Salta al contenuto
Adolescente sui social Fonte foto: iStock

Adolescenti con ansia e depressione sui social: la nuova scoperta

Uno studio ha svelato che molti ragazzi con ansia e depressione trascorrono sui social più tempo di chi non ha queste diagnosi: cosa cercano online?

Patrizia Chimera

Patrizia Chimera

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Giornalista pubblicista, è appassionata di sostenibilità e cultura. Dopo la laurea in scienze della comunicazione ha collaborato con grandi gruppi editoriali e agenzie di comunicazione specializzandosi nella scrittura di articoli sul mondo scolastico.

Cosa cercano gli adolescenti che soffrono di ansia e depressione sui social? Qual è l’esperienza dei ragazzi fragili quando si confrontano online con i loro coetanei? Queste e altre domande sono state il punto di partenza per uno studio dedicato all’adolescenza digitale e, in particolare, al rapporto tra gli adolescenti con ansia e depressione e il mondo dei social.

Lo studio sull’adolescenza digitale

Sulla rivista Nature Human Behaviour è stato pubblicato uno studio dedicato al tema dell’adolescenza digitale: sono stati intervistati più di 3.000 ragazzi inglesi, con età compresa tra gli 11 e i 19 anni. Il 16% dei giovani intervistati ha ricevuto una diagnosi di disturbo mentale. Dall’indagine è emerso che chi soffre di ansia o depressione trascorre 50 minuti in più al giorno sui social rispetto a chi non ne soffre.

Come sottolineato dallo psicologo Giuseppe Lavenia, in un suo intervento sul Corriere della Sera che volto a commentare i dati di questo studio, si tratta non di un dettaglio, ma di un segnale che riguarda la fragilità dei giovani e il loro rapporto con il mondo digitale.

Cosa cercano gli adolescenti fragili sui social

Secondo quanto emerso da questa ricerca, un adolescente fragile sui social non è alla ricerca del cosiddetto “scroll compulsivo” e non vuole nemmeno trovare i video più virali del momento. Quello che cerca sono conferme: vuole trovare qualcuno che possa realmente “vederlo” e continuerà a frequentare le piattaforme in cerca di qualcuno che possa dargli questa conferma, anche se non sempre è facile e il rischio è che possa sperimentare la solitudine e l’isolamento, diventando invisibile agli occhi di tutti.

Come sottolineato da Giuseppe Lavenia, “non è il tempo sui social il problema. È il significato che ha quel tempo. Perché in quei minuti, cinquanta in più ogni giorno, si nasconde un desiderio profondo e non riconosciuto: essere accettati, essere amati. Sentire di contare qualcosa”.

Ansia e depressione: il confronto online tra i ragazzi

I ragazzi con diagnosi di ansia e depressione intervistati hanno anche affermato di cercare più spesso il confronto con gli altri utenti online e di sentirsi particolarmente vulnerabili di fronte alle reazioni ricevute. Inoltre, sono meno sinceri quando si tratta esternare le proprie emozioni.

Del resto, come ha sottolineato lo psicologo, non è facile essere sinceri in un posto dove il timore più grande è quello di non piacere agli altri. “Il paradosso è che mentre il corpo cresce, la psiche implode. E allora il digitale diventa una protesi: una stampella emotiva per reggersi in piedi quando tutto dentro barcolla. Ma quella stampella, se usata senza guida, può piegare ancora di più”.

Il problema, secondo Lavenia, è anche “l’assenza di uno spazio reale dove poter essere fragili senza sentirsi sbagliati. Dove poter dire ‘sto male’ senza temere il giudizio. Perché se i social diventano l’unico luogo dove esistere, ogni rifiuto online viene vissuto come un rifiuto esistenziale”.

Spesso l’identità digitale è “l’unica identità che i ragazzi sentono di poter controllare. Ma è un’identità costruita sulla base dello sguardo altrui. Un’identità di superficie. Non vissuta, ma progettata. Non sentita, ma performata. E alla lunga, questa distanza tra ciò che si è e ciò che si mostra diventa intollerabile”.

Cosa possono fare la scuola e la famiglia

Lo psicologo, nel suo intervento, ha spiegato che “tocca a noi, adulti, educatori, terapeuti, famiglie, fermarci. Guardarli. Ascoltarli. Non per giudicare l’ennesimo selfie o demonizzare TikTok. Ma per domandarci che cosa manca nella vita reale se la vita virtuale diventa l’unica possibile”. Perché i social non sono nemici, ma “un termometro. Ci dicono che c’è febbre emotiva, che qualcosa non va. E noi, anziché rompere il termometro, dovremmo cominciare a curare l’infezione”.

Proprio a scuola si potrebbe fare molto, parlando “di emozioni, non solo di voti“. Ma servirebbero anche genitori che “chiedano meno ‘cosa fai online’ e più ‘come ti senti davvero'” e “psicologi che non si limitino a curare il sintomo, ma che aiutino a ricostruire un senso”.