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Laureati italiani Fonte foto: iStock

Perché un quinto dei laureati italiani è a rischio: lo studio

Secondo la ricerca dell'Area Studi Mediobanca un quinto degli studenti universitari è a rischio: perché e i problemi delle università in Italia

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Un quinto dei laureati italiani è a rischio: a dirlo è il report di Area Studi Mediobanca sullo stato delle università italiane, pubblicato il 25 marzo 2024. Ecco perché.

Università italiana: gli effetti della crisi demografica

Pochi fondi pubblici, docenti anziani e precari e abbandono degli studenti nel Mezzogiorno: è questa la fotografia dell’università italiana secondo l’indagine condotta dall’Area Studi Mediobanca, che ha analizzati i dati del 2022 di 92 atenei, 61 statali e 31 privati. Secondo l’istituto milanese, tra i problemi che stanno affossando l’istruzione superiore nel Bel Paese c’è la crisi demografica ed i suoi impatti economici.

“Assumendo costante il tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università – si legge nel comunicato stampa di Mediobanca -, nel 2041 il minore introito da rette di frequenza per la riduzione degli iscritti è stimabile, in via prudenziale, in circa 500 milioni di euro, per effetto di circa 415mila studenti in meno“, ovvero il 21,2% degli 1,95 milioni di iscritti oggi in Italia. Dunque, circa un quinto dei laureati è a rischio nel nostro Paese che è tra gli ultimi posti in Europa per numero di titoli di studio universitari, che riguardano il 20% della popolazione tra i 25 ed i 64 anni (la media europea è pari al 33,3%).

La crisi delle università al Sud

“Il depauperamento della popolazione universitaria è atteso più evidente nel Mezzogiorno, con flessioni superiori al 30% in Molise, Basilicata, Puglia e Sardegna che portano il Sud e le Isole a un calo complessivo del 27,6%”, hanno spiegato da Mediobanca. I saldi negativi del Nord e del Centro sono “meno acuti, ma comunque preoccupanti”, pari rispettivamente a -18,6% e -19,5%.

“Il contrasto del calo demografico – si legge ancora sul report – passa anche attraverso il potenziamento dell’attrattività internazionale che tuttavia vede proprio gli atenei del Sud sfavoriti con appena il 2,5% di iscritti internazionali”. D’altra parte, la stessa competizione territoriale in Italia nell’ultimo decennio ha sfavorito proprio le università del Mezzogiorno (-16,7% di iscritti) e delle Isole (-17,1%), a fronte dei progressi di quelle del Nord Ovest (+17,2%) e del Nord Est (+13,4%).

La fuga dal Sud e dalle Isole dipende anche dalle infrastrutture: “il tempo medio necessario per raggiungere la sede degli studi nel Mezzogiorno supera i 150 minuti, mentre la media italiana è di 88 minuti. “La migratorietà universitaria si deve poi confrontare con la modesta ricettività degli studentati universitari -hanno spiegato dall’Area Studi di Mediobanca -: si valuta essi offrano un posto ogni 9 studenti fuorisede, ma alcune stime portano il rapporto a 1:21″.

Pochi investimenti pubblici nell’università

“Purtroppo, il limitato investimento dell’Italia nell’educazione terziaria non aiuta ad affrontarne le sfide”, hanno osservato da Mediobanca. L’Italia, infatti, investe solo l’1% del Pil per la formazione universitaria, contro l’1,3% medio dell’Unione europea e l’1,5% medio dei Paesi Ocse. Una spesa pubblica che copre solo il 61% dei costi di formazione superiore degli italiani (in Europa la media è pari al 76%), mentre il resto tocca quasi solo alle famiglie (33% della spesa totale, oltre il doppio del 14% medio europeo).

Mediobanca ha stimato che servirebbe una spesa aggiuntiva di 5,3 miliardi di euro per raggiungere la media Ue e 8,8 miliardi per arrivare alla media Ocse.

“La stessa adeguatezza dell’offerta formativa delle università italiane solleva interrogativi, ad esempio in termini di composizione anagrafica del corpo docente”, hanno aggiunto dall’Area Studi dell’istituto. In Italia gli insegnanti universitari con meno di 40 anni sono il 15,1% del totale, contro il 19,7% della Spagna, il 30,5% della Francia e il 52,1% della Germania. L’età media dei professori degli atenei italiani è 51,1 anni (58,2 se si considerano gli ordinari).