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Maschi più distratti delle femmine Fonte foto: iStock

Maschi più distratti delle femmine? Cosa ha svelato uno studio

I maschi sono davvero più distratti delle femmine o è solo una leggenda metropolitana? A questa domanda ha risposto uno studio: cosa ha svelato

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

I livelli di concentrazione nei bambini e nelle bambine sono gli stessi? Spesso si dice che i maschi sono più distratti mentre le femmine più concentrate, ma è davvero così? Ecco cosa ha svelato un nuovo studio.

Lo studio

Uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Padova, dell’IRCCS E. Medea di Conegliano e dell’Università di Cambridge, apre nuove prospettive sul neurosviluppo infantile. La ricerca, pubblicato sulla rivista ‘Human Brain Mapping’, ha mostrato che l’attività cerebrale a riposo – associata al funzionamento cognitivo – presenta differenze notevoli già in età prescolare, differenze che sembrano legate al sesso biologico.

Nel dettaglio, la ricerca ha dimostrato che esiste una relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo (chiamato ‘resting state’, stato in cui il cervello non è impegnato in alcuna attività cognitiva attiva o compito specifico) e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini e bambine di età prescolare (4-6 anni).

Il team di ricerca ha evidenziato che, in assenza di richieste cognitive esterne, la stabilità, la durata e la direzione delle comunicazioni cerebrali, ovvero il modo in cui le informazioni vengono trasmesse ed elaborate all’interno di una singola area o tra le diverse aree del cervello, non cambiano all’interno della fascia di età considerata, ma differiscono in base al sesso biologico.

I risultati

In base a quanto rilevato nello studio, i maschi mostrano un’attività cerebrale più variabile e meno prevedibile, caratterizzata da una maggiore attivazione del ‘default-mode network’, il circuito associato alla ‘testa tra le nuvole’ (mind wandering). Al contrario, le femmine attivano più spesso le aree prefrontali, maggiormente associate alla capacità di concentrazione e attivazione cognitiva.

La ricerca ha inoltre osservato, sulla base dei questionari compilati dai genitori, che i bambini e le bambine che azionano di più le aree prefrontali mostrano una migliore regolazione comportamentale ed emotiva, mentre chi attiva più spesso il ‘default-mode network’ riporta maggiori difficoltà.

In conclusione, lo studio evidenzia che le bambine tendono ad avere una maggiore stabilità e coerenza nelle comunicazioni tra le diverse aree cerebrali, mentre nei bambini si riscontra una maggiore variabilità. Questo potrebbe spiegare perché, già in età prescolare, le bambine appaiono spesso più concentrate e focalizzate rispetto ai coetanei maschi.

Il commento dei ricercatori

“Questo studio aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età. Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni”, ha spiegato Lisa Toffoli, prima autrice dello studio e ricercatrice dell’Università di Padova.

“Questi risultati potrebbero avere significative implicazioni per popolazioni cliniche, in particolare per i disturbi del neurosviluppo come autismo e Adhd, identificando potenziali target neurali nei processi riabilitativi”, ha commentato Giovanni Mento, corresponding author dello studio e docente al Dipartimento di Psicologia generale dall’Università di Padova. “Questo potrebbe facilitare approcci terapeutici personalizzati soprattutto in età prescolare, una fase cruciale per lo sviluppo cognitivo”, ha concluso.