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La Venere di Botticelli: descrizione dell’Opera

Simbolo del Rinascimento italiano, è uno dei dipinti più conosciuti al mondo. Rappresentazione pura e spirituale dell’ideale di bellezza femminile

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

La Venere di Botticelli è molto più che una delle opere più celebri del pittore toscano, assurta a icona del Rinascimento italiano e simbolo della stessa Firenze e della sua centralità nella storia dell’arte, rappresenta da sempre un ideale universale di bellezza femminile e la forza motrice dell’Amore. Realizzato a tempera su tela di lino, il famoso dipinto, in realtà, si chiama La nascita di Venere, ma contrariamente al suo titolo raffigura l’approdo della dea sull’isola di Cipro.

Il capolavoro botticelliano è conservato nella Galleria degli Uffizi e viene spesso associato per provenienza storica, formato e alcuni riferimenti filosofici all’altro grande lavoro pittorico del maestro fiorentino, l’altrettanto celebre Primavera.

“Per la città in diverse case fece tondi di sua mano e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora a Castello, villa del duca Cosimo, sono due quadri figurati: l’uno Venere che nasce, e quelle aure e venti, che la fanno venire in terra con gli amori, e così un’altra Venere che le grazie la fioriscono, dinotando la Primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse” (Giorgio Vasari)

La storia dell’opera

Per molto tempo la nascita dell’opera fu associata a quella della Primavera, ma in realtà i due capolavori, seppur realizzati entrambi verso la fine del 1400, sarebbero lontani di alcuni anni. La Primavera sarebbe infatti da datare negli anni ’70, mentre la Nascita di Venere negli anni ’80 del XV Secolo, quando il Botticelli fece ritorno da Roma, dove si era recato per lavorare sulla Cappella Sistina: lo suggeriscono innanzitutto i differenti supporti, la Primavera su legno, la Venere su tela, e poi il differente uso della prospettiva, che fu quasi abbandonata dall’autore negli anni della sua maturità artistica. Quel che è certo è che il Botticelli fosse legato all’ambiente mediceo fin dagli anni della sua formazione e che il committente della Venere, come della Primavera, fu Lorenzino il popolano, cugino di secondo grado dell’omonimo e più popolare Lorenzo Il Magnifico, maggiore di lui di 14 anni e che lo prese sotto la propria ala protettrice dopo la prematura scomparsa dei genitori. A dispetto del soprannome, Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici era tutt’altro che un “popolano sempliciotto”, avendo ricevuto una perfetta educazione umanistica che ne aveva ispirato l’amore per le lettere, la musica, l’arte e gli studi classici. I suoi gusti raffinati lo porteranno a commissionare all’amico artista Sandro le due Venere, quella che nasce e quella “che dinota Primavera”.

Le fonti di ispirazione

Le influenze culturali diffuse a Firenze presso la corte di Lorenzo Il Magnifico, seguace convinto della filosofia neoplatonica, furono il brodo primordiale nel quale crebbe il Botticelli, che ebbe modo di venire a contatto con il filosofo Marsilio Ficino e con il poeta Angelo Poliziano, le cui “Stanze per la giostra” saranno l’evidente fonte alla quale si abbevererà la fantasia dell’artista. Il poema, rimasto incompiuto e scritto in lingua volgare, doveva celebrare la vittoria di Giuliano de’ Medici in un torneo di giostra: il protagonista è lo stesso nobiluomo, chiamato a causa di Amore ad affrontare una serie di ardue prove; nella prima parte dell’opera, Poliziano si sofferma a descrivere gli splendori del palazzo di Afrodite a Cipro e con minuzia alcuni dei bassorilievi che descrivono la nascita della dea.

“Nel tempestoso Egeo in grembo a Teti si vede il fusto genitale accolto sotto diverso volger di pianeti errar per l’onda in bianca schiuma avvolto; e dentro nata in atti vaghi e lieti una donzella non con uman volto, da zefiri lascivi spinta a proda gir sopra un nicchio, e par ch’el ciel ne goda. Vera la schiuma e vero il mar diresti, e vero il nicchio e ver soffiar di venti: la dea negli occhi folgorar vedresti, e ‘l ciel ridergli attorno e gli elementi: l’Ore premer l’arena in bianche vesti; l’Aura incresparle ‘e crin distesi e lenti: non una non diversa esser lor faccia, come par che a sorelle ben confaccia. Giurar potresti che dall’onde uscisse la dea premendo con la destra il crino, con l’altra il dolce pomo ricoprisse; e stampata dal piè sacro e divino, d’erbe e di fior la rena si vestisse […]”.

L’opera del Poliziano, ispirata a sua volta alle Metamorfosi di Ovidio, alla Teogonia di Esiodo e al De rerum natura di Lucrezio, si richiama in questo passaggio a un inno omerico dedicato a Venere, componimento reputato fondamentale nella genesi dell’opera.

“La veneranda, la bella dall’aureo serto, Afrodite io canterò, che tutte le cime di Cipro marina protegge, ove la furia di Zefiro ch’umido spira la trasportò, sui flutti del mare ch’eterno risuona, sopra la morbida spuma. L’accolser con animo lieto l’Ore dai veli d’oro […]”.

Se fu chiaramente il Neoplatonismo ad influenzare l’iconografia della Nascita di Venere, la preziosa collezione di disegni e statue antiche ospitata nelle stanze e nei giardini di Palazzo dei Medici, tra cui spicca l’Afrodite Cnidia di Prassitele raffigurante il suo ideale di umanizzazione del divino, diede modo al Botticelli di approfondire gli studi sui modelli classici, cui il nudo della sua Venere rimanda in maniera palese.

La musa ispiratrice

Per ritrarre il volto della Venere, Sandro Botticelli si sarebbe ispirato alle fattezze di Simonetta Vespucci. La gentildonna genovese, che morirà giovanissima, a soli 23 anni, era ben nota negli ambienti fiorentini frequentati da poeti e artisti, che ne decantavano e l’intelligenza e la “bellezza senza paragoni”. Adusa a frequentare la corte dei Medici, si dice fosse l’amante di Giuliano, fratello di Lorenzo Il Magnifico, e che lo stesso Botticelli non fosse indifferente al suo fascino, tanto da riproporla come soggetto in altri dipinti. Pare che anche il paesaggio in cui ambientò la Nascita di Venere richiamasse quello del Golfo dei Poeti, in Liguria, dove il pittore incontrò per la prima volta quella che divenne la musa ispiratrice del suo capolavoro.

Descrizione della Venere di Botticelli

Nuda e distante come una splendida statua antica, Venere avanza in tutta la sua grazia e bellezza, fluttuando leggera su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde. La sua figura è centrale rispetto al dipinto e la posa richiama quella della Venus pudica, che con le mani e i lunghi e fluenti capelli biondi si copre il seno e il pube, e di Anadiomene, nascente dall’acqua. La dea si avvicina alla costa frastagliata, sospinta dall’umido soffio di Zefiro, il vento fecondatore, stretto in un amoroso abbraccio con una figura femminile, identificata ora con sua moglie Clori, ninfa della Primavera, ora con Aura, la dolce brezza presente anche nelle Stanze del Poliziano. Ad attenderla sulla riva una fanciulla la attende per avvolgerla in un mantello rosso, decorato con primule e rametti di mirto, che si gonfia per effetto del vento: la giovane, scalza e vestita da un abito chiaro trapuntato di fiordalisi, stretto in vita da un ramo di rosa, dovrebbe rappresentare una delle Ore preposte al cambio delle stagioni, la Primavera, ma viene anche accostata alla dea Flora o a una delle Grazie. Alle spalle dell’ancella, il paesaggio è costituito da insenature e promontori e impreziosito da un boschetto di melaranci in fiore, considerati emblema della stirpe medicea per l’assonanza con il nome “mala medica”, dovuto alle loro proprietà terapeutiche. Dal cielo piovono rose, fiori che secondo il mito apparvero proprio in occasione della nascita di Venere.

Bellezza senza compromessi

Lo stile adottato da Botticelli nel dipingere l’opera è completamente al servizio del significato che l’artista vuole trasmettere. La sua missione è quella di rappresentare la bellezza e per questo le figure non vengono realizzate secondo precise proporzioni, che ne avrebbero compromesso la resa estetica.

La posizione della dea, in bilico nel punto più instabile della conchiglia, è priva di ogni possibile realismo. Così come l’intero paesaggio, con le onde del mare che si increspano regolari e irreali. Non esiste prospettiva geometrica e i personaggi, privati quasi totalmente di masse e volumi, si dispongono tutti in primo piano. La luce non ha sorgenti, non modella le figure, i cui contorni assumono un andamento ritmico, che impedisce allo spettatore di soffermarsi per contemplare l’opera nella sua interezza. Botticelli condivideva con i classici il concetto che l’arte dovesse avere il bello come unico fine, senza sottostare a compromessi che ne avrebbero allontanato l’ideale di perfezione: scelse dunque una forma di pittura contemplativa, capace di distaccarsi dall’esperienza sensoriale e di richiamarsi alle idee più che all’osservazione diretta del vero.

L’opera sarebbe dunque una rappresentazione dell’Humanitas secondo i principi della filosofia neoplatonica e proporrebbe un parallelismo tra la cultura classica, dove il mito pagano che celebra la nascita della dea dalla spuma delle onde, scorre al fianco dell’idea cristiana di rinascita attraverso il battesimo, raffigurata dalla posizione dell’ancella, che richiama quella del Battista che versa l’acqua sul capo di Gesù. Allo stesso modo, il nudo di Venere assume nel capolavoro botticelliano un carattere spirituale e non sensuale, coniugando la materia allo spirito, la natura all’idea, per celebrare la “vera bellezza”.