Una nuova avventura nel mondo dei tropi – che, come abbiamo imparato, sono le figure retoriche di significato – porta lungo le strade di un affascinante artificio stilistico che prende il nome di metonimia. Anche se si tratta di una figura retorica piuttosto semplice da comprendere, perché fa affidamento alla logica, prenderne consapevolezza non è facilissimo. Ma serve, eccome! Riconoscerla non solo aiuta la comprensione ed evita il malinteso, ma permette anche di apprezzare (o creare) un discorso di una certa qualità stilistica.
E poi, che gusto riuscire a utilizzarla! L’importante è non perdere di vista il "luogo" (in senso astratto, ovviamente) dove ci troviamo: quello in cui le parole possono assumere tutt’altro significato rispetto a quello letterale, un significato "altro" che si discosta da quello comune e che diventa, quindi, figurato.
La metonimia può confondere e può anche mimetizzarsi, potrebbe sembrare una metafora oppure una sineddoche, perché anche lei, in quanto tropo, si basa su un trasferimento, una deviazione di un significato comune. Ma andiamo per gradi: vediamo di cosa si tratta, come riconoscerla e come distinguerla dalla sorella sineddoche e dalla cugina metafora.
- Che cos’è la metonimia?
- Tutte (o quasi) le relazioni possibili
- Qualche curiosità
- La metonimia topografica, principale alleata del giornalismo
- Metonimia e sineddoche, i (non) confini
- Differenze tra metonimia e metafora
- Esempi di metonimia nelle grandi canzoni italiane
Che cos’è la metonimia?
Il termine deriva dal latino metonymĭa, che a sua volta traduce un sostantivo greco, μετωνυμία, che vuol dire "scambio di nome", ed è composto da μετα- ("meta-"), che vuol dire dopo, oltre, e ὄνομα, ὄνυμα ("-ònoma", "-ònyma"), nome.
Con la metonimia accade questo: un termine viene sostituito da un altro che ha con il primo un rapporto di contiguità logica.
Vediamo qualche esempio per entrare nel processo della metonimia.
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"Vado a bere un bicchiere d’acqua"
Con questa espressione stiamo rappresentando l’azione di bere dell’acqua servendoci dell’oggetto che la contiene: è chiaro che non berremo il bicchiere, ma berremo il suo contenuto. Ecco dov’è che risiede il rapporto logico tra i due oggetti. Un rapporto tra il contenitore e il contenuto.
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"Ho portato Ungaretti agli esami"
Beh, nessuno può portare fisicamente il poeta davanti alla commissione, bensì la sua opera come materia d’esame. In questo caso la relazione va individuata tra l’autore e l’opera, ovvero si cita l’autore per indicare la sua opera.
Volendo pensarla in maniera matematica, facciamo finta che i due elementi oggetto della metonimia siano legati tra loro da un’equazione logica: il bicchiere sta all’acqua come il contenitore sta al contenuto e ci serviamo del bicchiere per indicare in realtà il liquido che contiene; Ungaretti sta alle sue poesie (o alla sua poetica) come un autore sta a ciò che scrive, e per citarlo ci serviamo semplicemente del suo nome, in quanto, essendo noto, non ha bisogno di spiegazioni.
Tutte (o quasi) le relazioni possibili
Le equazioni di cui ci siamo serviti aiutano a stabilire delle relazioni logiche su cui si basano le sostituzioni. Non dimentichiamo che il tropo è anche detto "traslato" proprio perché si basa sul trasferimento di un significato.
Le relazioni più utilizzate per la metonimia, con i relativi esempi, sono:
- il contenente per il contenuto
"Su, finisci di bere la tua tazza di latte"
- l’autore per l’opera
"Ama suonare Beethoven"
- la causa per l’effetto, e viceversa
"Ho sentito il campanello. Apri" (si sente il suono provocato dal campanello)
"Mi guadagno da vivere con il sudore" (il sudore è l’effetto del tanto lavorare)
- il simbolo per il suo oggetto simbolizzato
"La Casa Bianca non ha rilasciato dichiarazioni" (la Casa Bianca è la residenza del Presidente degli Stati Uniti, quindi è il Presidente a non aver rilasciato dichiarazioni)
- l’origine per il prodotto
"Una fetta di Asiago"
"Un bicchiere di Chianti"
- l’astratto per il concreto, e viceversa
"Sono entrati eludendo la sorveglianza" (la sorveglianza è un concetto astratto che in questo caso indica gli addetti alla sorveglianza)
"Lotterò per questa maglia" (si lotta per ciò che la maglia rappresenta, ovvero una squadra)
- la materia per l’oggetto
"Le hanno regalato una tela di Picasso" (laddove tela indica un quadro: il materiale di cui è fatto)
- il luogo per gli abitanti
"Al sud si cena dopo le 20" (le persone che vivono al sud, gli abitanti, cenano tardi la sera)
- l’oggetto posseduto per il possessore
"Le toghe temono il controllo della politica" (indica la categoria professionale – i membri dell’ordine giudiziario – servendosi della loro veste)
Se analizziamo bene i rapporti logici tra le relazioni citate, potrebbero benissimo essere raggruppate in macro categorie, soprattutto nell’ambito della causa per l’effetto (citare l’autore per l’opera è, in fondo, citare la causa per l’effetto) o del simbolo per il suo significato (che ricalca l’astratto per il concreto).
Qualche curiosità
Anche le metonimie, in quanto tropi, possono nel tempo aver dato vita a delle catacresi, ovvero delle metonimie talmente utilizzate e usurate da aver perso il loro valore figurato e aver acquisito un significato letterale. Questo perché molte metonimie, identificando un oggetto con un nome a loro relazionato, hanno finito per diventare stereotipi e luoghi comuni.
È il caso, ad esempio, delle frasi:
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"Ho comprato una Fiat"
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"Due etti di Parma, grazie"
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"Stasera vado a San Siro"? (non dal santo ma allo stadio)
Quando apriamo un atlante (anche se, con l’avvento di Google Maps, oggi si tratta di un’azione alquanto rara), dovremmo sapere che il suo nome deriva dal titano (in greco Atlas) che fu condannato a reggere sulle spalle il peso del mondo. E con la parola atlante, quindi, si indica una raccolta di carte geografiche. Ma non solo. Atlante, per analogia, è anche il nome della prima vertebra cervicale, quella che sostiene il cranio, proprio così come Atlas sosteneva la terra.
E che dire della biro? Stiamo parlando dell’oggetto chiamandolo con il nome del suo inventore, l’ungherese László Bíró, che poi diventò marchio di fabbrica.
Anche la parola cardigan deriva dal suo inventore, James Brudenell, VII conte di Cardigan, un ufficiale della marina militare britannica che utilizzò questa sorta di maglione/giacca durante la guerra di Crimea. E gli esempi di nomi propri diventati nomi comuni per effetto della catacresi di una metonimia abbondano: mansarda, santabarbara, raglan…
La metonimia topografica, principale alleata del giornalismo
Tra gli esempi di metonimia che più frequentemente arrivano ai nostri occhi e alle nostre orecchie c’è senz’altro la metonimia topografica, frequentemente utilizzata dai media italiani, e non solo, per evitare noiose ripetizioni e per creare titoli a effetto.
Oltre a ricordare gli esempi già citati in cui si parla della sede di un’istituzione pubblica per parlare dell’istituzione stessa ("Il Quirinale ha dichiarato…", "Il Vaticano afferma…"), ricordiamo che nella stampa spesso si parla della capitale di una nazione per indicare l’orientamento del governo di quella nazione: "Secondo Washington…", "Parigi accusa Roma…", e così via.
Succede anche con le sedi dei ministeri: si parla di via Arenula per indicare il Ministero della giustizia, o di viale Trastevere per quello dell’Istruzione.
Merita un’attenzione particolare il mondo in cui la stampa inglese articola le sue metonimie topografiche. In effetti, i media britannici hanno a che fare con molte istituzioni e diverse sedi. La più scontata è Buckingham Palace, di cui si parla per indicare la Corona inglese (altra metonimia!). C’è anche Scotland Yard, o The Yard, indirizzo della London Metropolitan Police. Ma l’esempio più interessante è la famosa Downing Street, che articola i suoi significati metonimici in base al civico: quando si parla di "10 Downing Street" o "Number 10" ci si sta riferendo alla residenza del Primo Ministro e alla sede del governo; con "11 Downing Street" ci si riferisce al Ministro delle Finanze.
Metonimia e sineddoche, i (non) confini
I confini tra metonimia e sineddoche sono davvero fragili, anzi per molti studiosi non esistono affatto, e la sineddoche sarebbe una sorta di estensione della metonimia.
In effetti per la retorica tradizionale la differenza è molto sottile (se non nulla) e le due figure retoriche nascono praticamente dallo stesso processo psichico e linguistico, ovvero dalla sostituzione di un termine con un altro con cui il primo ha una relazione logica. Ma, mentre nella metonimia la relazione logica è di tipo qualitativo, nella sineddoche si tratta di una relazione di tipo quantitativo.
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"Non ho più un tetto sulla testa" (una casa)
In questo caso, ad esempio, si nomina la parte per il tutto.
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"Queste scarpe sono di vitello" (di pelle di vitello) Qui, il tutto per la parte.
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L’italiano è una buona forchetta" ("gli italiani"; forchetta è invece una metonimia)
Il singolare per il plurale
"Vorrei adottare un felino" (un gatto)
La specie per il genere
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"Miseri mortali" (gli uomini)
Il genere per la specie.
La differenza tra metonimia e sineddoche è comunque talmente poco netta che in alcuni casi le due figure retoriche sono addirittura sovrapponibili.
Differenze tra metonimia e metafora
Forse nel leggere alcuni esempi di metonimia, come quelli riguardanti la relazione astratto/concreto ("La gioventù", "Avere fegato") e simbolo/oggetto simbolizzato ("Montecitorio", "il Quirinale", "la bandiera"…), in qualcuno potrebbero sorgere dei dubbi circa la sua vicinanza al processo mentale messo in atto con la metafora.
Ebbene, quando abbiamo dei dubbi basta porsi una domanda: i due termini che vengono collegati dal tropo hanno tra loro un rapporto all’interno di un insieme concettuale?
Se la risposta è sì, si tratta di una metonimia. La sostituzione, infatti, avviene nell’ambito della stessa porzione di realtà perché i due oggetti hanno tra loro un rapporto di dipendenza, sono contigui: è l’equazione di cui abbiamo parlato all’inizio.
Se invece i due termini sono collegati da una similarità, e possono quindi appartenere a sfere semantiche diverse, si tratta di metafora.
Esempi di metonimia nelle grandi canzoni italiane
Un esercizio divertente per praticare il riconoscimento delle figure retoriche (e ampliare anche la cultura musicale) è quello di leggere i testi dei grandi parolieri della musica italiana.
Ecco alcuni esempi di metonimia nei brani dei cantautori del Belpaese:
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"Bella / che ci importa del mondo / verremo perdonati, te lo dico io / da un bacio sulla bocca, un giorno o l’altro"
Così cantava Ivano Fossati… e questa è una sineddoche! Si sta indicando il tutto per una parte.
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"Abbraccia la mia giacca sotto il glicine e fammi correre / inciampa piuttosto che tacere / e domanda piuttosto che aspettare"
Continua così la canzone "Il bacio sulla bocca". Con "Abbraccia la mia giacca" si intende abbracciare la persona che indossa la giacca, l’oggetto del possessore per il possessore stesso: è una metonimia.
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"Dicono che nelle case donne pallide / sopra la vecchia Singer cuciano / gli spolverini di percalle"
Un altro autore sopraffino (celebre è la sua passione per i giochi di parole, per le allusioni e le figure retoriche) è Paolo Conte, le cui canzoni sono un contenitore inesauribile di tropi e allusioni. Questo è un verso del brano "Novecento": la vecchia Singer è la macchina da cucire per antonomasia, quindi si parla di una macchina da cucire indicandone il nome del produttore, Singer.