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Nascita di Venere, analisi dell’opera di Botticelli

Punto di svolta nell’arte rinascimentale, il capolavoro dell’artista segna anche la rinascita dell’antichità classica, con la rappresentazione della “bellezza”

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

La Nascita di Venere di Sandro Botticelli è una delle opere più celebri e ammirate del Rinascimento italiano. Questo capolavoro rappresenta un simbolo iconico nella storia dell’arte, dando vita alla figura mitologica di Venere, la dea dell’amore e della bellezza, in una rappresentazione che trascende il tempo e le culture. La sua creazione segna non solo un punto di svolta nell’arte del Rinascimento, ma anche la rinascita dell’antichità classica, influenzando profondamente l’estetica e la cultura dell’epoca.

Il dipinto di Sandro Botticelli, che è conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze, risale al 1483/1485 ed è stato commissionato da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. La protagonista Venere non è una donna immaginata dall’artista, ma Simonetta Vespucci, una giovane tenuta in gran considerazione nell’ambiente mediceo, sia per la sua bellezza che per la sua intelligenza. Si dice che Giuliano De Medici ne fosse follemente innamorato e che lo stesso Botticelli subisse il fascino della modella, tanto che le donne da lui ritratte le somigliano tutte, lasciando pensare che la bella Simonetta abbia posato anche per altri quadri del pittore fiorentino.

Descrizione e analisi

Il dipinto rappresenta la nascita di Venere, al centro del quadro si trova la bella dea, che appare in tutta la sua grazia. È a figura intera, nuda, con la pelle d’avorio, coperta solamente dalla sua chioma dorata. La mano destra appoggiata al seno con gesto pudico, la mano sinistra sul pube a trattenere una ciocca dei lunghissimi capelli mossi dal vento. Il capo è leggermente reclinato, l’espressione del volto dolce e mite.

Venere è in equilibrio sull’orlo di una conchiglia, che ha preso forma da onde e spuma. I piedi sono leggermente divaricati, con il peso del corpo sbilanciato sulla gamba sinistra. La visione d’insieme restituisce l’impressione di equilibrio e armonia.

La dea è sospinta, a sinistra, da Zefiro, vento fecondatore, personificazione dei venti di ponente, stretto in un amoroso abbraccio con una figura femminile, identificata ora con sua moglie Clori, ninfa della Primavera, ora con Aura, la dolce brezza presente anche nelle Stanze del Poliziano.

Alla destra del quadro, quindi alla sinistra della dea, ad attenderla sulla riva, una fanciulla si prepara ad avvolgerla in un mantello rosso, decorato con primule e rametti di mirto, che si gonfia per effetto del vento: la giovane, scalza e vestita da un abito chiaro trapuntato di fiordalisi, stretto in vita da un ramo di rosa, dovrebbe rappresentare una delle Ore preposte al cambio delle stagioni, la Primavera, ma viene anche accostata alla dea Flora o a una delle Grazie.

Alle spalle dell’ancella, il paesaggio è costituito da insenature e promontori e impreziosito da un boschetto di melaranci in fiore, considerati emblema della stirpe medicea per l’assonanza con il nome “mala medica”, dovuto alle loro proprietà terapeutiche. Dal cielo piovono rose, fiori che secondo il mito apparvero proprio in occasione della nascita di Venere.

Sullo sfondo prevale un mare verde acqua, appena increspato. Il confine dell’orizzonte, tra mare e cielo, è nascosto. Al centro una costa, che si trasforma in una pianura e in quello che potrebbe essere un promontorio o una collina. Poi, a destra, alberi molto regolari, nei quali prevale un verde intenso.

Stile

Lo stile adottato da Botticelli nel dipingere l’opera è completamente al servizio del significato che l’artista vuole trasmettere. La sua missione è quella di rappresentare la bellezza e per questo le figure non vengono realizzate secondo precise proporzioni, che ne avrebbero compromesso la resa estetica.

La posizione della dea, in bilico nel punto più instabile della conchiglia, è priva di ogni possibile realismo. Così come l’intero paesaggio, con le onde del mare che si increspano regolari e irreali. Non esiste prospettiva geometrica e i personaggi, privati quasi totalmente di masse e volumi, si dispongono tutti in primo piano. La luce non ha sorgenti, non modella le figure, i cui contorni assumono un andamento ritmico, che impedisce allo spettatore di soffermarsi per contemplare l’opera nella sua interezza. Botticelli condivideva con i classici il concetto che l’arte dovesse avere il bello come unico fine, senza sottostare a compromessi che ne avrebbero allontanato l’ideale di perfezione: scelse dunque una forma di pittura contemplativa, capace di distaccarsi dall’esperienza sensoriale e di richiamarsi alle idee più che all’osservazione diretta del vero.

L’opera sarebbe dunque una rappresentazione dell’Humanitas secondo i principi della filosofia neoplatonica e proporrebbe un parallelismo tra la cultura classica, dove il mito pagano che celebra la nascita della dea dalla spuma delle onde, scorre al fianco dell’idea cristiana di rinascita attraverso il battesimo, raffigurata dalla posizione dell’ancella, che richiama quella del Battista che versa l’acqua sul capo di Gesù. Allo stesso modo, il nudo di Venere assume nel capolavoro botticelliano un carattere spirituale e non sensuale, coniugando la materia allo spirito, la natura all’idea, per celebrare la “vera bellezza”.