Andare bene a scuola è da "sfigati"? La risposta della psicologa
Un ragazzo di 15 anni ha detto ai genitori di non voler andare bene a scuola, perché è da sfigati: ecco il loro racconto e il parere della psicologa
I genitori di un ragazzo di 15 anni sono disperati, perché i voti di loro figlio sono peggiorati. La preoccupazione, però, deriva anche dal fatto che lui crede che andare bene a scuola sia da sfigati. Per questo non studia, non si impegna, risponde male ai professori. Lo farebbe per non essere escluso dal gruppo di studenti popolari. Una psicologa ha commentato questa storia per aiutare tutte le famiglie che hanno dei ragazzi svogliati, che non pensano al loro futuro e che non hanno voglia di mettersi in gioco e impegnarsi.
Andare bene a scuola è da sfigati, il pensiero del 15enne
Marco ha 15 anni. Sua mamma a La Repubblica ha raccontato che lei e il marito sono preoccupati. Il figlio non vuole studiare, per sembrare forte davanti ai compagni di classe e farsi accettare dal gruppo. Quando i genitori hanno chiesto spiegazioni all’adolescente sui voti poco brillanti del primo quadrimestre, lui ha risposto che “andare bene a scuola è da sfigati“.
Eppure il ragazzo era uno studente brillante alla scuola primaria, mentre oggi è un teeanger svogliato. E come lui tanti suoi coetanei che, per paura di essere esclusi dal gruppo di studenti popolari, smettono di studiare e di comportarsi bene in classe. “Marco è sempre andato bene a scuola, i problemi sono cominciati con l’inizio della pubertà, attorno ai dodici anni, quando i suoi voti hanno iniziato a peggiorare. I professori dicono che non partecipa, segue svogliatamente, risponde in modo maleducato, un profilo che non corrisponde al ragazzo che noi conosciamo”.
I genitori hanno un’altra figlia maggiore, che va all’università: è sempre andata bene a scuola, senza problemi di popolarità. Ma per il 15enne per i maschi sarebbe diverso. “È come se esistesse una tendenza all’omologazione verso il basso, un riallineamento verso la mediocrità, come dico io. C’è un desiderio di non farsi notare, per questo non intervengono in classe, non partecipano”, ha detto la mamma, che parla di un vero e proprio rito di iniziazione. “Rifiutarsi di fare bene è un modo per dimostrare carattere”.
Il 15enne, come molti dei suoi coetanei, pare che non abbia preoccupazioni per il futuro, come ha sottolineato la mamma. “Gli adolescenti pensano all’immediato, non hanno la consapevolezza del fatto che in questi anni stanno mettendo le basi del loro domani. Al massimo, guardano alla fine dell’anno scolastico”. Quello che conta è solo lo stile: come ti vesti, cosa fai, come di presenti. Il resto non conta nulla.
La richiesta d’aiuto ai professori
Il problema non è solo del 15enne protagonista di questo racconto: lui non è un caso isolato, tanti studenti sono svogliati e non vogliono studiare. I genitori, allora, hanno deciso di rivolgersi ai professori per chiedere aiuto, per avere un supporto maggiore nei confronti dello studente.
Proprio i docenti del ragazzo hanno proposto un’idea semplice: “Valutare al termine di ogni lezione il livello di partecipazione e comunicazione di nostro figlio. Una cosa semplice, un’indicazione su una scheda del livello di partecipazione – buono, medio o scarso – che Marco ci deve mostrare ogni giorno”.
Il 15enne non voleva farlo all’inizio, per non sembrare diverso dai compagni, ma ora sembra funzionare: “La valutazione quotidiana ha agito come un rinforzo positivo. Marco ha iniziato a dimostrare maggior senso di responsabilità. Addirittura, è arrivato a chiedere spiegazioni delle valutazioni che non corrispondevano alla sua percezione. Ma quanti sono i ragazzi che non possono contare su questa soluzione e si perdono per strada?”
Il parere della psicologa
Loredana Cirillo, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro, ha espresso il suo parere in questa vicenda che è la storia di molti adolescenti. “Il caso di Marco e della sua famiglia potrebbe essere paradigmatico della transizione psichica che avviene dall’infanzia all’adolescenza”.
Secondo la psicologa, “in Marco potrebbe essere presente uno scontro tra le istanze del Sé infantile, cioè tra l’immagine di sé che va bene a scuola, in linea con le aspettative del mondo degli adulti, e il Sé adolescente che ha compiti e bisogni in antitesi. Il Sé adolescente, infatti, deve “dismettere” il Sé infantile, essere riconosciuto dal suo gruppo di pari”.
In tal senso il rifiuto della scuola e il negare il proprio ruolo di studente potrebbero essere i segnali di un bisogno di “soggettivarsi, di trovare il proprio posto nel mondo, anche se in modo disfunzionale per la crescita”. La specialista sostiene che Marco è fortunato, perché gli adulti di riferimento si sono attivati nei suoi confronti utilizzando un metodo che lo aiuta a riconoscere ogni giorno l’impegno e il valore.
“Spesso i ragazzi sperimentano un vuoto identitario, l’assenza di senso e di speranza verso il presente e il futuro che rende molto difficile investire in qualsiasi ambito dell’esistenza. Pensare di aiutarli attraverso la punizione, la mortificazione, il brutto voto o la bocciatura è contro ogni logica relazionale, emotiva, pedagogica e psicologica”. Secondo Loredana Cirillo, questa storia è un ottimo spunto di riflessione per gli adulti, che lei invita ad essere più attenti al fine di recepire al meglio i messaggi che i ragazzi inviano.
“Non è vero, infatti, che agli adolescenti non importi dei risultati scolastici: il loro disinteresse e il fatto di considerare l’andare male a scuola come qualcosa di cool rappresentano solo una difesa. Il disinvestimento, infatti, è un modo per non soffrire, per non scontrarsi direttamente con il proprio senso di inadeguatezza”, ha concluso la psicologa.