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Don Chisciotte, trama e riassunto del romanzo di Cervantes

È uno dei testi più significativi non solo della letteratura spagnola, ma anche di quella mondiale. Parodia del genere cavalleresco e sagace critica della società dell’epoca si mescolano in un continuo ribaltarsi di fantasia e realtà

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Esistono classici della letteratura capaci di trascendere il tempo e l’epoca in cui sono stati scritti. Uno di questi è senza dubbio il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra, romanzo pubblicato in due volumi tra il 1605 e il 1615. Viene definita l’opera letteraria più importante del cosiddetto “Siglo de oro”, il periodo del massimo splendore artistico e letterario della Spagna, ma non solo, anche uno dei testi più importanti della letteratura mondiale, padre del Romanzo Moderno.

Parodia del genere cavalleresco medioevale, molto di successo all’epoca, ma secondo Cervantes, che aveva combattuto veramente nella battaglia di Lepanto del 1581, rimettendoci la mano sinistra, troppo incline a rappresentazioni lontane dalla realtà come la mitizzazione della figura dell’eroe, e troppo intrise di elementi magici e favolistici. Il Don Chisciotte è anche una sagace critica alla società in cui vive, ritenuta arida e materialista e ormai lontana da valori come l’onore, l’amicizia, la fedeltà e l’amore, che l’autore si permette senza freni inibitori usando la follia del suo protagonista per spingersi oltre il limite altrimenti consentito, ribaltando di continuo fantasia e realtà.

Il primo volume narra l’intera vicenda di Don Chisciotte, mentre il secondo nasce per rispondere alla diffusione di un seguito apocrifo opera di un autore ignoto, celato sotto lo pseudonimo di Alonso Fernandez de Avellaneda.

Dal punto di vista stilistico, Cervantes mescola il genere picaresco a quello epico-cavalleresco, con richiami all’idillico-pastorale e alla saggistica. Alterna quattro narratori in un incedere frenetico, che tiene il lettore incollato alla pagina.

La struttura del romanzo è “a spiedino”: l’opera viene paragonata a dei singoli pezzi, gli episodi, che si inseriscono in una storia, lo spiedo. Uno splendido esempio di metanarrativa, che utilizza racconti intercalati con lo scopo di intrattenere, convincere e ritardare un’azione.

La trama del romanzo

Don Chisciotte della Mancia narra le avventure di un hidalgo, un nobile spagnolo con poche proprietà, che vive nella sua tenuta in compagnia della governante e della nipote nella regione de La Mancia. Don Alonso Quijano, un gentiluomo di mezza età, alto e allampanato, trascorre le sue giornate sfuggendo alla noia grazie alla sua grande passione: la lettura maniacale di libri che narrano le imprese di antichi cavalieri. Tale è il coinvolgimento che gli procura il genere cavalleresco, che il nobile inizia a confondere la realtà con la fantasia, decidendo di diventare anche lui un cavaliere errante e di andare alla ricerca di imprese eroiche. La sua armatura è in parte di cartone e le armi, appartenute ai suoi bisavoli, sono arrugginite e piene di muffa, il suo cavallo è un acciaccato ronzino, che però ai suoi occhi vale i purosangue dei celebri cavalieri medievali, il suo nome diventa Don Chisciotte de La Mancia. Iniziano così le avventure del protagonista, caratterizzate da tre salidas, tre uscite (le prime due contenute nell’edizione del 1605) nel corso delle quali accadrà di tutto e che finiranno tutte quante in malora.

La prima salida, Don Chisciotte la compie da solo, mentre nelle altre due sarà accompagnato dal fido Sancho Panza, un rozzo ma arguto contadino del posto, che in sella a un asino lo seguirà attraverso ogni peripezia, con il miraggio di un’isola da governare come premio per la sua fedeltà. Seguendo pedissequamente le regole della tradizione cavalleresca, Don Chisciotte dedica le sue imprese alla nobildonna Dulcinea del Toboso, che in realtà è Aldonza Lorenzo, una contadina di un villaggio vicino.

Nel mondo di Don Chisciotte nulla è quello che sembra essere, i mulini a vento diventano così giganti, le osterie sono castelli, le popolane sono principesse e i burattini sono demoni, ma nel corso della narrazione le imprese del cavaliere e del suo scudiero si incrociano anche con nobili e poveri, giovani amanti, osti e prostitute, galeotti, mori cacciati dalle loro terre, barbieri, preti, poeti, attori, ognuno con una sua storia da raccontare, finendo per comporre un grande affresco di umanità varia, descritta con crudo realismo, ora presentata con sguardo ironico, ora con una vena malinconica.

Nella prima uscita, Don Chisciotte, dopo essersi fatto nominare cavaliere da un oste scambiato per un castellano, prova a compiere alcune “imprese”, ma rimedia talmente tante legnate da dover essere riportato a casa in pessime condizioni. I romanzi cavallereschi della sua libreria, fonte della follia che lo ha colpito, vengono bruciati con la speranza che Don Alonso rinsavisca, ma lui ormai si sente Don Chisciotte e rimessosi dal carico di botte, è pronto a ripartire per nuove avventure, da questo momento in poi in compagnia di Sancho Panza. Il fido scudiero assiste alle “visioni” di Don Chisciotte e ogni volta tenta di richiamarlo alla realtà senza successo, “come lottare contro i mulini a vento”. D’altro canto, però, Sancho Panza veglia sul suo cavaliere e assieme agli unici amici di Don Chisciotte, il curato e il barbiere, riesce ad escogitare uno stratagemma per riportarlo a casa.

Nel secondo volume, pubblicato dieci anni più tardi, Don Chisciotte e Sancho tornano a viaggiare attraverso la Spagna dell’Est, ma la prospettiva delle loro tragicomiche avventure è ribaltata dal fatto che i due sono ormai conosciuti grazie al primo libro e dunque vittime inconsapevoli delle prese in giro dei vari personaggi che incrociano sulla loro strada. Don Chisciotte però non se ne cura e continua indomito il suo peregrinare in cerca di imprese degne di un cavaliere, fino a quando, ancora una volta, Sancho Panza e gli amici, tramite un trucco, lo costringeranno a tornare a casa, dove morirà dopo essere rinsavito.

Riassunto del romanzo

Prologo

Il romanzo è aperto da un prologo nel quale il narratore principale si presenta come il curatore dello scritto originale di uno storico arabo, Cide Hamete Benegeli, venuto in suo possesso, recuperandolo dalle mani di un mercante di Toledo.

Primo libro

In un anonimo paesino della Mancia vive Don Alonso Quijana, un hidalgo appassionato lettore di romanzi epico cavallereschi. Ne legge talmente tanti che la sua passione si trasforma nel tempo in una vera e propria ossessione, che sfocia, alle soglie dei cinquant’anni, nella decisione di rinnovare le gesta degli antichi paladini, con l’intento di proteggere i deboli e gli oppressi e di tener fede ai valori dell’onore e della cortesia tipici di un cavaliere errante. Assume il nome di Don Chisciotte della Mancia, ribattezza il suo magro cavallo Ronzinante, si sceglie come dama una contadina, Aldonza Lorenzo, mutandone il nome in Dulcinea del Toboso. E parte alla ventura, immaginando di poter ottenere, attraverso le sue imprese, la corona di Imperatore di Trebisonda. Ligio ai dettami appresi dalle sue letture, entra in un’osteria, che scambia per un castello, e pretende dall’oste di essere ordinato cavaliere. Ora è finalmente autorizzato ad agire e subito interviene per fermare un contadino che sta frustando il pecoraio. L’intervento pare sortire effetto, ma allontanatosi l’autoritario cavaliere, il pecoraio prenderà una razione doppia di nerbate. Sul suo cammino, poi, Don Chisciotte incrocia dei mercanti di Toledo, diretti a comprare delle sete, e intima loro di fermarsi e ammettere che Dulcinea del Toboso sia la dama più bella che si sia mai vista sulla faccia della terra. Questi prima si fanno beffe dello stralunato cavaliere e poi lo bastonano sonoramente, lasciandolo sul ciglio della strada. Riconosciuto da un contadino, viene riportato a casa malconcio e, mentre giace nel suo letto di dolore, il nipote, la governante, con l’aiuto del curato e del barbiere del paese, bruciano tutti i suoi romanzi cavallereschi, considerati la causa della follia di Don Alonso.

Il tentativo risulta però infruttuoso, rimessosi più o meno in sesto, arruola il contadino Sancho Panza, convincendolo a fargli da scudiero con la promessa del governatorato su un’Isola. Montati in sella a Ronzinante e a un asinello, i due partono all’avventura. Il primo incontro è quello divenuto iconico con i mulini a vento: per Don Chisciotte sono terribili giganti da sconfiggere e, nonostante i tentativi di Sancho Panza di riportarlo alla realtà, parte alla carica lancia in resta, finendo per essere violentemente sbalzato, insieme a Ronzinante, da una delle pale. A nulla servono i rimbrotti di Sancho Panza, che gli fa notare come si trattasse di mulini a vento, Don Chisciotte ne attribuisce la colpa a un incantesimo del malvagio mago Frestone, suo acerrimo nemico e completamente frutto della sua fantasia. Di lì in poi, eccezion fatta per l’incontro con alcuni caprai che offre a Don Chisciotte l’occasione di incantare gli ospiti con un racconto sull’età dell’oro e di conoscere a sua volta la triste storia di Marcela e Crisostomo, il cavaliere errante e il suo scudiero ne vedranno di tutti i colori. Don Chisciotte disperde due greggi scambiandole per un esercito di mori e infilza con la sua lancia diverse pecore, scatenando la rappresaglia a colpi di pietre dei pastori, che gli fanno saltare i denti; successivamente si imbatte in un corteo funebre e si figura un trafugamento di cadavere, caricando e terrorizzando i partecipanti, prende con la forza la bacinella di un barbiere che gli pare l’elmo di Mambrino, libera alcuni prigionieri del Re, che poi gli si rivoltano contro, lapidandolo e rubando l’asino. Quest’ultimo episodio suggerisce a Sancho, che lo ha soprannominato “Cavaliere dalla triste figura”, di spingere Don Chisciotte verso la Sierra, per sfuggire ad eventuali conseguenze con la legge. Il Cavaliere accetta e anzi decide di fare penitenza, aggirandosi nudo tra i boschi come Amadigi, uno dei suoi eroi preferiti. Lo scudiero ne approfitta per tornare al paese e con l’aiuto ancora una volta del curato e del barbiere riesce a ingannare Don Chisciotte, che dopo aver sfidato degli otri di vino scambiati per un terribile gigante che minaccia il regno della principessa Micomicona, Dorotea, conosciuta nei boschi, accetta finalmente di fare ritorno a casa.

Secondo libro

Anche la seconda parte del romanzo è aperta da un prologo nel quale il narratore si pone in aperta polemica contro l’autore del Don Chisciotte apocrifo di Alonso Fernandez de Avellaneda, rivendicando la paternità della vera storia del cavaliere errante fino al giorno della sua morte e introducendo una novità sostanziale: i protagonisti del seguito del romanzo hanno letto la prima parte dell’opera, sono quindi a conoscenza dell’identità e delle stranezze del Cavaliere e del suo scudiero, che diventano vittime inconsapevoli delle trame degli altri personaggi.

La narrazione riparte con Don Chisciotte che sfugge al controllo della nipote e della governante per ricongiungersi a Sancho Panza e rimettersi a caccia di quella gloria che continua a sfuggirgli. Prima tappa è Toboso, per incontrare l’amata Dulcinea. Ovviamente però non c’è nessun castello in cui andare rendere omaggio alla dama e Sancho Panza escogita uno stratagemma, suggerendo a Don Chisciotte di aspettare nel bosco l’arrivo della sua principessa: appaiono solamente tre contadine, ma ancora lo scudiero convince il cavaliere che in realtà è solo un incantesimo che vuole mistificare la realtà davanti ai suoi occhi. Nel frattempo Sansone Carrasco, giovane studente di un paese vicino che vuole aiutare Don Chisciotte, ha un’idea: si presenta sotto le mentite spoglie di Cavaliere degli Specchi e lo sfida a duello, proponendo che il vinto avrebbe dovuto obbedire al vincitore. Don Chisciotte però, sconfitto in tutte le sue avventure fino a quel momento, incredibilmente vince e il piano per riportarlo a casa fallisce. Il cammino riparte e i due incontrano un corteo di carri con due leoni al seguito: Don Chisciotte sfida i felini, che restano impassibili e noncuranti del folle cavaliere, il quale tuttavia si rinomina da “Cavaliere dalla triste figura” a “Cavaliere dei leoni”.

Le folli avventure di Don Chisciotte e Sancho Panza conoscono una pausa grazie all’incontro con il Cavaliere dal verde Gabbano, tal Diego de Miranda, che li ospita in occasione di un matrimonio.

Quando riprendono il cammino, incrociano un nobiluomo e sua moglie che, riconoscendoli come i personaggi del libro, li invitano presso il loro castello per prendersene gioco. Duca e duchessa, dunque, allestiscono ai loro danni una messinscena nella quale si susseguono gli inganni. Inventano la storia di un mago, Malabruno, che avrebbe reso barbute la contessa Trifaldi e le sue dodici dame di compagnia: Don Chisciotte avrebbe dovuto sfidarlo e sconfiggerlo in sella al cavallo alato Clavilegno, che come suggerisce il nome altro non è che un destriero di legno, al quale sono stati legati dei petardi; il cavaliere e Sancho Panza vi montano bendati e all’esplosione dei mortaretti si ritrovano stesi per terra, ma vittoriosi. Il Duca decide di premiare lo scudiero, promettendogli l’isola di Baratteria, che poi è semplicemente una tenuta, ma questi rifiuta per restare al fianco di Don Chisciotte, con il quale si dirige verso Barcellona.

Ecco che sulla loro strada riappare Sansone Carrasco, questa volta impersonando il Cavaliere della Bianca Luna, che sfida nuovamente a duello Don Chisciotte, con la stessa clausola per lo sconfitto. Questa volta vince e ordina al cavaliere di mantenere la parola data e di fare ritorno a casa. Don Chisciotte obbedisce, ma cade preda di una febbre fortissima. Dopo sei giorni a letto e un delirante sonno nel corso del quale invoca più volte la morte, Don Chisciotte si risveglia sostenendo di aver ritrovato il senno perduto e, sentendo la fine vicina, rinnega le sue imprese cavalleresche e fa testamento, firmando con il nome di Don Alonso Quijana detto “Il Buono”.