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Lezioni frontali a scuola Fonte foto: iStock

Troppe lezioni frontali a scuola: maestri "meglio" dei professori

A scuola troppe lezioni fontali a scapito di metodi alternativi di insegnamento: perché i maestri sono 'meglio' dei professori secondo un nuovo studio

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Come si insegna oggi nella scuola italiana? È la domanda a cui ha cercato di rispondere il Report Didattiche 2024 dell’area Ricerca & Sviluppo del Centro Studi Erickson. Lo studio ha evidenziato che continuano a prevalere le lezioni frontali. Ma allo stesso tempo maestri e maestre sono ‘meglio‘ dei prof quando si parla di promuovere nuove forme di didattica. Nelle scuole d’infanzia e primarie, infatti, sono maggiormente adottate metodologie di insegnamento alternative alla più comune spiegazione in aula. Ecco cosa ha rilevato lo studio.

Come si insegna nella scuola italiana: lo studio

I ricercatori del Centro Studi Erickson hanno condotto uno studio nazionale per indagare le pratiche didattiche d’aula in Italia. L’obiettivo dell’indagine era quello di capire come si insegna oggi nella scuola italiana, ma anche quello di comprendere quali fattori (principalmente demografici) si intrecciano dietro all’uso di ciascuna metodologia (per esempio l’età degli insegnanti ed il loro livello di istruzione).

“Comprendere che cosa accade nelle aule italiane oggi è essenziale per individuare bisogni e risorse, oltre che per tracciare un quadro di riferimento concreto su cui basare politiche educative e percorsi di aggiornamento per gli insegnanti“, hanno spiegato gli autori dello studio Dario Ianes, Benedetta Zagni e Francesco Pacenza.

“Di fronte a una popolazione scolastica sempre più diversificata – hanno proseguito i ricercatori -, è fondamentale capire come gli insegnanti stiano rispondendo alla sfida di rendere la didattica maggiormente inclusiva ed efficace, integrando pratiche che promuovano pari opportunità di apprendimento attivo, di benessere e di sviluppo delle competenze trasversali“.

Lo studio è stato condotto attraverso un questionario somministrato agli insegnanti. Il campione finale, formato da 1.965 docenti (1.508 femmine e 130 maschi) con un’età media di 45 anni, ha coperto uniformemente tutti i gradi scolastici e le regioni italiane.

Il sondaggio era costituito da due sezioni principali: una dedicata alle pratiche didattiche e una alle variabili demografiche.

Lezioni frontali metodologia più utilizzata

Lo studio ha rilevato che la didattica frontale è la metodologia di insegnamento più utilizzata dai docenti italiani, soprattutto nelle scuole medie e superiori. Un “risultato atteso” hanno commentato i ricercatori, “mentre sicuramente meno prevedibile è il secondo posto della didattica laboratoriale e il terzo del peer tutoring“, quel metodo didattico in cui uno studente più esperto aiuta un compagno di classe a migliorare le proprie competenze.

Segue l’apprendimento interattivo con le tecnologie, “probabilmente anche per effetto delle politiche di innovazione tecnologica del Pnrr”, hanno aggiunto gli autori.

Quanto influisce il grado di istruzione degli insegnanti

Nella scuola italiana ci sono docenti con storie di formazione molto differenti, dal diploma di maturità al dottorato di ricerca e specializzazioni post-laurea. Ma il livello di istruzione
degli insegnanti influisce sulle pratiche didattiche? I dati del report sottolineano che c’è una correlazione: “risulta evidentemente significativo l’impatto del livello più alto di istruzione sull’uso della progettazione didattica con l’Universal design for learning e sull’uso dell’apprendimento interattivo attraverso l’uso di tecnologie“.

Lo studio, dunque, evidenzia come i docenti che possiedono un grado di istruzione più elevato siano più portati ad utilizzare metodi didattici alternativi alla lezione frontale.

Maestri e maestre “meglio” dei prof

Questo trend si osserva anche per il peer tutoring, “ma in questa metodologia si può osservare anche l’influenza positiva dei percorsi di laurea per la scuola primaria”, si legge nello studio.

Come hanno sottolineato gli autori Ianes e Zagni al ‘Corriere della Sera’, infatti, “nella primaria cominciamo a vedere l’effetto positivo del corso di laurea di 5 anni per diventare maestre, attraverso l’uso di didattiche più innovative in classe, come il caso della didattica in contesti reali, laboratoriale, didattica aperta”.

L’età dei docenti e i metodi di insegnamento

Anche l’età dei docenti influisce sui metodi di insegnamento. Per esempio, a lezione gli insegnanti fino ai 29 anni usano più di tutti gli altri le tecnologie, il cui utilizzo cala sistematicamente con l’avanzare dell’età.

Guardando alla didattica frontale, invece, emerge un dato che gli autori hanno definito controintuitivo”. Come prevedibile, gli insegnanti più anziani la usano più frequentemente, ma risulta “statisticamente significativo (e sorprendente) l’altissimo uso anche da parte degli insegnanti giovanissimi e giovani”. Questo dato, hanno aggiunto, “è coerente però con un risultato emerso da un’altra ricerca Erickson condotta nel 2023, dove rilevammo che gli insegnanti più giovani erano meno inclusivi di quelli più anziani“.

Scuola dell’infanzia approach

La prevalenza della lezione frontale conferma “purtroppo le aspettative riguardo alle metodologie didattiche maggiormente usate nella nostra scuola, ma si intravedono elementi positivi”, hanno assicurato gli autori. Il fatto che la didattica laboratoriale sia molto utilizzata in tutti gli ordini e gradi di scuola “promette bene in termini di efficacia didattica per lo sviluppo di competenze e per l’inclusività – hanno proseguito -. Le stesse considerazioni valgono per il peer tutoring, che valorizza la risorsa compagni/e di classe in una didattica partecipativa e prosociale”.

E ancora: “La scuola dell’infanzia si conferma come il segmento pedagogicamente più attivo, che utilizza in modo significativamente maggiore didattiche attive e creative, mentre la scuola secondaria si conferma un segmento ancorato non solo alla spiegazione al gruppo classe ma anche all’uso individuale del libro di testo e/o schede didattiche, anche se si classifica come la scuola più tecnologica”.

Gli autori dello studio concordano sulla necessità di innovare la didattica delle scuole italiane. Innovazione che, hanno concluso, “sarà prodotta investendo sulla formazione universitaria dei futuri docenti e contaminando tutti gli ordini di scuola con il ‘scuola dell’infanzia approach‘”, ovvero un approccio che stimoli maggiormente la creatività ed il pensiero critico degli studenti rispetto alla tradizionale lezione frontale.