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Giorgio De Chirico: l'enigma dell'arte metafisica

La nascita dell’arte metafisica e la rappresentazione della realtà nell’opera di un intellettuale a tutto tondo: pittore, scultore, scrittore. Gli inizi del 1900 e il nuovo sguardo - profondo e surreale - oltre il tangibile e attraverso l’animo umano

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Cosa si prova davanti a un quadro di De Chirico

De Chirico non potrà mai apparire “neutro”, all’occhio di nessun osservatore. Impossibile avvicinarsi a una sua creazione distrattamente, senza venir risucchiati dalla necessità forte, cogente di comprendere “realmente” cosa si abbia di fronte. De Chirico colpisce, inquieta; attrae o respinge con la stessa potenza. Pur nella sua evidente geometricità, ricercata fino a spogliare le figure rappresentate da ogni orpello, non è mai freddo, seppur nudo ed essenziale.

La nascita della pittura metafisica

Metafisica – termine di ispirazione aristotelica – indica “ciò che è al di là della fisica” (τὰ μετὰ τὰ φυσικά). Per de Chirico, essa esprime l’essenza intima della realtà stessa che, in arte, viene interpretata attraverso una rappresentazione essenziale e sospesa fino a diventare atemporale.

La nascita della metafisica convenzionalmente si fa risalire al 1910, momento in cui Giorgio De Chirico realizza “L’enigma di un pomeriggio d’autunno”.

Racconta lo stesso autore:Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello, che stringe la sua opera contro il suo corpo e inclina verso terra la testa pensosa coronata d’alloro. La statua è in marmo bianco, ma il tempo gli ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l’opera che ne deriva.

Osservando la trasformazione dello spazio visivo che l’autore opera rappresentando la piazza, si colgono alcuni dei tratti salienti della sua pittura: la compressione dello spazio e l’uso quasi spasmodico della prospettiva; l’immobilità che spoglia la realtà di ogni tempo e logica; la suggestione irrazionale data dai colori netti e squillanti, dalle linee precise, geometriche, in una sorta di “pietrificazione dell’Universo” (come ebbe a dire lo stesso de Chirico).

Le influenze e i temi ricorrenti

Nasce a Volos, in Tessaglia, Giorgio; da genitori italiani nobili e benestanti. Nei primi 17 anni di vita la famiglia si divide tra Atene e la stessa Volo, dove il giovane de Chirico studia disegno, lingue (l’italiano, il tedesco, il francese) e si iscrive al Politecnico.

Nel 1906, assieme al fratello Andrea Alberto e alla madre, si trasferisce in Italia. Visita Milano, quindi si stabilisce a Firenze. Nel 1907 si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Monaco di Baviera. In una Germania in pieno fermento, conosce e frequenta i maggiori artisti del tempo: vive come autentica folgorazione la pittura simbolista di Arnold Böcklin, frequenta le lezioni di Franz von Stuck, così come viene colpito dal pensiero di Nietzsche e Schopenhauer.

Trasferitosi, poi, nel 1910, a Parigi, conosce Apollinaire, Valery, Picasso, pur non ravvisando alcun elemento degno di nota all’interno delle suggestioni cubiste.

Sarà all’interno del simbolismo decadente tedesco – permeato da forti suggestioni oniriche e dalla presenza di elementi architettonici di ispirazione classica – che de Chirico troverà l’ispirazione decisiva della propria impronta pittorica.

Ecco, allora, le sue piazze desolate, le sue muse misteriose e inquietanti, i manichini – figure umanoidi indistinte – le colonne e i busti di marmo, quali rappresentazioni non solo degli spazi esterni all’individuo, ma anche dell’inconscio umano.

L’enigma dell’animo umano

Scrive lo stesso de Chirico: “Ogni oggetto presenta due aspetti: l’aspetto comune, che è quello che generalmente si scorge, e che tutti scorgono, e l’aspetto spirituale e metafisico, che solo pochi individui riescono a vedere, in momenti di chiaroveggenza o di meditazione metafisica. L’opera d’arte deve richiamare un aspetto che non si manifesta nella forma visibile dell’oggetto rappresentato.”

Se questo vale per la realtà fisica, a maggior ragione acquisisce un senso profondo in relazione all’umano in cui l’aspetto enigmatico emerge in maniera ancor più prepotente.
Se nell’elaborazione dell’immagine umana l’uomo viene pietrificato in un non-tempo e sostituito con il feticcio della statua o del manichino, tale enigma viene addirittura verbalizzato in più d’una sua opera. Non solo nei titoli, sintesi perfetta dell’intenzione autorale, ma anche all’interno della tela stessa.

Nell’autoritratto che l’artista realizza nel 1920, lo sguardo serio e compenetrato del soggetto inghiotte l’osservatore, catapultandolo verso l’interno. Il Giorgio ritratto impugna un cartello, con cui chiede a sé stesso e al mondo: “Et quid amabo nisi quod aenigma est?” (E cosa amerò se non ciò che è enigmatico?). Alle spalle, non rinuncia all’inserimento dell’elemento architettonico e classico; a dimostrazione di un ambiente e di una realtà tutta – essa stessa – fonte di mistero al di là d’ogni luogo e tempo per “vedere ogni cosa, anche l’uomo, nella sua qualità di cosa”.