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George Washington, vita e pensiero politico del Presidente Usa

Comandante in capo dell'Esercito continentale durante tutta la guerra d'indipendenza, fu il primo leader della storia del governo degli Stati Uniti

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Considerato uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, avendo ricoperto anche la carica di presidente della Convenzione per la Costituzione americana nel 1787, il volto di George Washington – al pari di quelli di Abraham Lincoln, Thomas Jefferson e Theodore Roosevelt – è scolpito sul monte Rushmore.

Chi era George Washington

Nato a Bridges Creek, in Virginia, il 22 febbraio 1732 da Augustine Washington, proprietario terriero di origine inglese, e la sua seconda moglie Mary Ball, George perse il padre – che fino a quel momento si era preso l’onere della sua educazione, ‘assunto’ poi dalla madre e dal fratello maggiore Lawrence – all’età di soli undici anni. Frequentò inoltre la scuola di Williamsburg, dimostrando una certa passione per le materie scientifiche che lo portarono ad intraprendere gli studi da geometra-agrimensore, professione che svolse a partire dal 1749 e che gli permise di conoscere numerose persone influenti: su tutte Sarah Cary, moglie del ricco latifondista William Fairfax, che contribuì a ‘perfezionare’ la sua istruzione, ritenuta ‘insufficiente’ negli ambienti dell’alta aristocrazia, che rimase sua amica intima per tutta la vita e che condizionò molte delle sue future scelte politiche. Con l’ambizione di ripercorrere le orme del padre, nel 1752 acquistò la sua prima proprietà cui, nel medesimo anno e a causa della morte per tubercolosi del fratello Lawrence (che aveva nel frattempo sposato Anne Fairfax, cognata di Sally) si aggiunse quella di famiglia a Mount Vernon. Sempre nel 1752, poi, si arruolò nella milizia della Virginia – con il grado di maggiore – per difendere le colonie dagli attacchi dei francesi e degli indiani. Ma fu con l’arrivo oltreoceano del generale Edward Braddock, che lo nominò aiutante di campo, che iniziò a sentirsi davvero un ‘americano’, anziché un britannico, cittadino di un Paese in cui non aveva mai messo piede. Durante uno scontro armato Braddock venne ferito e fu proprio Washington a guidare la difesa della frontiera. Quindi, tra il 1753 e il 1754, partecipò alla Ohio Company, una spedizione – che fallì clamorosamente – con il compito di limitare l’espansione francese nell’area dei Grandi Laghi e l’anno seguente, a soli 23 anni, grazie alle esperienze militari accumulate, ottenne il grado di colonnello. Durante la guerra franco-indiana (o dei sette anni), che durò dal 1756 fino al 1763, si guadagnò il soprannome ‘Conotocaurius’ (cioè, ‘Distruttore di città’), attribuitogli dal capo tribù dei Seneca. Si mise in luce anche durante la battaglia del Monongahela, nonostante la sconfitta, e ai fini della cattura – nel 1758 – del forte francese di Duquesne. L’anno dopo, invece, venne congedato su sua richiesta dal servizio nella milizia. Tornò allora a casa, a Mount Vernon, si fidanzò due volte e sposò – non senza remore, convinto però dall’amica Sally – la ‘poco attraente’ Martha Dandridge Custis, vedova, facoltosa e con due figli, che crebbe come propri. Divenuto uno degli uomini più ricchi della Virginia, nel 1762 ricoprì il posto di deputato e di giudice di pace a Fredericksburg.

Washington, la carriera politica

Dopo aver conosciuto Thomas Jefferson, aver ascoltato i dibattiti sul rapporto complicato tra colonie d’oltreoceano e madrepatria e aver assistito inerme al Boston Tea Party, Washington – il 1° agosto 1774 – partecipò alla Prima Convenzione della Virginia, durante la quale venne selezionato come delegato al Primo Congresso continentale, in programma dal 5 settembre al 26 ottobre dello stesso anno. Il 15 giugno 1775, poi, fu nominato comandante supremo delle forze indipendentiste, l’esercito continentale e, seppure non fosse un eccelso stratega, ebbe l’intuizione di evitare lo scontro aperto con gli inglesi, logorando – per sette lunghi anni – il nemico con continui attacchi a sorpresa. Riorganizzò rapidamente l’esercito dopo le sconfitte nelle battaglie di Bunker Hill (’75) e, soprattutto, Long Island (’76), attraversando alla guida dei propri uomini il fiume Delaware e sconfiggendo gli inglesi prima a Trenton, poi a Saratoga (’77), guadagnandosi così il prezioso sostegno della Francia. Nel 1781, quindi, lo scontro decisivo, vinto a Yorktown e che, di fatto, spezzò le ambizioni della Corona di mantenere il controllo sulle 13 colonie d’oltreoceano. Il trattato di Parigi – andato in scena due anni più tardi – sancì la fine della guerra d’indipendenza americana. Tra il maggio e il settembre del 1787 Washington fu uno dei 54 deputati che parteciparono al Congresso continentale di Filadelfia, diventandone ben presto il presidente e mostrandosi favorevole ad un potere esecutivo forte all’interno di un sistema politico basato su due schieramenti. Una volta ratificata la Costituzione, che rese gli Stati Uniti un Paese federale, andarono in scena le elezioni, vinte da George Washington che, il 4 febbraio 1789, divenne così il primo presidente della storia della nazione, ‘deludendo’ la moglie, che auspicava invece un pronto rientro a casa dove condurre una vita tranquilla. Si recò così a New York il 30 aprile e, ricevuta la conferma dal Senato, otto giorni più tardi prestò il giuramento sul balcone della Federal Hall. Rifiutò in un primo momento lo stipendio annuo di 25mila dollari, accettato poi solo per l’insistenza del Congresso, stabilì tutti i cerimoniali relativi al suo servizio e decise di assumere per sé il titolo di ‘Mr. President’, a dispetto di altre forme auliche, vetuste e pompose. Consapevole che le sue decisioni e le sue scelte avrebbero ‘fatto scuola’ per i presidenti futuri, operò sempre in maniera piuttosto oculata e prudente. Neutrale in politica estera, anche al fine di vedersi riconoscere l’indipendenza da quanti più Stati del mondo possibili, fece discutere il suo mancato appoggio alla Francia durante le guerre rivoluzionarie. Normalizzò, invece, i rapporti con la Gran Bretagna, che portarono al trattato di Jay del 1794, foriero di una ‘nuova era’ caratterizzata da floridi commerci. In politica interna, poi, non entrò a far parte di alcuno schieramento e cercò, invano, di contrastare la nascita dei partiti: durante il suo governo, tuttavia, non poté evitare la comparsa delle prime divisioni. Ad ogni modo, nominò i primi dieci giudici della neocostituita Corte Suprema, firmò il Postal Service Act, fondò il Dipartimento dell’Ufficio Postale degli Stati Uniti, represse una rivolta in Pennsylvania, aumentò a 16 il numero degli Stati federali, si schierò pubblicamente contro la schiavitù (seppur senza mai affrancare i propri, che all’apice raggiunsero quota 316) e ottenne la rielezione a presidente con nessun voto contrario e tre soli astenuti. Il suo secondo mandato si concluse nel 1797, anno in cui Washington – rifiutando il terzo, convinto che fosse pericoloso accentrare il potere per troppo tempo – abbandonò la scena per dedicarsi alla produzione di whisky, dando vita alla distilleria numero uno del Paese. Si spense a Mount Vernon il 14 dicembre 1799, a causa della lunga ispezione fatta – due giorni prima – alla propria fattoria, esponendosi per molte ore al freddo e alla pioggia, che gli provocarono una fatale laringite.