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Paradiso, Canto XVI: l’aristocrazia e la degenerazione di Firenze

Nel V Cielo di Marte Dante incontra l'avo Cacciaguida, con cui parla delle principali famiglie e della decadenza della loro città natale

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

L’incontro con Cacciaguida

Dante osserva che, se la nobiltà di sangue porta a vantarsi in Paradiso, come gli è appena capitato una volta sentite le parole di Cacciaguida, è inevitabile come ciò avvenga anche sulla Terra. La nobiltà, tuttavia, è come un mantello che, se non gli si aggiunge del panno, vale a dire non viene mantenuta dai discendenti, è destinata ad accorciarsi presto, in quanto viene tagliato dal tempo giorno dopo giorno. Il poeta fiorentino, quindi, torna a rivolgersi al suo avo, dandogli del ‘voi’ e non più del tu’, una debolezza che lo fa sembrare la dama che tossì durante l’incontro fra Lancillotto e Ginevra e che fa sorridere Beatrice. Dante afferma che quanto ha appena ascoltato lo ha riempito di gioia e d’orgoglio, quindi, domanda a Cacciaguida chi furono i suoi antenati, quale fu il suo anno di nascita, a quanto ammontava allora la popolazione di Firenze e quali erano le principali famiglie. L’anima, tale è l’euforia che prova nel rispondere, si illumina come un carbone avvolto da una fiamma alimentata dal vento e, con voce dolce e soave, in una lingua diversa dal fiorentino moderno, spiega che, dal giorno dell’Annunciazione a Maria a quello in cui è venuto al mondo, il pianeta Marte si è trovato in congiunzione con la costellazione del Leone 580 volte, quindi sono trascorsi 1091 anni. Lui e i suoi antenati nacquero nel punto di Firenze dove ora, chi corre il palio annuale, incontra per primo l’ultimo sestiere, quello di Porta S. Pietro. Riguardo i suoi avi, poi, gli basti sapere questo, perché è meglio tacere su chi fossero realmente e da dove provenissero.

La decadenza di Firenze

Gli abitanti di Firenze, invece, all’epoca erano atti a portare armi, erano circa un quinto di quelli attuali ed erano puri fino all’ultimo artigiano, e non mescolati al contado come ora. Cacciaguida si chiede quanto sarebbe meglio se queste persone non abitassero in città e se i confini di Firenze fossero ancora quelli di un tempo, anziché dover sentire ‘il puzzo dei villani inurbati’, sempre pronti a compiere ogni tipo di baratteria. Infatti, se la Chiesa non avesse usurpato l’autorità imperiale di Cesare, questi ‘bifolchi’ non sarebbero mai diventati cittadini fiorentini, così come il castello di Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi, la famiglia dei Cerchi sarebbe rimasta nel piviere di Acone e i Buondelmonti in Valdigrieve. Secondo l’avo di Dante, sarebbe stata proprio tale ‘confusione delle genti’ la causa dei mali della loro città, esattamente come provoca malessere continuare a mangiare con tanto cibo nello stomaco non ancora digerito, o come un toro cieco cade più facilmente di un agnello analogamente privo della vista o, ancora, taglia meglio una sola spada che non cinque insieme. Il suo discendente, quindi, dovrebbe guardare agli esempi di Luni e Orbisaglia, che sono cadute in rovina, e a Chiusi e Senigallia, che avranno presto lo stesso destino, e soltanto così capirebbe come anche le famiglie vadano in decadenza di pari passo con le città: questo perché le cose terrene hanno una ‘data di scadenza’, anche se gli uomini raramente lo capiscono, e la Fortuna colpisce Firenze con nuove sciagure così come la Luna copre i lidi con l’alta e bassa marea. Cacciaguida, quindi, passa in rassegna le principali casate fiorentine, in decadenza già ai suoi tempi, nonostante fossero ancora considerate illustri: i Ravignani, da cui sono discesi il conte Guido Guerra e Bellincione Berti, i Pressa, i Galigaio, i Pigli e i Donati, dal cui ceppo nacquero i Calfucci, così come i Sizi e gli Arrigucci, che avrebbero poi ricoperto alte cariche, gli Uberti e i Lamberti, estinti da molti anni, i Visdomini e i Tosinghi, che amministravano le rendite del vescovado quando la sede era vacante, gli Adimari, che erano sempre pronti a infierire sui deboli e a farsi umili coi potenti, i Caponsacchi, i Giudi, gli Infangati, i Pera, cui era intitolata una porta da cui si entrava nella cinta muraria, i Gualterotti, gli Importuni e i Buondelmonti, che a causa di un fidanzamento rotto dal rampollo Buondelmonte con una giovane degli Amidei, diedero inizio alle discordie cittadine, causando moltissimi lutti. Cacciaguida conclude la rassegna dicendo di essere vissuto con queste famiglie in una Firenze tranquilla e pacifica e che non aveva motivo di lamentarsi, perché all’epoca il popolo fiorentino era giusto e glorioso, l’esercito non subì alcuna sconfitta militare e l’insegna cittadina non era ancora diventata rossa a causa del sangue versato.