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Robespierre, il pensiero politico del rivoluzionario francese

Protagonista della Rivoluzione e uno dei padri fondatori della Prima Repubblica francese, venne accusato di aspirare alla dittatura una volta raggiunto il potere, e giustiziato a seguito del colpo di Stato del 9 termidoro

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Politico e avvocato, Robespierre si mise in luce durante la Rivoluzione francese, abbracciando idee tanto radicali, quanto vicine alle istanze della popolazione, al punto da sfociare talvolta nella demagogia. Era curato, negli abiti e nell’aspetto, ma predicò l’austerità e la castità: non ebbe figli, né si sposò. Più in generale, però, rinunciò alla propria sfera personale per dedicarsi completamente alla causa, in una Francia falcidiata dal conflitto interno e, contemporaneamente, attaccata da Austria e Prussia, preoccupate che le idee democratiche potessero scatenare rivolte anche all’interno dei propri confini nazionali. La trasformazione politica di Robespierre avvenne dopo l’ascesa al potere, in un triumvirato con Georges Couthon e Louis Antoine de Saint-Just: la proverbiale trasparenza lasciò spazio ai periodi del ‘Terrore’ e del ‘Grande Terrore’, caratterizzati da un rapido accentramento del potere, da una preoccupante deriva dittatoriale e dall’eliminazione fisica di tutti gli oppositori ed avversari politici. Ciò lo condusse inevitabilmente alla morte, il 28 luglio 1794, condannato alla ghigliottina dopo l’arresto ordinato da ex ‘amici’ deputati.

Chi era Robespierre

Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre nacque ad Arras, nell’Artois, alle due di notte del 6 maggio 1758, in una famiglia discendente da notai della Francia dell’ancien régime. Precisamente, dall’avvocato François de Robespierre e Jacqueline-Marguerite Carrault, che avranno in seguito anche Marie-Marguerite-Charlotte, Henriette-Eulalie-Françoise e Augustin-Bon-Joseph, più un quarto che morì poco dopo la nascita. Dieci giorni dopo quel nefasto 4 luglio 1764, ad appena sei anni, Robespierre perse la madre, per complicazioni legate al parto, e il padre che, in preda al dolore, abbandonò il lavoro, affidò i figli ai parenti più stretti e iniziò a viaggiare, trovando la morte a Monaco di Baviera il 6 novembre 1777, notizia che i quattro eredi non appresero mai. La situazione scosse profondamente il giovane Maximilien, che nel 1765, dopo aver contratto il vaiolo, che gli lasciò il volto parzialmente butterato, entrò nel collegio di Arras. Quindi, quattro anni più tardi, nel prestigioso Louis-le-Grand di Parigi, distinguendosi per l’intelligenza, che lo rese uno degli allievi più brillanti, ben voluto da tutti gli insegnanti, ma anche per il carattere poco socievole. Tra il 1775 e il 1780, ad ogni modo, dovette affrontare le dolorose perdite degli amati nonni e della sorella Henriette. L’educazione liberale ricevuta lo portò ad interessarsi alla politica greca e romana, all’arte classica, ai grandi oratori, alla morale stoica e alle virtù austere e gli permise di ottenere il baccellierato in diritto il 31 luglio 1780, il diploma di licenza il 15 maggio 1781, la lode e 600 franchi, la più alta somma fino ad allora mai corrisposta ad un licenziato del Louis-le-Grand, devoluta per favorire gli studi del fratello minore Augustin. Iscrittosi già il 29 maggio al registro degli avvocati del Parlamento di Parigi, intraprendendo una carriera forense che non raggiunse i livelli del padre e che abbandonerà nel 1789 per dedicarsi alla vita politica durante la Rivoluzione francese, frequentò al contempo – con brillante successo – l’università Sorbona. Il 9 marzo 1782 fu nominato dal vescovo de Conzié giudice del Tribunale vescovile, un ruolo da cui si dimise in fretta, subito dopo esser stato costretto a condannare a morte un criminale, una pena di cui si era sempre professato contrario.

Robespierre, il pensiero politico e la morte

Robespierre abbracciò idee radicali e intransigenti, vicine alle istanze del popolo, del quale si dichiarò un fiero rappresentante. Nel 1789, eletto membro dell’Assemblea nazionale costituente del Terzo Stato, aderì al blocco di sinistra, composto da deputati contrari a qualsiasi compromesso con la monarchia. In piena rivoluzione concesse il suffragio universale e garantì l’applicazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, facendo della trasparenza il proprio fiore all’occhiello. Fu proprio in questo periodo che si guadagnò l’appellativo ‘l’Incorruttibile’. La sua politica estremamente legata alle istanze della popolazione, al punto da assumere – nel marzo 1790 – la carica di presidente del Club dei Giacobini, il ‘covo’ dei sanculotti, venne presto interpretata come demagogia dall’opposizione. Robespierre denunciò continuamente complotti controrivoluzionari e, rieletto a capo dei Montagnardi nel 1792, intraprese una semestrale battaglia – poi vinta – finalizzata alla condanna a morte di Luigi XVI. Fu però con la nascita del Comitato di salute pubblica nel 1793, un organo ristretto a pochi membri in cui si accentravano le responsabilità del governo e fortemente criticato dai Girondini, che la figura di Robespierre iniziò ad essere associato a quella di un aspirante dittatore, soprattutto a seguito, poche settimane dopo, dell’arresto di due ministri e 29 deputati avversari per ‘alto tradimento’. Alla guida del Comitato Robespierre esacerbò gli animi, esautorando il potere della Convenzione (l’assemblea esecutiva e legislativa) e dedicandosi all’eliminazione di tutti i nemici, interni ed esterni. Impose la leva in massa, intervenne direttamente su prezzi e salari e promulgò leggi repressive – valide anche con il solo ‘sospetto’ – nei confronti dei potenziali controrivoluzionari: di fatto, quella che mise in atto, fu un’autentica politica del terrore, con almeno 17mila persone condannate alla ghigliottina. Pur sottolineando come tutto ciò non fosse esclusivamente frutto della sua volontà, Robespierre, iniziando a promuovere una religione naturale, il deismo, che nei suoi piani avrebbe dovuto soppiantare il Cristianesimo, nel 1794 inaugurò il ‘Grande Terrore’. L’ulteriore deriva dittatoriale sfociò in un colpo di Stato, detto del 9 termidoro, cioè il 24 luglio secondo il calendario rivoluzionario, guidato da due fazioni ‘amiche’. Ritennero, infatti, che l”ingombrante’ Robespierre mirasse ad una ‘solitaria scalata al vertice’. Così, il 28 venne arrestato e, nel giro di 14 ore, condannato alla ghigliottina, a soli 36 anni.