non uno solo dei manifestanti alzò un braccio per ripararsi dai colpi. Cadevano come birilli. I superstiti, senza rompere le righe, continuavano a marciare silenziosi e ostinati, finché non cadevano a loro volta sotto i colpi“.

Le immagini giunte in tutto il mondo fanno sì che l’anno successivo Gandhi sia convocato a Londra per discutere sulle sorti dell’India. I tempi però non sono ancora maturi: deve avvenire ancora un secondo conflitto mondiale, così come numerose battaglie civili prima che il 15 giugno 1947 l’India possa proclamare la propria indipendenza.

Ad assumere il ruolo di capo del governo della nuova India indipendente sarà Nehru, discepolo di Gandhi.

La reazione violenta dei violenti: l’attentato

Il 30 gennaio 1948 Gandhi viene ucciso, vittima di un attentato da parte di un fanatico indù, Nathuram Vinayak Godse, con tre colpi di pistola.
Si trova presso la Birla House, a Nuova Delhi, e si sta recando nel giardino per la consueta preghiera ecumenica delle ore 17:00, accompagnato dalle due pronipoti Abha e Manu.

Godse ritiene Gandhi responsabile di cedimenti al nuovo governo del Pakistan e alle fazioni musulmane.

L’attentatore viene condannato a morte, malgrado l’opposizione ferma dei sostenitori di Gandhi.

Gandhi non ha ricevuto il nobel per la Pace, sebbene sia stato nominato ben cinque volte tra il 1937 e il 1948.

Ma quando, nel 1988, viene premiato il Dalai Lama, il presidente del comitato afferma come il premio sia «in parte, un tributo alla memoria de, Mahatma Gandhi».

L’eredità di Gandhi

L’eredità morale di Gandhi – oltre a quanto costruito concretamente con la sua azione nel mondo – è inestimabile.

La si può provare – colpevolmente – a riassumere nei grandi temi della sua riflessione e vita, così come nelle parole che ancora illuminano la mente e il cuore di generazioni in tutto il mondo.
Ci permettiamo, qui, di segnalare alcune frasi potenti e preziose, da cui può discendere una riflessione interiore per ognuno di noi:

«Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre»;

«Non permetterò a nessuno di passeggiare nella mia mente coi piedi sporchi»

«La vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini»;

«Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo»;

«Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi»;

«Noi dovremmo essere capaci di rifiutarci di vivere se il prezzo del nostro vivere fosse la tortura di esseri senzienti»;

«Chiunque abbia qualcosa che non usa, è un ladro».