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Riccardo Muti e scuola: perché ci vorrebbe uno tsunami culturale Fonte foto: Ansa

Riccardo Muti e scuola: perché ci vorrebbe uno tsunami culturale

Il direttore d'orchestra Riccardo Muti, in un'intervista, parla di scuola, destino e anche intelligenza artificiale: cosa serve secondo il maestro

Stefania Bernardini

Stefania Bernardini

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2012, ha collaborato con le principali testate nazionali. Ha scritto e realizzato servizi Tv di cronaca, politica, scuola, economia e spettacolo. Ha esperienze nella redazione di testate giornalistiche online e Tv e lavora anche nell’ambito social

Riccardo Muti è uno dei più importanti direttori d’orchestra a livello mondiale. A 83 anni è ancora in pienissima attività e nel 2025 celebra i 50 anni di carriera. Per festeggiare questo traguardo ha organizzato una tournée con la Wiener Philharmoniker, una delle più grandi orchestre internazionali. In un’intervista il maestro ha parlato di scuola, studio, destino e persino dell’intelligenza artificiale nella musica.

Perché serve uno tsunami culturale secondo Riccardo Muti

A La Repubblica Muti ha spiegato che, in particolare in Italia, la musica dovrebbe avere un ruolo maggiore a partire dall’istruzione scolastica. “C’è da smuovere le montagne – ha detto – non si studia la musica nelle scuole, e intendo insegnare a muoversi nella foresta dei suoni, in tv la musica è intrattenimento, non arte. Ci vorrebbe uno tsunami culturale. Io credo che la violenza, il bullismo nei giovani sia anche perché non hanno il contrappeso di una formazione culturale e spirituale”.

Secondo il maestro, per risolvere alcuni problemi della società e dei più giovani, si dovrebbe partire quindi da una trasformazione culturale in cui si promuova l’arte e ciò che la musica riesce a far esprimere.

Gli studi di Riccardo Muti e il destino

Il direttore d’orchestra ha rivelato di non amare lo studio ma di aver studiato comunque per tutta la vita. Un ruolo nella sua formazione e nella sua carriera lo ha avuto anche il destino. “Se a 8 anni non mi avessero messo un violino in mano non avrei combinato nulla”, ha detto. Riguardo ai ruoli ricoperti, il maestro ha affermato che “quando il destino bussava alla mia porta e io la aprivo. L’unica cosa che rivendico con orgoglio è che il destino mi ha sempre trovato pronto”. Ma come fare per farsi trovare pronti? Attraverso la formazione.

“Devi essere preparato, qualunque cosa tu voglia fare. Io avevo un bagaglio solido. Due diplomi di pianoforte e composizione col massimo dei voti e la lode, maturità classica al Vittorio Emanuele II di Napoli, 5 promossi su 28. E soprattutto, altro che Royal School di qua o Academy di là, io ho alle spalle la scuola musicale italiana: Vincenzo Vitale, Bettinelli, Votto, Maria Carbone con cui ho conosciuto mia moglie Cristina che studiava canto. Con loro ho imparato che non puoi dirigere se non sai suonare il pianoforte. Lo sapevano Votto, von Karajan, Furtwängler, Toscanini, De Sabata, Abbado… tutti i grandi. Oggi i giovani studiano “conducting”, cioè a muovere le braccia, una moda che arriva dall’America. La direzione è altra cosa: prove, concertazione. Nella mia Academy per direttori, agli allievi chiedo prima di tutto di preparare i cantanti al pianoforte”, ha spiegato.

Il pensiero di Riccardo Muti sull’IA

Nella musica è ormai entrata anche l’intelligenza artificiale, e se fosse usata anche per dirigere un’orchestra? “Non sono contro l’intelligenza artificiale – è il pensiero di Riccardo Muti – ma se non la si controlla sarà una strada senza ritorno. In Giappone c’è già un robot sul podio, ma che fa? Muove le braccia. Un direttore deve sentire le note con l’anima prima che con le orecchie. E perciò bisogna studiare, studiare, studiare”.