
Quasi un laureato su due in Italia va a lavorare all'estero
Uno studio mostra che oltre 500mila giovani sono partiti dall’Italia in 13 anni per andare a lavorare all'estero: da quali regioni e perché si parte
Il 40% di chi si laurea va a lavorare all’estero. Il dato è stato illustrato in uno studio presentato in un convegno alla Scuola Normale di Pisa. Sempre più giovani, negli ultimi anni, scelgono di partire per costruire fuori dai confini nazionali la propria carriera professionale. La migrazione degli italiani degli anni 2010-2020 è formata da giovani istruiti, intellettuali e qualificati.
Quanti laureati vanno a lavorare all’estero
A Pisa è stato illustrato un lavoro di Luca Paolazzi, economista e direttore della Fondazione Nord-Est. Lo studio mostra che solo il 29,2% dei laureati italiani resta in Italia, mentre il 43,1% va a lavorare all’estero.
Nel periodo tra il 2011 e il 2023 sono stati 550mila i giovani connazionali tra i 18 e i 34 anni che hanno lasciato l’Italia. A fronte di questo esodo, l’attrattività del nostro Paese per gli stranieri resta bassa con un saldo migratorio che registra una perdita di 377mila persone.
I ragazzi avrebbero ricominciato a partire dopo la pandemia e, secondo Paolazzi, “le cifre reali sono tre volte più grandi di quelle ufficiali”.
Da quali Regioni si parte di più
L’autore del lavoro illustrato alla Scuola Normale di Pisa sottolinea che “il contesto demografico è senza precedenti, la natalità è ai minimi storici: 370.000 nascite nel 2024. E le partenze verso la Spagna e la Germania ora avvengono dalle regioni più ricche”.
“I migranti laureati del Nord Italia – continua Paolazzi – nel 2022, sono stati il 48% del totale, saliti di sette punti rispetto all’anno prima e di dodici rispetto al 2019. In due regioni, Friuli Venezia Giulia e Lombardia, gli expat con laurea sono più della metà: 51,5% e 50,7%”.
Gli espatriati del Paese con la laurea, sempre considerando il 2022, sono stati il 43,1%, aumentati di 25,7 punti percentuali in dieci anni.
Perché i laureati vanno via dall’Italia
I motivi che spingono i giovani ad andare via, per il 96,1% di chi è migrato per scelta, sono da attribuire alla disattenzione degli imprenditori alle condizioni dei loro collaboratori. Il 95,7% ritiene che la spinta ad andare via sia stata legata alla mancanza di una visione internazionale persistente in Italia e alle scarse politiche attivate per i giovani.
Un dato da segnalare è che gli espatriati sono più ottimisti di chi è rimasto e più occupati. Tra coloro che partono per necessità, tre su quattro hanno un’occupazione stabile, quasi tutti sono dipendenti.
Un po’ meno della metà svolge mansioni per cui le imprese italiane denunciano mancanza di personale, ovvero tecnici, lavoratori qualificati nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati, lavoratori non qualificati.
Lo studio presentato dalla Fondazione Nord Est, qualche mese fa era stato illustrato anche al Cnel. In quell’occasione Paolazzi ha spiegato che “il valore del capitale umano uscito è stimato da Fondazione Nord Est in 134 miliardi. Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei. Nel movimento di giovani persone tra i Paesi europei l’Italia partecipa da grande fornitrice di persone ed è quindi fuori dalla circolazione di talenti perché è ultima per attrattività. È pericoloso continuare a cullarsi nella favola bella che facciamo parte di quella circolazione, perché vuol dire fingere che la bassa attrattività non esista. L’emigrazione dei giovani italiani non solo rende più difficile per le imprese la ricerca di persone da assumere ma accentua enormemente il mis-match tra domanda e offerta di competenze”.
In generale tra le motivazioni principali dell’emigrazione dei giovani italiani, spiccano le migliori opportunità lavorative (25%), le opportunità di studio e formazione (19,2%) e la ricerca di una qualità della vita più alta (17,1%). Solo il 10% considera il salario più elevato come principale ragione per l’espatrio.