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Michelangelo Merisi da Caravaggio: opere, stile e novità

La sua pittura è tra le più innovative della storia dell’arte e il suo realismo radicale anticipa di due secoli la fotografia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è considerato come uno dei più importanti pittori di tutta la storia dell’arte. La sua grandezza è dimostrata dal fatto che si stenta a credere che le sue idee possano essere state concepite quattro secoli fa. La sua, può essere definita pittura della realtà, perché tutto nelle sue composizioni, dalla luce al taglio, fa pensare a un’arte che riconosciamo e non a quella del Seicento al quale appartiene. Ed è proprio a questo, per dirla come lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi, che si deve “la sua incessante attualità”.

Stile e novità

Lo stile pittorico del Caravaggio è segnato da un forte realismo e da un rivoluzionario utilizzo della luce, destinato a stravolgere il panorama artistico e ad influenzare anche la successiva arte barocca.

Pur ispirandosi ad artisti come Tiziano o Raffaello, Caravaggio se ne discosta presto, per diventare uno dei più importanti rappresentanti del naturalismo, uno stile basato sullo studio e sulla rappresentazione della realtà. Il pittore mette infatti al centro delle sue rappresentazioni la quotidianità, immortalando scene autentiche e persone umili, figlie innanzitutto delle sue frequentazioni dirette.

È poi l’uso sapiente che l’artista fa delle luci e delle ombre a conferire ai suoi dipinti un’atmosfera teatrale, che si concentra sui soggetti ritratti, il cui spessore e volume viene esaltato dal chiaroscuro, che enfatizza la plasticità dei volti rappresentati.

Si può allora ben dire che, in un certo senso, Caravaggio anticipi di due secoli la nascita della fotografia. Il suo fermo rifiuto di rappresentare la realtà come proiezione di sentimenti o simboli, nasce infatti dalla volontà di raffigurarla per quello che esattamente è, proprio come uno scatto ben studiato ed eseguito nel momento in cui la realtà si sta determinando.

Opere

Nel primo periodo della sua carriera artistica, Caravaggio si dedica prevalentemente a composizioni di nature morte. Tra queste, la più celebre è certamente la Canestra di frutta, dipinta nel 1596 e considerata la prima natura morta della storia dell’arte italiana. L’unico soggetto del dipinto è la cesta che emerge dallo sfondo chiaro e luminoso. La frutta che la riempie è di vario genere e viene ritratta in tutta la sua veridicità, imperfezioni comprese: così alcune foglie sono mangiucchiate dagli insetti e alcune mele appaiono evidentemente bacate.

Dello stesso periodo è il Bacchino malato, che potrebbe essere stato una sorta di autoritratto, realizzato durante la convalescenza dopo un breve ricovero. Il protagonista del dipinto è un Bacco evidentemente malato, raffigurato in piena naturalezza, con un incarnato pallido e bluastro che ne testimonia al primo impatto il precario stato di salute.

Entrato nel giro dei più importanti committenti romani, grazie all’amicizia con il cardinale Francesco Maria del Monte, Caravaggio ottiene come primo incarico di realizzare tre dipinti che illustrino le vicende di San Matteo per la Cappella Contarelli situata all’interno della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Del trittico, il dipinto più importante è quello della Vocazione di san Matteo, che mostra il momento preciso in cui Cristo chiama Levi all’apostolato. L’unico raggio di luce che squarcia la cupa atmosfera del dipinto, provenendo dalla finestra collocata in alto a destra rispetto ai soggetti seduti attorno ad un tavolino, illumina il volto di Levi, mettendolo in risalto a simboleggiare la Grazia Divina, che ne farà san Matteo. La sua espressione è incredula e stupita, ma il gesto di San Pietro e Cristo, che lo indicano, non lascia dubbi sulla lettura della tela.

Caravaggio a questo punto è richiestissimo nella Capitale e viene incaricato di diversi lavori. Monsignor Tiberio Cerasi gli commissione la Conversione di san Paolo: si tratta di dipingere due tele raffiguranti la conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro. Il quadro che ritrae il momento della vocazione di san Paolo, immortala l’istante in cui cade da cavallo dopo essere stato abbagliato dalla visione di Cristo che, sotto forma di luce, gli suggerisce di convertirsi e diventare suo testimone.

È invece Ottavio Costa a incaricarlo di realizzare la Giuditta e Oloferne, nel quale Caravaggio rappresenta il passo biblico della decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta, raffigurata con le sembianze di Fillide Melandroni, amica del poeta. La terza figura presente nel quadro è una serva anziana, apparentemente superflua, ma che si contrappone alla bellezza di Giuditta. Lo sfondo anche in queste opere si conferma scuor e senza particolari da svelare, ma funzionale a mettere in risalto ancor di più i protagonisti della scena e le loro espressioni facciali.

Fuggito a Napoli per sfuggire alla condanna a morte per decapitazione, Caravaggio proprio ad essa dedica la prima e la seconda versione del Davide con la testa di Golia, nella quale ritrae le espressioni dei protagonisti, quasi ad immaginare la sua possibile sorte: atterrita e sofferente quella della testa mozzata, addirittura fiera e orgogliosa quella del ‘boia’.

Trasferitosi a Malta, il pittore realizza il San Girolamo scrivente e anche l’unica sua opera firmata, la Decollazione del Battista. Tornato a Napoli, dopo un passaggio in Sicilia, realizza per il banchiere Marcantonio Doria il Martirio di Sant’Orsola, probabilmente il suo ultimo dipinto.